Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19586 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. II, 18/09/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 18/09/2020), n.19586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19760/2019 proposto da:

O.B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CAIROLI 8, presso lo studio dell’avvocato MARIA ELENA TARUFFI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE ANCONA, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

e contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3016/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.B.G., nato in (OMISSIS), ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 3016/2019, pubblicata il 18 dicembre 2018, che ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 9 febbraio 2018, la quale aveva a sua volta rigettato il ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale per la protezione internazionale di Ancona.

2. La Corte d’appello ha confermato il giudizio di non credibilità del racconto del ricorrente, ostativo al riconoscimento dello status di rifugiato, ed ulteriormente ha evidenziato che la situazione di pericolo nel Paese d’origine, come riferita dal ricorrente, originerebbe da questioni private, non sussumibili nel concetto di “persecuzione” che legittima la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8.

2.2. Quanto alla protezione sussidiaria – invocata con riferimento all’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – la Corte d’appello ha rilevato che nella zona di provenienza del ricorrente, il Delta State, non si registra una situazione di conflitto armato interno, tale da far ritenere fondatamente che un civile rientrato su quel territorio possa, per la sua sola presenza sul posto, correre il rischio di minaccia grave alla propria vita.

2.3. La stessa Corte ha escluso, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, che il ricorrente rientri nel novero delle persone a rischio di lesioni dei diritti umani o, comunque, vulnerabili.

3. Il ricorso per cassazione è articolato in tre motivi, ai quali resiste con controricorso il Ministero dell’interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 1, lett. a), comma 2, lett. a), b), c), d) e art. 8 e si contesta il mancato riconoscimento all’istante dello status di rifugiato, a fronte della allegata persecuzione ad opera del gruppo di culto al quale aveva aderito, in modo peraltro inconsapevole.

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis e si contesta il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, argomentato in modo apparente, senza il previo esercizio dei poteri istruttori officiosi finalizzati a verificare la credibilità dell’istante.

3. Con il terzo motivo è denunciato omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, e si lamenta che la Corte d’appello non avrebbe considerato che l’istante risulta “essere già stato titolare di contratto di lavoro a tempo determinato”, ha raggiunto un livello di integrazione sociale che gli consente di vivere dignitosamente, laddove il rientro in Patria, anche in ragione della giovane età e della mancanza di famiglia, lo esporrebbe a gravi rischi.

4. I motivi di ricorso, pure diversamente strutturati, contestano che la Corte di merito non avrebbe esaminato funditus i fatti e le ragioni del ricorrente, sicchè la motivazione con la quale è stata esclusa la credibilità del racconto sarebbe apparente; in ogni caso sarebbe mancato il doveroso approfondimento officioso.

4.1. Le doglianze non sono fondate.

La Corte d’appello ha argomentato su tutti i profili rilevanti, evidenziando in particolare che la genericità del racconto del ricorrente – privo non solo di riscontri, ma anche di riferimenti spazio-temporali precisi – non ha neppure consentito l’esercizio di poteri istruttori officiosi.

L’apprezzamento relativo alla non credibilità della narrazione dell’istante sfugge al sindacato di questa Corte, se è congruamente motivato, come nel provvedimento qui impugnato. Quanto al dovere di cooperazione istruttoria, va ribadito che esso non sorge per il solo fatto che il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile, con la conseguenza che se manca questa attendibilità neppure sorge quel dovere (ex plurimis, Cass. 07/08/2019, n. 21123; Cass. 05/02/2019, n. 3340; Cass. 27/06/2018, n. 16925).

5. Non sussistono le denunciate violazioni di legge.

5.1. Come riportato nel dettaglio dalla Corte di merito, nella fattispecie concreta non era ravvisabile nessuna delle situazioni persecutorie alle quali la legge nazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8), richiamando l’art. 1 A della Convenzione di Ginevra, collega il riconoscimento dello status di rifugiato. I fatti narrati – il coinvolgimento in una sparatoria assieme ad alcuni membri dell’organizzazione di culto alla quale apparteneva, l’arresto e la detenzione per 8 mesi, la fuga dal carcere – non evidenziano una situazione persecutoria neppure indirettamente riconducibile alle ipotesi tipizzate dal legislatore, essendo l’arresto e la detenzione collegati alla sparatoria e non all’esercizio di un culto o all’appartenenza ad una organizzazione religiosa.

5.2. Con riferimento alla protezione sussidiaria, la Corte d’appello ha precisato, richiamando dati pubblicati su siti specializzati, che la zona della Nigeria dalla quale proviene il ricorrente – il Delta State – non è tra quelle interessate da fenomeni di conflitto interno, da considerare ad alto rischio nei termini specificati dalla giurisprudenza sovranazionale (cfr. Corte di Giustizia, Meki Elgafaji-Noor Elgafaji c. Staatssecretaris van Justitie, C-465/07, 17 febbraio 2009).

5.3. Allo stesso modo, sempre ai fini dell’esclusione della protezione sussidiaria, la Corte d’appello ha valorizzato il fatto che il timore connesso al rimpatrio non fosse legato, nella prospettiva del ricorrente, a possibili azioni terroristiche nell’area del Paese da cui egli proviene, quanto alla condizione di precarietà economica del proprio villaggio, precarietà che, come è noto, di per sè stessa non costituisce situazione rilevante nel sistema normativo vigente ai fini del riconoscimento della protezione internazionale (ex plurimis, Cass. 03/04/2019, n. 9304).

6. La sentenza impugnata risulta immune da censure anche con riferimento alla mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

6.1. In premessa la Corte d’appello ha correttamente ribadito l’affermazione ormai consolidata nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario – ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – e pertanto non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., art. 5, comma 6, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione (ex plurimis, Cass. 04/08/2016, n. 16362; Cass. 26/06/2012, n. 10686).

6.2. Nel merito dell’istanza, la Corte d’appello ha osservato che non risultavano allegate nè dimostrate specifiche situazioni soggettive tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, e che non era ravvisabile, nella situazione personale dell’istante, la condizione di vulnerabilità non rientrante tra le misure tipiche che è tutelata attrvareso la protezione umanitaria.

6.3. Quanto al denunciato omesso esame del fatto che il ricorrente avrebbe svolto attività lavorativa in Italia, si tratta di doglianza inammissibile in radice, poichè il ricorrente non specifica quando e come avrebbe dedotto tale circostanza nei giudizi di merito. Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, il ricorrente il quale denunci in sede di legittimità l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, è onerato, a pena d’inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (ex plurimis, Cass. 05/08/2019, n. 20914, in motivazione; Cass. 07/06/2017, n. 14107).

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizi di legittimità, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.100,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

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