Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19586 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. II, 30/09/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 30/09/2016), n.19586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3787 – 2012 R.G. proposto da:

D.G.R. – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato

Berardino Ciucci ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via A.

Traversari, n. 55, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Marrano;

– ricorrente –

contro

D’.OS. – c.f. (OMISSIS) – A.G. – c.f.

(OMISSIS) – D.F.G. – c.f. (OMISSIS) – rappresentati

e difesi in virtù di procura speciale a margine del controricorso

dall’avvocato Sergio Della Rocca ed elettivamente domiciliati in

Roma, al viale Angelico, n. 103, presso lo studio dell’avvocato

Daniele Vagnozzi;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

D.P.S.;

– intimato –

e

B.A., D.B.G.N., D.B.G.

(quali eredi di R.A.D.B.);

– intimati –

Avverso la sentenza n. 1111 dei 5.10/22.12.2010 della corte d’appello

dell’Aquila.

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 16

giugno 2016 dal consigliere Dott. Abete Luigi;

Udito l’avvocato Berardino Ciucci per il ricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento

del primo e del secondo motivo del ricorso principale, in tal guisa

assorbiti il terzo ed il quarto, e per il rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 703 c.p.c., al tribunale di Pescara – sezione distaccata di San Valentino in Abruzzo Citeriore depositato in data 18.5.2004 D.G.R. e D.P.S., nel possesso di un passaggio pedonale e con mezzi meccanici lungo una strada unitamente a D’.Os., A.G., D.F.G. e R.A.D.B., esponevano che questi ultimi avevano apposto lungo la strada una catena metallica sorretta da paletti in ferro; che in tal guisa avevano precluso il passaggio con mezzi meccanici e reso difficoltoso il passaggio pedonale.

Chiedevano di essere reintegrati nel possesso.

Si costituivano i resistenti.

Assunte sommarie informazioni testimoniali, con ordinanza del 12.42005 il giudice adito dichiarava inammissibile il ricorso e condannava i ricorrenti a rimborsare alle controparti le spese di lite.

Avvero tale provvedimento esperivano appello D.G.R. e D.P.S.. Resistevano D’.Os., A.G. e D.F.G..

Non si costituiva e veniva dichiarato contumace R.A.D.B..

Con sentenza n. 1111 dei 5.10/22.12.2010 la corte d’appello de L’Aquila rigettava il gravarne e condannava gli appellanti alle spese del grado.

Premetteva la corte che il procedimento possessorio era stato incardinato antecedentemente alla “riforma” degli anni (OMISSIS) e che il gravato provvedimento assumeva “natura e sostanza di sentenza, impugnabile in appello” (così sentenza d’appello, pag. 3).

Indi dava atto che “la sospensione feriale dei termini opera e si applica per l’impugnazione di sentenza in materia possessoria” (così sentenza d’appello, pag. 4) e, dunque, che l’appello doveva reputarsi tempestivo.

Dava atto altresì che l’azione era senz’altro ammissibile, “atteso che il termine decadenziale annuale non era decorso all’ano della proposizione del ricorso” (così sentenza d’appello, pag. 5); che a tal fine dovevano reputarsi maggiormente attendibili le dichiarazioni degli informatori che avevano riferito che “la catena venne apposta tra l'(OMISSIS)” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Dava atto inoltre, in ordine al riscontro del possesso, che apparivano “maggiormente convincenti gli informatori di parte ricorrente che hanno (…) riferito di passaggi di parte attorea” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Dipoi evidenziava che “non controvertono le parti (…) sulla apposizione della catena ad opera di parte (…) appellata” (così sentenza d’appello, pag. 5) e che l’apposizione della catena – “alla luce della (sua) amovibilità manuale (…), di fatto non contrastata da parte ricorrente (…) – ha l’effetto solo di rendere più disagevole il passaggio veicolare: ciò che non consente la tutela invocata, risolvendosi semmai in mera molestia e non spoglio” (cosi sentenza d’appello, pag. 5).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.G.R.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese.

D’.Os., A.G. e D.F.G. hanno depositato controricorso contenente ricorso incidentale condizionato articolato in tre motivi; hanno chiesto in via principale dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso, in via subordinata accogliersi il ricorso incidentale condizionato; in ogni caso con il favore delle spese di lite.

D.P.S. non ha svolto difese.

Parimenti non hanno svolto difese B.A., D.B.G.N. e D.B.G. (quali eredi di R.A.D.B.).

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

I controricorrenti del pari hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia “violazione o falsa applicazione degli artt. 1168 e 1170 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” (così ricorso principale, pag. 5).

Deduce che contrariamente all’assunto della corte d’appello, “l’opera realizzata si risolve in un vero e proprio spoglio” (così ricorso principale, pag. 5); che invero “la collocazione della catena, lungi dal rendere solo disturbo all’attività di godimento dei ricorrenti, la limita grandemente, atteso che la catena (…) – pur se amovibile – è tuttavia sostenuta da degli inamovibili pali metallici che restringono in maniera consistente l’accesso” (così ricorso principale, pag. 6); che quindi “a nulla rileva che la catena medesima sia agevolmente rimovibile” (così ricorso principale, pag. 6).

Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia “nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)” (così ricorso principale, pag. 7).

Deduce che “la domanda di reintegrazione contiene in sè anche quella di manutenzione, essendo la molestia un quid minus rispetto alla limitazione del possesso” (così ricorso principale, pag. 8); che pertanto la corte di merito, qualificata – siccome ha qualificato – la situazione di fatto prospettata, avrebbe dovuto “applicarvi (…) il rimedio giuridico più idoneo” (così ricorso principale, pag. 8).

Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia “omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” (così ricorso principale, pag. 8).

Deduce che la corte distrettuale non ha per nulla valutato “la incidenza sulla transitabilità dell’intera strada dei paletti, infissi nel cemento, che di tale catena costituiscono il sostegno” (così ricorso principale, pag. 9); che, più esattamente, la corte territoriale avrebbe dovuto esplicitare i motivi per cui, a prescindere dall’amovibilità della catena, i paletti infissi nel cemento sono di per sè inidonei a configurare un atto di spoglio.

Con il quarto motivo il ricorrente principale denuncia “nullità della sentenza” (così ricorso principale, pag. 9).

Deduce che la corte aquilana ha provveduto d’ufficio a qualificare sub specie di molestia il comportamento delle controparti, che, dal canto loro, giammai avevano opinato in tal senso; che, conseguentemente, la corte “avrebbe avuto l’onere di sollecitare il contraddittorio (…) sul punto, (…) evitando di esporre le parti ad una decisione a sorpresa (…), come invece è accaduto” (così ricorso principale, pag. 10); che, in tal guisa, la corte d’appello ha violato il diritto di difesa e la garanzia del contraddittorio.

Con il primo motivo i ricorrenti incidentali denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 325, 326 e 327 c.p.c., della L. n. 742 del 1969, art. 3 e del R.D. n. 12 del 1941, art. 92.

Deducono che l’ordinanza del 12.4.2005 poi gravata d’appello è stata notificata al difensore di controparte in data 26.4.2005; che “l’atto di appello, notificato oltre un anno dopo, vale a dire in data 20/23 maggio 2006, risulta inconfutabilmente tardivo” (così ricorso incidentale, pag. 14; che la corte di merito ha erroneamente supposto che l'”ordinanza del primo grado di giudizio sarebbe stata notificata in data 15 aprile 2006 (e non 2005, anno del deposito dell’ordinanza e della sua comunicazione)” (così ricorso incidentale, pag. 14).

Deducono che l’atto di appello risulta comunque tardivo anche in relazione al termine “lungo”, “poichè proposto oltre l’anno decorrente dalla pubblicazione dell’ordinanza” (così ricorso incidentale, pag. 15), avvenuta il (OMISSIS); che, in particolare, il provvedimento appellato era stato assunto all’esito della fase sommaria, con conseguente inapplicabilità della sospensione feriale dei termini e con conseguente scadenza del termine in epoca antecedente al (OMISSIS).

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunciano omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Deducono che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, l’avversa azione di reintegrazione non è stata esperita entro un anno dal denunciato spoglio; che difatti essi controricorrenti hanno apposto la catena allo scopo di delimitare il confine dell’area di loro proprietà ed a tale fine hanno dato incarico all’architetto D.C.E.; che “la delimitazione dell’area di (loro) proprietà (…) è stata effettuata, come da denuncia di inizio attività prodotta in atti, tra il giorno (OMISSIS) e il giorno (OMISSIS)” (così ricorso incidentale, pag. 16); che di conseguenza l’azione di reintegrazione è dichiaratamente inammissibile, “dal momento che il ricorso possessorio (…) è stato depositato soltanto in data 18 maggio 2004, ben oltre il termine di un anno dal momento dell’asserito spoglio” (così ricorso incidentale, pag. 16).

Deducono che in tal senso risultano altresì decisive le dichiarazioni rese all’udienza del 14.7.2004 dall’architetto D.C.E.; che, in pari tempo, controparte “non ha fornito alcuna prova di segno contrario” (così ricorso incidentale, pag. 17); che infatti gli informatori addotti dalla controparte “hanno indicato il periodo in cui hanno avuto conoscenza dei paletti e della catena, già apposti, lungo la stradina in questione, senza apportare informazioni utili ad individuare il periodo di esecuzione dei lavori” (così ricorso incidentale, pag. 18); che d’altra parte le informazioni rese da A.A. e S.P. risultano prive di peculiare valenza, “perchè non frequentanti (costoro) abitualmente i luoghi di causa” (così ricorso incidentale, pag. 19).

Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali denunciano omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Deducono che, contrariamente all’assunto della corte territoriale ed alla stregua delle dichiarazioni rese dagli informatori addotti della stessa controparte, D.G.R., stabilmente residente negli Stati Uniti d’America, non ha avuto possibilità di “esercitare sulla strada (…) il possesso legittimante l’esercizio della (…) azione” (così ricorso incidentale, pag. 21); che al contempo gli informatori da essi controricorrenti indicati si sono dimostrati “ben a conoscenza dei fatti per cui è causa, dal momento che si tratta, in prevalenza, di residenti nella stessa strada dove risultano apposti la catena ed i paletti” (così ricorso incidentale, pag. 21).

Il primo motivo del ricorso principale è destituito di fondamento.

Al riguardo vanno previamente ribaditi gli insegnamenti di questa Corte di legittimità.

Ossia l’insegnamento secondo cui, in tema di azioni a difesa del possesso, la distinzione tra spoglio e molestia va posta non già sul piano della quantità, bensì su quello della natura dell’aggressione all’altrui possesso, nel senso che lo spoglio incide direttamente sulla “cosa” che ne costituisce oggetto, sottraendola in tutto o in parte alla disponibilità del possessore, mentre la molestia si rivolge contro l'”attività” di godimento del possessore, disturbandone il pacifico esercizio ovvero rendendolo disagevole o scomodo (cfr. Cass. 2.2.1980, n. 738; Cass. 6.12.1984, n. 6415).

Ossia l’insegnamento secondo cui la qualificazione della fattispecie concreta, come molestia nel possesso anzichè come spoglio (eventualmente non violento o clandestino), costituisce apprezzamento discrezionale del giudice di merito, effettuato in base alle prove acquisite nel processo, apprezzamento che è sottratto al sindacato della Corte di Cassazione, ove sia scevro da vizi logici e di diritto (cfr. Cass. 21.3.1977, n. 1087).

Su tale scorta si puntualizza quanto segue.

In primo luogo, che il motivo in disamina si specifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), atteso che, per un verso, D.G.R. censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte d’appello ha atteso, per altro verso, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

In secondo luogo, che è da condividere la qualificazione operata dalla corte abruzzese: nel segno delle indicazioni giurisprudenziali dapprima menzionate (il riferimento è a Cass. n. 738/1980 ed a Cass. n. 6415/1984) l’apposizione di una catena manualmente amovibile, non appare idonea ad incidere materialmente sulla “res”, propriamente sulla possibilità di transito, di passaggio, quanto, piuttosto, sull’ “attività”, sul quomodo della fruizione che il ricorrente ne ha, rendendola, al più, disagevole e meno comoda.

Del resto questa Corte ha avuto cura di precisare che l’installazione di un cancello sul fondo gravato da una servitù di passaggio non costituisce spoglio di questo diritto se, salvo un trascurabile disagio, non impedisce l’ingresso e il transito del proprietario del fondo dominante, ovvero non diminuisce apprezzabilmente l’ “utilitas” della servitù, perchè rientra nelle facoltà del proprietario del fondo servente quella di chiuderlo (cfr. Cass. 29.9.2000, n. 12949).

Fondato e meritevole di accoglimento è, viceversa, il secondo motivo del ricorso principale.

Al riguardo è analogamente sufficiente reiterare l’insegnamento di questa Corte.

Ossia l’insegnamento per cui, poichè spetta al giudice dare l’esatta qualificazione alla domanda indipendentemente dall’esattezza delle indicazioni della parte o dalla mancanza di indicazioni, con il solo limite di non mutarne gli elementi obbiettivi come fissati dall’attore, legittimamente il giudice può qualificare i fatti prospettatigli come spoglio, quali mere turbative, traendone le dovute conseguenze sul piano dei rimedi possessori, senza con ciò violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), atteso che la domanda di reintegrazione del possesso comprende quella di manutenzione costituendo la semplice turbativa un “minus” rispetto alla privazione totale del possesso (cfr. Cass. 17.6.1991, n. 6844; cfr. altresì Cass. 2.3.1998, n. 2262, secondo cui non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato il giudice che, nell’esercizio del potere di interpretazione della domanda, indipendentemente dall’esattezza delle indicazioni della parte e senza mutare gli elementi obiettivi fissati dall’attore, dispone la cessazione della turbativa anzichè la reintegrazione nel possesso, dato che la mera turbali-va costituisce un “minus” rispetto allo spoglio e nella domanda di reintegrazione nel possesso è implicita l’istanza di manutenzione dello stesso).

La corte di merito ha errato, pertanto, allorchè, pur ammettendo che la situazione denunciata dagli originari ricorrenti potesse rilevare come “mera molestia e non spoglio” (così sentenza d’appello, pag. 5), non ha dato seguito a tale riscontro.

Fondato e meritevole di accoglimento è pure il terzo motivo del ricorso principale.

E’ fuor di dubbio che il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).

In questi termini si rileva, per un verso, che la valutazione “di fatto” della corte distrettuale risulta indubitabilmente circoscritta al mero riscontro della “amovibilità manuale della catena” (così sentenza d’appello, pag. 5); per altro verso, che, siccome ha dedotto il principale ricorrente, la medesima corte territoriale ha omesso “del tutto di considerare la incidenza dei paletti” (così ricorso principale, pag. 9), ovvero di valutare la loro attitudine a integrare di per sè, a prescindere dall’amovibilità della catena, un atto di spoglio.

Occorre perciò che a tale vaglio la corte aquilana senz’altro attenda.

Non merita seguito il quarto motivo del ricorso principale.

Si è debitamente puntualizzato, in sede di disamina del secondo motivo del ricorso principale, che la domanda di reintegrazione del possesso comprende quella di manutenzione (costituendo la semplice turbativa un “minus” rispetto alla privazione totale del possesso), cosicchè non viola il principio della corrispondenza fra il chiesto e pronunciato il giudice che qualifichi i fatti prospettatigli come “molestia” anzichè come “spoglio” e ne tragga le dovute conseguenze sul piano della tutela possessoria.

In tale prospettiva è del tutto ingiustificata la deduzione del principale ricorrente a tenor della quale la corte d’appello avrebbe assunto una decisione “a sorpresa”, allorchè ha prefigurato che la situazione denunciata fosse atta a risolversi semmai in mera molestia e non già in uno spoglio.

E ciò, ben vero, a prescindere dal difetto di un precipuo interesse dello stesso ricorrente principale alla denuncia di siffatto ipotetico vizio, atteso che la caratterizzazione della situazione denunciata seppur in guisa di mera molestia comunque ridonda a suo vantaggio.

Il primo motivo del ricorso incidentale è immeritevole di seguito.

Si rimarca, in ordine al termine cosiddetto “breve”, rette in ordine all’asserita tardiva proposizione da parte di D.G.R. e D.P.S. dell’appello avverso l’ordinanza di prime cure in data 12.4.2005 allorchè era già decorso il termine “breve”, quanto segue.

In primo luogo, che dalla statuizione di seconde cure emerge che in grado di appello si è dibattuta l’ammissibilità del gravame esclusivamente in relazione al cosiddetto termine “lungo” di impugnazione (ammissibilità riscontrata dalla corte d’appello in dipendenza dell’operatività della sospensione feriale dei termini).

In secondo luogo, che la corte abruzzese, contrariamente a quanto assumono i ricorrenti incidentali, per nulla ha presupposto che l’odinanza del primo grado di giudizio sarebbe stata notificata in data 15 aprile 2006″ (così ricorso incidentale, pag. 14): al di là dell’impreciso riferimento alla data del 15.4.2006 anzichè alla data del (OMISSIS), la stessa corte, nel sintetizzare le deduzioni di parte appellata (ricorrente incidentale in questa sede) ha inconfutabilmente parlato di comunicazione non già di notificazione dell’ordinanza del 12.4.2005 (cjit sentenza d’appello, pag. 4).

In terzo luogo, che il ricorrente principale, in memoria ex art. 378 c.p.c. (cfr. pag. 4), ha testualmente argomentato: “parrebbe che controparte finga di non sapere che la notificazione di cui parla (più correttamente, comunicazione) è avvenuta ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, a cura della cancelleria; e non già ai sensi dell’art. 326 c.p.c., a cura della parte”.

In quarto luogo ed in ogni caso, che l’esame degli atti del giudizio di merito, cui questa Corte ha il potere – dovere di attendere, giacchè il motivo de quo agitur veicola un error in procedendo (e ciò, ben vero, a prescindere da qualsivoglia valutazione in ordine all’ottemperanza da parte dei ricorrenti incidentali agli oneri correlati al principio di “autosufficienza” del ricorso), dimostra indiscutibilmente che l’ordinanza di prime cure del (OMISSIS) è stato oggetto esclusivamente di comunicazione, esattamente in data (OMISSIS). Del resto, nella comparsa del 23.3.2009 con cui si sono costituiti in grado d’appello, D’.Os., A.G. e D.F.G. hanno assunto testualmente: “l’atto di citazione in appello, notificato in data 20/23 maggio 2006, risulta proposto fuori termine, atteso che risulta decorso il termine breve per proporre l’impugnazione, ex art. 325 c.p.c., allorchè l’ordinanza di che trattasi risulta comunicata in data 15 aprile 2005” (così comparsa di costituzione e risposta in grado d’appello di D’.Os., A.G. e D.F.G., pag. 2).

Ovviamente, è fuor di dubbio che la comunicazione dell’ordinanza di prime cure, siccome correttamente evidenzia il ricorrente principale, “è del tutto inidonea a far decorrere il c.d. termine breve di impugnazione” (così memoria ex art. 378 c.p.c., del ricorrente principale, pag. 4; in proposito, cfr. Cass. 14.1.1999, n. 329, alla cui stregua il principio secondo cui unicamente la notifica ad istanza di parte è idonea a determinare la decorrenza del termine breve per l’impugnazione delle sentenze – sicchè deve escludersi che la loro conoscenza, acquisita aliunde, anche per iniziativa dovuta all’ufficio, sia a tali fini rilevante – si estende anche ai provvedimenti adottati in forma diversa dalla sentenza che abbiano contenuto decisorio ed, in quanto tali, siano ricorribili per cassazione, se non altrimenti impugnabili).

Si rimarca, d’altra parte, in ordine al termine cosiddetto “lungo”, che il giudizio possessorio in primo grado ebbe a risolversi in “un’unica fase”, sicchè l’ordinanza in data (OMISSIS), all’insegna della pronuncia a sezioni unite di questa Corte di legittimità n. 480 del 203.1999 (maturata, quindi, in epoca antecedente alla “riforma” degli anni (OMISSIS)), era ed è da intendere in guisa di sentenza (cfr. Cass. sez. un. 480/1999, secondo cui il provvedimento con cui il pretore a conclusione della fase cosiddetta interdittale abbia respinto o accolto il ricorso possessorio, senza rimettere le parti innanzi a sè per la trattazione nella causa di merito, così concludendo definitivamente il giudizio e condannando anche la parte soccombente alle spese del procedimento, ha natura di sentenza indipendentemente dalla diversa definizione (in particolare, di ordinanza) datagli dal giudice, e quindi è impugnabile con l’appello; analoga qualificazione va attribuita, a prescindere dalla denominazione datagli, al provvedimento con cui il tribunale provveda sul reclamo (erroneamente) proposto contro una siffatta sentenza del pretore, qualora a sua volta provveda definitivamente sulla causa possessoria, condannando altresì una parte al rimborso delle spese del giudizio).

Su tale scorta, ai fini del computo del termine “lungo”, contrariamente all’assunto dei ricorrenti incidentali, correttamente la corte aquilana ha tenuto conto della sospensione dei termini correlata al periodo feriale (cfr. Cass. 21.4.1988, n. 3095, secondo cui la sospensione dei termini processuali in periodo feriale, prevista dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, trova applicazione, nel caso dei procedimenti possessori, unicamente alla fase sommaria a carattere cautelare; consegue che essa non è operante ove – in caso di unificazione della fase cautelare con quella di cognizione definitiva della domanda volta alla tutela del possesso – la prima si sia esaurita senza che sia stato emesso alcun provvedimento possessorio e quindi senza che sussista la necessità per il giudice di confermare, o meno, con sentenza un precedente provvedimento emesso in via provvisoria; cfr. Cass. 18.2.2008, n. 3955, secondo cui nei procedimenti possessori e cautelari, l’eccezione al principio generale della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, stabilita dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3, in relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), opera con riguardo alla fase a carattere sommario, intrinsecamente caratterizzata dal requisito dell’urgenza, mentre nella successiva fase a rito ordinario, compresa quella di impugnazione, ovvero nel caso in cui si proceda congiuntamente alla trattazione del merito, trova applicazione la regola generale della sospensione dei termini).

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale sono strettamente correlati.

Se ne giustifica pertanto la disamina congiunta.

Entrambi i motivi comunque sono destituiti di fondamento.

Si premette che in ossequio, analogamente, al canone di “autosufficienza” del ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980), ben avrebbero dovuto i ricorrenti incidentali, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro dei loro assunti, riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso il tenore delle dichiarazioni rese dagli informatori tutti escussi in prima istanza (e non già limitarsi a menzionarne singoli stralci) nonchè riprodurre il testo dei documenti all’uopo allegati.

Si rappresenta, comunque, che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).

Si rappresenta, in particolare, che, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).

Nei termini teste enunciati l’iter motivazionale che, in parte qua agitur, sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

Più esattamente la corte de L’Aquila (siccome si è analiticamente evidenziato in precedenza, in sede di “svolgimento del processo”) ha vagliato nel complesso – non ha dunque obliterato la disamina di punti decisivi – e dipoi ha in maniera inappuntabile selezionato il materiale probatorio cui ha inteso ancorare il suo dictum, altresì palesando in forma nitida e coerente il percorso decisorio seguito.

In ogni caso ed a rigore con i motivi in disamina i ricorrenti incidentali null’altro prospettano se non un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti (“risultano decisive le dichiarazioni rese all’udienza del 14 luglio 2004 dal primo informatore di parte resistente, l’Arch. D.C.E.”: così ricorso incidentale, pag. 17;

ancor più illuminante sotto l’aspetto del mancato uso della strada ridetta, risulta il secondo informatore di parte ricorrente, il Sig. P.W. “: così ricorso incidentale, pag. 21).

I motivi de quibus, quindi, involgono gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

I motivi in esame, pertanto, si risolvono in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 263.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

In accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale la sentenza n. 1111 dei 5.10/22.12.2010 della corte d’appello de L’Aquila va cassata con rinvio ad altra sezione della medesima corte. In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale; rigetta il primo ed il quarto motivo del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza n. 1111 dei 5.10/22.12.2010 della corte d’appello de L’Aquila in relazione e nei limiti dei motivi del ricorso principale accolti; rinvia ad altra sezione della corte d’appello de L’Aquila anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2^ sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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