Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19594 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/08/2017, (ud. 20/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23594-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6336/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/10/2010 R.G.N. 568/2008.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 1 ottobre 2010 la Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto avversò la pronuncia del locale Tribunale che aveva ritenuto la nullità del termine del primo contratto di lavoro intercorso tra Poste Italiane s.p.a. e B.R. nel periodo dal 1.3.2000 al 30.5.2000, in cui il termine al contratto era stato apposto, ai sensi del CCNL 26 novembre 1994, art. 8, così come integrato dall’accordo del 25 settembre 1997, “per esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso…”, ma in epoca successiva al 30 aprile 1998; aveva quindi dichiarato che tra le parti intercorreva un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 1 marzo del 2000 e condannato la società a corrispondere le retribuzioni a partire dal 22 maggio 2006, detratto quanto nelle more percepito; che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a plurimi motivi, cui ha opposto difese l’intimata con controricorso;

che B.R. ha comunicato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo del ricorso, con cui si denuncia erronea motivazione e violazione di norme di diritto per avere la Corte territoriale disatteso l’eccezione della società circa l’estinzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, non può trovare accoglimento per inidoneità del solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative di una chiara e comune volontà delle parti contraenti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (tra le altre: Cass. n. 1780 del 2014; Cass. n. 13535 del 2015; Cass. n. 25844 del 2015), trattandosi comunque di valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. SS.UU. n. 21691 del 2016, in motivazione, punto 57; Cass. n. 2906 del 2015) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Cass. n. 16932 del 2011);

che il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge, di contratto collettivo e di accordi sindacali aziendali, in connessione con gli artt. 1362 e ss. c.c., mentre il terzo lamenta omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando entrambi la statuizione della Corte territoriale circa la nullità della clausola appositiva del termine;

che tali doglianze, esaminabili congiuntamente, sono infondate per le ragioni già reiteratamente esposte da questa Corte in fattispecie analoghe (di recente v. Cass. n. 4221 e 5298 del 2016; ord. 6^ n. 17381 del 2016; cui si rinvia per ogni ulteriore considerazione qui ribadita), atteso che, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31/1/98 e successivamente al 30/4/98, l’indicazione della causale in questione nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto sia stipulato in data non successiva al 30/4/98 (v. Cass. n. 18378 del 2006), per cui i contratti -come quello in controversia- stipulati al di fuori del limite temporale del 30/4/98 sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo – collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962;

che il quarto motivo denuncia violazione ed erronea applicazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni; a tale motivo si connette anche la richiesta di applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che tali censure, esaminabili congiuntamente, vanno accolte per quanto di ragione, essendo applicabile lo ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 commi 5, 6 e 7, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre Cass. n. 16763 del 2015 ed i precedenti ivi richiamati); nè rileva l’avvenuta abrogazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 55, lett. f, (cfr. Cass. n. 7132 del 2016);

che le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 21691 del 2016, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”; hanno altresì chiarito che “il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente”;

che dunque non vi è giudicato sulle conseguenze risarcitorie sino a quando resta impugnato l’an sulla illegittimità del termine ed ove questa statuizione venga confermata occorre tenere conto della L. n. 183 del 2010, art. 32, affinchè la decisione adottata sia conforme all’ordinamento giuridico;

che, diversamente da quanto opinato dalla controricorrente nella memoria, Poste Italiane Spa conserva un interesse alla cassazione della sentenza per l’applicazione del citato art. 32, atteso che, come ammesso dall’eccipiente, il risarcimento del danno riconosciuto dalla sentenza di primo grado poi confermata in appello è pari a “circa otto mensilità”, mentre la riliquidazione dell’indennità merce la disposizione della L. n. 183 del 2010, potrebbe anche essere inferiore, anche a tenere conto dell’aliunde perceptum;

che, pertanto, respinti i primi tre motivi di ricorso, va accolto l’ultimo nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello indicata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461 del 2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. n. 3062 del 2016), provvedendo altresì alle spese del giudizio;

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso limitatamente all’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, rigetta nel resto, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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