Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19595 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. II, 18/09/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 18/09/2020), n.19595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19633-2019 proposto da:

B.M., rappresentato e difeso dall’avvocato G.L.;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE FOGGIA, in persona del Presidente pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2947/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 12 dicembre 2018, la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’impugnazione proposta da B.M., cittadino del (OMISSIS), avverso la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso proposto dallo stesso avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che il racconto del ricorrente appariva generico e scarsamente credibile, quanto alla attività del padre, che sarebbe stato rapito, e alle successive minacce da lui ricevute e all’arresto sofferto, avendo i poliziotti ai quali si era rivolto per denunciare l’accaduto messo in giro la voce che era omosessuale; b) che insussistenti erano pertanto i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, con riguardo al quale il richiedente non aveva insistito in appello; c) che quanto osservato a proposito della credibilità del ricorrente induceva ad escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria; d) che, quanto alla protezione umanitaria, non erano state dedotte specifiche situazioni di vulnerabilità, anche in ragione del fatto che non risultava con precisione quale fosse il livello di integrazione raggiunto dal richiedente, nonostante la documentazione attestante lo svolgimento di attività lavorativa occasionale.

3. Avverso tale sentenza nell’interesse del soccombente è stato proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva, limitandosi a depositare atto di costituzione, in vista della partecipazione ad un’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, radicale carenza di motivazione in ordine a tutte le domande formulate.

La doglianza – anche a tacere dell’improprietà del richiamo normativo – è infondata, dal momento che la Corte territoriale ha preso in esame le dichiarazioni del richiedente e ha espresso una valutazione articolata in relazione ai vari profili rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.

Nè parte ricorrente deduce profili idonei a rivelare una assenza di analisi di specifiche censure e, in ultima analisi, il carattere appunto apparente del percorso argomentativo seguito dalla Corte d’appello.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per avere la Corte territoriale erroneamente valutato la narrazione del ricorrente come non credibile.

La doglianza è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

Peraltro, la sentenza impugnata è stata depositata il 12 dicembre 2018. Pertanto, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3 alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2 Legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Ora, parte ricorrente, sia pure attraverso una formale denuncia di violazione di legge, aspira ad una inammissibile rivalutazione delle emergenze probatorie, che la Corte territoriale ha analizzato giungendo ad una argomentata esclusione della narrazione del richiedente, per la scarsa credibilità logica del racconto.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) per avere negato la protezione sussidiaria, omettendo di indagare sulle condizioni di pericolo esistenti in (OMISSIS). La doglianza è inammissibile per l’assoluta genericità di formulazione che non riesce ad indicare, se non in termini meramente assertivi, la situazione di pericolo che esisterebbe in (OMISSIS).

4. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non avere considerato la Libia come Paese di provenienza.

La doglianza è inammissibile, giacchè il ricorrente non si cura di indicare quando e in che termini avrebbe introdotto la questione della sua permanenza in Libia per un tempo sufficientemente lungo e con caratteristiche tali da rivelare un radicamento in quel territorio.

5. Con il quinto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere ritenuto sussistenti condizioni di vulnerabilità idonee a giustificare il riconoscimento del permesso per ragioni umanitarie.

La doglianza è inammissibile per la sua assertività e genericità e non riesce ad indicare alcun elemento che giustifichi la mera apparenza della motivazione con la quale la Corte d’appello ha sorretto la valutazione comparativa che ha giustificato la conclusione raggiunta in tema di permesso per motivi umanitari.

6. Il ricorso va, in conseguenza, rigettato. Nulla per le spese, dal momento che il Ministero intimato non ha sostanzialmente svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

 

 

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