Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19593 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. II, 18/09/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 18/09/2020), n.19593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20093-2019 proposto da:

J.L., rappresentato e difeso dall’avvocato CLEMENTINA DI ROSA

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 04/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

J.L., cittadino (OMISSIS), impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di essere fuggito dal (OMISSIS) perchè, alla morte di sua madre, la seconda moglie del padre gli aveva intimato di andar via di casa, in quanto figlio illegittimo generato in occasione di una violenza sessuale subita dalla genitrice e quindi estraneo alla famiglia, minacciandolo anche di morte. A tali minacce si aggiungevano anche quelle del padre e quindi il ricorrente, non avendo più alcun legame con il proprio Paese, decideva di abbandonarlo.

Si costituiva il Ministero resistendo al ricorso ed invocandone il rigetto.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Napoli rigettava il ricorso, ritenendo insussistenti i requisiti previsti per il riconoscimento di una delle forme di tutela invocate dal ricorrente.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto J.L. affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,8 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè il Tribunale gli avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria. Ad avviso del ricorrente, invece, la sua vicenda personale, se considerata alla luce della condizione di insicurezza generale esistente in (OMISSIS), legittimava la concessione di una delle due forme di tutela internazionale invocate.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 perchè il Tribunale avrebbe erroneamente denegato anche la protezione umanitaria, omettendo di considerare la vulnerabilità oggettiva e soggettiva del richiedente.

Con il terzo motivo lo J. lamenta la contraddittorietà, illogicità ed apparenza della motivazione, nonchè la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè il Tribunale non avrebbe assicurato la sia pur concisa esposizione delle ragioni di fatto e diritto poste a sostegno della propria decisione.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta infine l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il giudice di merito non avrebbe tenuto conto della effettiva condizione socio-politica della regione di provenienza.

Le censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate.

Ed invero la decisione impugnata dà conto in modo dettagliato della storia personale riferita dal richiedente la protezione (cfr. pag. 5 del decreto) e ritiene insoddisfacenti le dichiarazioni fornite dallo J. in sede di audizione, relativamente alla minaccia ricevuta dalla matrigna prima, e dal padre poi. Aggiunge anche che “Con il ricorso l’istante non ha arricchito la narrazione delle vicende esposte in sede di audizione, che sono rimaste invariate. Egli ha solo sottolineato la minore età che aveva al momento della partenza dal paese di origine ed i patimenti sofferti in Libia, per via delle violenze inflittegli durante il periodo in cui è stato imprigionato” (cfr. ancora pag.5). Prosegue, poi, affermando che “Una volta uscito di casa, il ricorrente stesso non ha riferito di aver subito ulteriori angherie, tanto è vero che ha narrato di essersi unito al suo datore di lavoro nel viaggio che lo ha condotto prima in Senegal e, in seguito, in Mali. In sede di audizione, inoltre, l’istante non ha sostenuto di avere timore di rientrare in (OMISSIS) per via delle minacce ricevute, proprio perchè esse si sono esaurite in quanto, evidentemente, hanno prodotto l’effetto voluto, quello di farlo uscire di casa. Egli, piuttosto, ha allegato la mancanza di riferimenti familiari in caso di rientro” (cfr. pag. 6). Infine, il Tribunale dà conto che il ricorrente non è comparso personalmente all’udienza di comparizione, in tal modo non ottemperando all’obbligo di cooperare nell’istruttoria della sua domanda di protezione (cfr. sempre pag. 6). Su tali premesse, il giudice di merito ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Quanto invece alla lett. c), il Tribunale partenopeo ha esaminato la condizione interna del (OMISSIS) (cfr. pagg. 6 e ss. del decreto impugnato), dando atto dei recenti sviluppi verso una transizione democratica conseguenti alle elezioni di fine 2016 ed alla sostanziale normalizzazione della situazione del Paese.

Infine, il decreto impugnato dà conto del motivo per cui il Tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria, da individuarsi nel fatto che “… non si ritiene che possa valere, sic et simpliciter, la minore età che il richiedente aveva al momento della sua partenza ed il fatto di non avere lì famiglia, in quanto tali circostanze riguardano comunque una persona giovane ed in buona salute ed in grado di affrontare le difficoltà di reinserimento nel suo paese. Si aggiunga che in ogni caso alcuna prova è stata fornita di un’avvenuta integrazione sociale ed economica nel territorio nazionale, che nemmeno è stata allegata” (cfr. pag. 8 del decreto). La motivazione resa dal giudice campano è perfettamente in linea con i precedenti di questa Corte, dovendo la condizione di vulnerabilità del richiedente la protezione umanitaria essere apprezzata in relazione alla situazione attuale. Da ciò deriva l’irrilevanza delle condizioni, soggettive ed oggettive, esistenti al momento della partenza, essendo invece rilevanti quelle esistenti al tempo della decisione.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di notifica di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

 

 

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