Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19594 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. II, 18/09/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 18/09/2020), n.19594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19619-2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’avvocato SABINA ZULLO,

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE VERONA;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO, depositata il 22/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.M., cittadino (OMISSIS) di religione (OMISSIS), impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di essere fuggito dal (OMISSIS) a causa del rifiuto della famiglia della sua fidanzata, di religione musulmana sciita, di consentire il matrimonio della predetta con un (OMISSIS); essendo la ragazza rimasta incinta, i due fidanzati avevano deciso di fuggire temendo ritorsioni dalla famiglia di lei, ma i suoi fratelli avevano ritrovato la coppia, ucciso la ragazza e ferito alla gamba il ricorrente; questi, dopo essersi rimesso, aveva deciso di lasciare definitivamente il Paese.

Si costituiva il Ministero resistendo al ricorso ed invocandone il rigetto.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Trento rigettava il ricorso, ritenendo insussistenti i requisiti previsti per il riconoscimento di una delle forme di tutela invocate dal ricorrente.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto S.M. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 nonchè l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente negato il riconoscimento dello status di rifugiato senza considerare da un lato il pericolo di assoggettamento a trattamenti persecutori e dall’altro lato il rischio di subire pregiudizi alla propria integrità fisica. Ad avviso del ricorrente, il giudice di merito sarebbe incorso in una contraddizione, dapprima negando qualsiasi rilievo probatorio all’articolo di giornale prodotto dal S., e subito dopo valorizzando il fatto che in esso – o meglio, nella traduzione fornita dal ricorrente – si desse atto che l’aggressione subita dal richiedente era stata denunciata alla polizia (OMISSIS) direttamente dal predetto, mentre in sede di audizione costui aveva dichiarato che era stato suo padre a presentarla.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, perchè il Tribunale avrebbe negato la protezione sussidiaria senza tener conto dei fattori di rischio di danno grave alla persona del richiedente. Ad avviso del S., la condizione generale del (OMISSIS), caratterizzata dalla presenza di autorità tribali (cfr. pag. 7 del ricorso) e da fenomeni terroristici non adeguatamente contrastati dal potere centrale (cfr. pag. 8) giustificherebbe, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di merito, il riconoscimento della forma di tutela di cui si discute.

Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 nonchè dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, perchè il Tribunale non avrebbe considerato la sua condizione personale ed in particolare le difficoltà di reinserimento che avrebbe in caso di rimpatrio.

Le tre censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

Esse infatti non scalfiscono l’articolata motivazione resa dal Tribunale di Trento, che ha dato atto della storia narrata dal S., riportandola in modo dettagliato (cfr. pag. 4 del decreto impugnato), precisando che il richiedente aveva vissuto per cinque anni in Grecia, era poi passato in Germania, ed era infine giunto in Italia solo il 3.11.2017, risolvendosi a presentare domanda di riconoscimento della protezione internazionale soltanto all’atto dell’ingresso in quest’ultimo Paese. Il giudice di merito ha ritenuto il ricorrente non credibile, tra l’altro, perchè non aveva spiegato come mai i fratelli della ragazza, dopo averla uccisa, si sarebbero allontanati dal luogo dell’aggressione avendo soltanto ferito il S. ad una gamba, senza accertarsi quindi del suo decesso; come mai la polizia, nonostante fosse stata avvertita – poco importa, a tal riguardo, se direttamente dal richiedente o dal padre – non sarebbe intervenuta; ed infine perchè il S. sarebbe rimasto per cinque anni in Grecia e poi avrebbe vissuto per un certo tempo in Germania senza mai presentare domanda di asilo. Nessuna di tali considerazioni viene attinta in modo specifico dai motivi del ricorso, che si risolvono in una generica contestazione della decisione impugnata, senza alcun riferimento concreto alla storia del richiedente ed alla sua condizione personale.

Inoltre, il giudice di merito ha evidenziato un’ulteriore contraddizione nel racconto, poichè il richiedente aveva dichiarato di essere andato a scuola all’età di cinque anni e di averla frequentata per dodici anni, lasciando alla fine il (OMISSIS) nel 2010, all’età di 19 anni, senza aver ultimato la scuola superiore; in realtà, il Tribunale osserva che se il racconto fosse vero il S. avrebbe dovuto avere 17 anni, e non 19, al momento della partenza dal (OMISSIS) (2010), mentre egli aveva in realtà, in quel momento, 22 anni (il richiedente risulta infatti nato nel (OMISSIS)). Anche tale incongruenza non viene in alcun modo attinta dai motivi di ricorso, che pertanto risultano – anche sotto tale ulteriore profilo – non sufficientemente specifici.

Infine, il Tribunale ha esaminato la situazione interna del (OMISSIS), citando diverse fonti (cfr. pagg.7 e ss. del decreto impugnato), ed evidenziando che o stesso richiedente la protezione, in sede di interrogatorio libero, “… ha escluso la presenza di conflitti o violenza indiscriminata nel suo Paese… e ha dichiarato che la sua famiglia di origine risiede ancora in (OMISSIS) aggiungendo “loro adesso vivono tranquilli… se non fosse stato per la famiglia della mia ragazza lo sarei rimasto in (OMISSIS)” (cfr. pag. 8 del decreto). Anche tali passaggi motivazionali non sono attinti da alcuna delle censure proposte dal S., che non ha neppure dedotto l’esistenza di un motivo attuale e concreto idoneo a costituire un pericolo per sè o per la sua famiglia di origine in caso di rimpatrio.

In questo contesto, l’ulteriore passaggio della motivazione concernente l’articolo di giornale prodotto dal ricorrente a sostegno del proprio racconto non appare decisivo, posta la stabilità delle diverse concorrenti rationes decidendi sin qui evidenziate. In ogni caso, i Tribunale ha affermato, in argomento, che “… in esso vi è la sua foto che lo rappresenta con le fasce alla testa, al naso, al braccio. In merito, si evidenzia che il ricorrente ha dichiarato di essere stato ferito alla gamba durante l’aggressione da parte dei fratelli della sua ragazza, non risultano, pertanto, riconducibili a tale aggressione narrata le ferite alla testa, al naso ed al braccio riportate, invece, dall’uomo ritratto nella foto dell’articolo di giornale. Inoltre, risulta assolutamente impossibile ascrivere al ricorrente tale foto, non essendo riconoscibile la persona ritratta nella foto stante le fasciature che ne oscurano grandemente il viso, oltre a non poter essere verificabile la fonte dell’articolo e la sua stessa veridicità, non essendovi in ogni caso elementi che permettano di ricondurlo al ricorrente e alla vicenda dallo stesso riferita” (cfr. pagg. 8 e 9 del decreto). Anche questo articolato passaggio della motivazione, che poggia su diversi concorrenti argomenti, non viene adeguatamente scalfito dalle censure proposte dal S., che non contesta l’incongruenza delle ferite riportate dal soggetto ritratto nella foto con quelle descritte nel suo racconto; non indica la fonte dell’articolo nè allega elementi atti a ricondurre la pubblicazione alla sua storia personale; non argomenta alcunchè rispetto all’impossibilità – ravvisata dal Tribunale – di individuare con certezza il soggetto ritratto nella foto allegata all’articolo in questione.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

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