Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19590 del 27/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19590 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 4151-2008 proposto da:
LANZETTA

FRANCA

LNZFNC44M57F839M,

elettivamente

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’Avvocato LICENZIATI CRISTIANO in 80121 NAPOLI,
Via S. Pasquale 62, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1114

contro

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A., in persona dei legali
rappresentanti pro tempore, ing. LORENZO BIZIO e Sig.
GIUSEPPE RACCANELLO, elettivamente domiciliata in

1

Data pubblicazione: 27/08/2013

ROMA, V.A.BAIAMONTI 10, presso lo studio dell’avvocato
CALDORO MARIA FRANCESCA, rappresentata e difesa dagli
avvocati CARNEVALE STEFANO, MAGALDI RENATO giusta
delega in atti;
– controricorrente –

CS TRASP. PUBBLICI NAPOLI ;
intimato –

SEzt 00E’

avverso la sentenza n. 159/2007 del TRIBUNALE
DISTACCATA DI

5-1\

CASORIA, depositata il 13/06/2007

R.G.N. 436/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/05/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato CRISTIANO LICENZIATI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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fftle(

nonchè contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Franca Lanzetta citava a giudizio, davanti al Giudice
di pace di Casoria, il Consorzio trasporti pubblici di Napoli
e le Assicurazioni Generali s.p.a., chiedendo il risarcimento
dei danni patiti in un sinistro stradale nel quale la vettura

pubblico.
Il Giudice di pace accoglieva la domanda e condannava i
convenuti al pagamento della somma di euro 700, oltre
interessi fino al soddisfo e con il carico delle spese.
2. La pronuncia veniva appellata dalla Lanzetta ed il
Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Casoria, con
sentenza del 13 giugno 2007, in parziale riforma di quella di
primo grado, condannava le Assicurazioni Generali s.p.a. al
pagamento, a titolo di spese del giudizio di primo grado, di
euro 267,05 per esborsi, euro 564,58 per diritti ed euro 500
per

onorari,

da

distrarre

in

favore

del

difensore

antistatario.
Osservava il giudice d’appello che non poteva essere
accolto il gravame nella parte in cui sollecitava la
liquidazione di una somma maggiore a titolo di risarcimento
danni alla vettura, poiché l’appellante non aveva fornito la
relativa prova; la produzione della fattura in grado di
appello, infatti, era da ritenere inammissibile, in quanto
tardiva.

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di sua proprietà si era scontrata con un autobus del servizio

Quanto alla presunta omissione del danno da svalutazione
monetaria, il Tribunale rilevava che il Giudice di pace aveva
liquidato la somma di euro 700 all’attualità, considerandola
comprensiva anche del fermo tecnico, e riconoscendo gli
interessi compensativi fino al pagamento, sicché l’ulteriore

3. Avverso la sentenza del Tribunale propone ricorso la
Lanzetta, con atto affidato a due motivi.
Resiste

con

controricorso

la

s.p.a.

Assicurazioni

Generali.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Rileva preliminarmente il Collegio che il presente
ricorso si colloca,

ratione temporis,

nel periodo di vigenza

dell’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale imponeva che
ciascun motivo di ricorso fosse concluso dalla formulazione di
un quesito di diritto e che, in relazione alla censura di
vizio di motivazione, venisse fornita chiara indicazione del
fatto controverso in relazione al quale si assumeva che la
motivazione fosse mancante, insufficiente o contraddittoria.
1.2. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il
quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così
da consentire al giudice di legittimità di enunciare una
regula iuris

suscettibile di ricevere applicazione anche in

casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza
impugnata. È inammissibile, perciò, il motivo di ricorso per

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richiesta risarcitoria non poteva essere accolta.

cassazione il cui quesito di diritto si risolva in
un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di
qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua
riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non
consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso

contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo (Sez.
Un., sentenza 11 marzo 2008, n. 6420). Il quesito di diritto
deve essere risolutivo del punto della controversia e non può
risolversi nella richiesta di declaratoria di un’astratta
affermazione di principio da parte del giudice di legittimità
(sentenza 3 agosto 2007, n. 17108); esso, infatti, dovendo
assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione
tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
principio giuridico generale, non può essere meramente
generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie
concreta, per mettere la Corte in grado di comprendere dalla
sua sola lettura l’errore asseritamente compito dal giudice di
merito e la regola applicabile (sentenza 7 marzo 2012, n.
3530).
1.3. Quanto, invece, alle censure di cui all’art. 360,
primo comma, n. 5), cod. proc. civ., questa Corte ha in più
occasioni rilevato l’inammissibilità della censura di omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione per mancata
formulazione del c.d. quesito di fatto, in ossequio alla

ratio

che sottende la disposizione indicata, secondo cui la Corte di

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voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal

legittimità deve essere posta in condizione di comprendere,
dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso
dal giudice di merito (sentenza 18 novembre 2011, n. 24255).
Tale motivo di ricorso per cassazione, perciò, deve contenere
un momento di sintesi omologo al quesito di diritto,

riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente i
limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass., S.U., 18 giugno 2008, n. 16528, seguita,
fra le altre, di recente, dalle sentenze 4 dicembre 2012, n.
21663, e 18 dicembre 2012, n. 23363).
2. Alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di
questa Corte vanno quindi valutati i quesiti di diritto
formulati nell’odierno ricorso.
3.1. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art.
360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e degli artt. 115,
116 e 345 cod. proc. civ., oltre a omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione.
Rileva la ricorrente che la fattura depositata in grado di
appello – che determina l’esborso sostenuto per le riparazioni
della vettura nella somma di euro 2.352 – sarebbe idonea a
dimostrare l’infondatezza delle argomentazioni svolte dal
Tribunale di Napoli. D’altra parte l’art. 345 cod. proc. civ.
consente comunque al giudice di appello di ammettere nuovi

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costituente una parte che si presenti a ciò specificamente e

mezzi di prova, ove ritenuti indispensabili. La motivazione
della sentenza, poi, sarebbe assolutamente carente in quanto
non spiega il perché la produzione del documento sia stata
dichiarata inammissibile.
3.2. Il motivo è sostenuto da quesiti di diritto

I primi due quesiti, infatti, si risolvono in una generica
richiesta alla Corte di verificare

se vi sia stata violazione

e falsa applicazione di una serie di norme di legge ovvero se
vi sia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa la liquidazione del danno subito dalla ricorrente.
Il terzo quesito – maggiormente articolato e finalizzato a
sostenere che il Tribunale di Napoli avrebbe errato nel non
ammettere in secondo grado la produzione della fattura
attestante l’effettiva entità delle spese sostenute dalla
Lanzetta per le riparazioni alla propria vettura – pone alla
Corte una domanda che, di per sé, potrebbe implicare una
risposta positiva, ma che non coglie la

ratio decidendi della

pronuncia impugnata; per poter ammettere nuove prove in grado
d’appello, infatti, occorrerebbe dimostrare che non si è
potuto provvedere alla loro tempestiva produzione per cause
non imputabili alla parte, il che non è neppure prospettato
nel quesito formulato.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in
relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1224, 1282,

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palesemente inammissibili.

2043 e 2056 cod. civ., oltre a omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione.
Osserva la Lanzetta che il Tribunale avrebbe errato
nell’affermare che il giudice di primo grado aveva liquidato
la somma fissata per il risarcimento in moneta attuale, perché

ciò, la pronuncia impugnata sarebbe errata anche nella parte
in cui ha omesso di liquidare, oltre agli interessi dal
deposito della sentenza, anche gli interessi sulla somma
rivalutata, tenendo conto del fatto che interessi e
rivalutazione assolvono a due diverse funzioni risarcitorie.
4.2. Anche il secondo motivo è sostenuto da quesiti di
diritto palesemente inammissibili.
Analogamente a quanto rilevato a proposito del primo
motivo, infatti, i primi due quesiti si risolvono in una
generica richiesta alla Corte di verificare

se vi sia stata

violazione e falsa applicazione di una serie di norme di legge
ovvero

se vi sia omessa, insufficiente o contraddittoria

motivazione circa la liquidazione della svalutazione monetaria
e degli interessi legali.
Il terzo quesito – col quale si chiede alla Corte di
accertare se in tema di risarcimento danni da fatto illecito
la rivalutazione e gli interessi possano coesistere e se gli
stessi interessi possano essere calcolati su tutta la somma
liquidata per il capitale anche quella rivalutata dalla data
dell’illecito al deposito della decisione

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oltre a

il Giudice di pace nulla aveva specificato sul punto. Oltre a

sollecitare una risposta ovvia e priva di utilità ai fini
della decisione del caso concreto, dimostra ancora una volta
di non cogliere la ratio decidendi della pronuncia impugnata;
il quesito, infatti, non considera che la sentenza impugnata
dà conto del fatto che il Giudice di pace aveva liquidato la

interessi compensativi dal fatto al soddisfo.
Non è ben chiaro, quindi, quale sia la questione giuridica
che la Corte dovrebbe risolvere.
5. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate
in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto
ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in complessivi euro 1.500, di cui euro
200 per spese, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 17 maggio 2013.

somma in moneta attuale, aggiungendo sulla stessa gli

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