Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19585 del 26/09/2011

Cassazione civile sez. I, 26/09/2011, (ud. 06/06/2011, dep. 26/09/2011), n.19585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso l’avvocato

VACCARO PAOLA (STUDIO AVV. VALORI), rappresentata e difesa

dall’avvocato ZOMPI’ FRANCESCO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 12 6, presso l’avvocato

QUATTROCCHI ANDREA, rappresentato e difeso dall’avvocato VALENTINI

MAURIZIO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 484/2008 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 27/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il sig. M.F. con citazione del 18 luglio 2006 chiedeva alla Corte d’appello di Lecce di dichiarare efficace nello Stato italiano la sentenza del 24 giugno 2004 del Tribunale ecclesiastico regionale pugliese, confermata dal Tribunale ecclesiastico di seconda istanza di Benevento in data 21 dicembre 2005 e munita di decreto in data 5 maggio 2006 di esecutività della Segnatura Apostolica, che aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario celebrato in data 8 settembre 1990 fra l’istante e la sig.ra N.R.. Quest’ultima si costituiva in giudizio opponendosi alla domanda, sotto vari profili, deducendo che la Sacra Rota, essendo stata proposta istanza di riesame della decisione di nullità, aveva sospeso l’efficacia esecutiva del decreto del Tribunale Beneventano di seconda istanza con provvedimento del 23 giugno 2006; che inoltre la sentenza era stata emessa in violazione del diritto di difesa e contrastava con l’ordine pubblico. In subordine chiedeva una provvisionale ex art. 129 bis cod. civ. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza depositata il 27 agosto 2008, notificata il giorno 1 ottobre 2008, disattese l’istanza di sospensione del giudizio in attesa della decisione in sede ecclesiastica sulla domanda di riesame e dichiarò efficace la sentenza ecclesiastica nell’ordinamento italiano, respingendo la domanda di provvisionale. La sig.ra N. ricorre avverso tale sentenza con atto notificato alla controparte in data 29 novembre 2008, formulando quattro motivi. La parte intimata resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.Va pregiudizialmente respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente per non essere stato espressamente indicato nei singoli motivi a quale fra le violazioni previste dall’art. 360 c.p.c. intendesse farsi riferimento, essendo del tutto chiara sia in base all’intestazione dei motivi che ai quesiti la prospettazione di violazioni di legge.

2.1.Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. n. 121 del 1985, art. 8 e dell’art. 4, lett. b), dell’allegato Protocollo addizionale in quanto la Corte d’appello avrebbe erroneamente disatteso l’eccezione di difetto dì esecutività della sentenza ecclesiastica in quanto il decreto di sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto del tribunale ecclesiastico di seconda istanza non proveniva dalla Segnatura Apostolica ma dal Tribunale Apostolico della Rota Romana. Si deduce che il decreto di esecutività della Segnatura è un istituto creato dal Concordato, reso necessario dal fatto che le sentenze canoniche in materia di stato delle persone ai sensi del canone 1643 del codice canonico non passano mai in giudicato e quindi, senza un’apposita regolamentazione di raccordo, non sarebbero mai delibatali nell’ordinamento italiano. Peraltro il giudice della delibazione non poteva prescindere dalla disposizione dell’art. 4, lett. b) del Protocollo addizionale alla L. n. 121 del 1985, a norma del quale con riferimento alla L. n. 121 del 1985, art. 8, n. 2″, ai fini dell’applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c. si dovrà tener conto della specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale e in particolare che “i richiami fatti dalla legge italiana alla legge del luogo in cui si è svolto il giudizio si intendono fatti al diritto canonico”. Ne deriverebbe che a seguito del provvedimento con il quale il Tribunale della Rota Romana, in data 23 giugno 2006, in epoca anteriore alla instaurazione del procedimento di delibazione, aveva sospeso l’efficacia del decreto di ratifica del Tribunale ecclesiastico d’appello, era venuto meno uno dei requisiti necessari per la delibazione, cioè l’esistenza di una doppia decisione conforme dichiarativa della nullità del matrimonio. Ne sarebbe conseguita anche, secondo la prospettazione del ricorrente, l’inefficacia del decreto della Segnatura, con la conseguenza che era venuto meno il presupposto fondamentale del procedimento di delibazione: l’esistenza della declaratoria di nullità matrimoniale.

Si formula in proposito il seguente quesito: “Se possa o meno essere delibata nell’ordinamento italiano una sentenza emessa dal Tribunale Ecclesiastico Beneventano di appello della quale, a seguito d’istanza di riesame, sia stata sospesa l’esecutività dal Tribunale Apostolico della Rota Romana”.

2.2. Esaminando il motivo va pregiudizialmente respinta l’eccezione d’inammissibilità formulata dal controricorrente per avere parte ricorrente nel quesito denominato “sentenza” e non “decreto” il provvedimento del Tribunale Ecclesiastico Beneventano che secondo quanto esposto nel quesito ha confermato la sentenza ecclesiastica di primo grado, non influendo tale circostanza in alcun modo sulla evidenza della problematica prospettata.

Il motivo, peraltro, è infondato.

Premesso che la Corte d’appello si è limitata ad affermare – senza che in proposito siano state formulate specifiche censure – che a seguito della sospensione dell’esecutività del provvedimento da delibare del Tribunale Ecclesiastico Beneventano, pronunciata dal Tribunale Apostolico della Rota Romana, non poteva farsi luogo alla sospensione del processo di delibazione, in relazione al motivo va considerato quanto segue.

Il canone 1643 del Codice canonico statuisce che le sentenze rese dai tribunali ecclesiastici in materia di stato delle persone non passano mai in giudicato. In materia di cause di nullità del matrimonio, il canone 1682 prevede che la sentenza di primo grado che abbia dichiarato la nullità del matrimonio va in ogni caso trasmessa, anche in mancanza d’impugnazioni, al tribunale di appello entro venti giorni dalla pubblicazione e tale tribunale “ponderate le osservazioni del difensore del vincolo e anche delle parti, se ve ne siano” , dovrà alternativamente o confermare la decisione con decreto motivato, ovvero ammetterla all’esame ordinario nel nuovo grado.

Il canone 1684, pur non essendo ammesso il passaggio in giudicato di tali sentenze, statuisce che “dopo che la sentenza che dichiarò il matrimonio in primo grado fu confermata in grado di appello con decreto o con una seconda sentenza, coloro il cui matrimonio fu dichiarato nullo possono contrarre nuove nozze appena il decreto o la nuova sentenza siano stati loro notificati, a meno che non lo proibisca un divieto apposto alla sentenza stessa o al decreto oppure stabilito dall’Ordinario del luogo”. Peraltro il canone 1644 statuisce che “se furono emesse due sentenze conformi in una causa sullo stato delle persone”, (ovvero, ai sensi del canone 1684 anche ove la sentenza che dichiarò la nullità del matrimonio fu confermata con decreto), “si può adire il tribunale d’appello in qualsiasi momento, adducendo nuove gravi prove o argomenti”. In tal caso detto tribunale stabilisce con decreto se la nuova proposizione della causa si debba ammettere o no. Il canone stabilisce inoltre che “l’appello al tribunale superiore per ottenere la nuova proposizione della causa non sospende l’esecuzione della sentenza, a meno che la legge non stabilisca altrimenti, oppure il tribunale d’appello non ordini la sospensione a norma del canone 1650”. Tale provvedimento, peraltro, non incide sull’esistenza della declaratoria di nullità, che potrà essere rimossa solo dalla sopravvenienza di una doppia sentenza conforme in senso contrario. In correlazione con tale normativa canonistica l’art. 8, n. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense del 1929, ratificato e reso esecutivo con L. 25 marzo 1985, n. 121, dispone: “Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della Corte d’appello quando questa accerti: a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente articolo; b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano; c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere”.

L’art. 4, lett. b) del “Protocollo Addizionale” allegato all’Accordo su detto statuisce a sua volta, in relazione al su detto art. 8, n. 2 che “ai fini dell’applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c., si dovrà tener conto della specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto origine. In particolare: 1) si dovrà tener conto che i richiami fatti dalla legge italiana alla legge del luogo in cui si è svolto il giudizio si intendono fatti al diritto canonico; 2) si considera sentenza passata in giudicato la sentenza che “sia divenuta esecutiva secondo il diritto canonico”.

L’abrogazione degli artt. 796 e 797 c.p.c., sancita dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 73, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, non è idonea, in ragione della fonte di legge formale ordinaria da cui è disposta, a spiegare efficacia sulle disposizioni dell’Accordo, con protocollo addizionale, di modificazione del Concordato lateranense (firmato a Roma il 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con la L. 25 marzo 1985, n. 121).

Disposizioni le quali – con riferimento alla dichiarazione di efficacia, nella Repubblica italiana, delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici contengono un espresso riferimento all’applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c. (così l’art. 4 del protocollo addizionale, in relazione all’art. 8 dell’Accordo). Ne consegue che il giudice italiano, al fine di decidere sulla domanda avente ad oggetto la predetta dichiarazione di efficacia, deve continuare ad applicare i menzionati articoli del codice di rito civile, i quali risultano perciò connotati, relativamente a tale specifica materia ed in forza del principio concordatario accolto dall’art. 7 Cost. (comportante la resistenza all’abrogazione delle norme pattizie, le quali sono suscettibili di essere modificate, in mancanza di accordo delle Parti contraenti, soltanto attraverso leggi costituzionali), da una vera e propria ultrattività (Cass. sez. un. 18 luglio 2008, n. 19809; Cass. 10 dicembre 2010, n. 24990; 25 maggio 2005, n. 11020; 30 maggio 2003, n. 8764).

Pertanto, richiedendo, sotto il profilo formale, l’art. 797 c.p.c., n. 4, ai fini della delibazione, quale condizione per l’accoglimento della domanda (Cass. 15 gennaio 2009, n. 814) che secondo il Concordato e la legge di esecuzione ciascuna delle parti ha diritto a proporre, il passaggio in giudicato della sentenza da delibare e avendo gli accordi concordatari stabilito (art. 4, lett. b, del Protocollo Addizionale,) – con una “fictio juris” correlata alla particolarità del diritto canonico, secondo il quale le decisioni in materia di stato delle persone non passano mai in giudicato – che “si considera sentenza passata in giudicato la sentenza che sia divenuta esecutiva secondo il diritto canonico” in base all’attestazione datane dall’organo della Santa Sede a ciò designato (il Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica) , una volta che la decisione ecclesiastica sia “divenuta esecutiva” secondo la su detta attestazione, nessun rilievo possono avere, dopo l’emanazione del decreto di detto organo, sulla delibabilità della decisione ecclesiastica i successivi provvedimenti che vengano emessi nell’ambito della giurisdizione ecclesiastica in relazione alla domanda di una parte di riapertura del processo canonico.

Detti provvedimenti, infatti, non sono presi in considerazione dagli accordi concordatari e dalla legge di ricezione cosicchè, dovendosi considerare, per l’ordinamento italiano, la decisione dichiarativa della nullità come passata in giudicato a seguito dell’attestazione del decreto della Segnatura che essa è “divenuta esecutiva” – con correlativa attribuzione, alla parte interessata, sotto tale profilo, del diritto potestativo di ottenerne la delibazione – solo la sopravvenienza di una sentenza ecclesiastica di annullamento di quella che ha dichiarato la nullità matrimoniale (sopravvenienza mai dedotta nel presente giudizio), dando luogo a un evento giuridico assimilabile in qualche modo alla revocazione del nostro diritto processuale (Cass. 9 dicembre 1985, n. 6215), inficiando la validità della decisione da delibare (ancorchè per il perfezionarsi di un’opposta decisione sullo “status” per il diritto canonico occorra un’ulteriore decisione conforme), fa venir meno il diritto della parte interessata a ottenerne, in presenza delle altre condizioni di legge, la delibazione.

Ne consegue l’infondatezza del primo motivo.

3.1.Con il secondo motivo si denuncia ancora la violazione della L. n. 121 del 1985, art. 8. Si deduce in proposito che la Corte d’appello avrebbe errato anche nel rigettare l’eccezione di contrarietà della sentenza ecclesiastica all’ordine pubblico in relazione alla non conoscenza e conoscibilità della riserva mentale da parte della ricorrente, richiamando nella motivazione la sentenza n. 27078 del 2005 di questa Corte, non conferente in relazione alla fattispecie, riguardando il caso opposto a quello in esame, in cui la delibazione era stata chiesta dal coniuge che non conosceva la riserva mentale.

Si formula il seguente quesito: “Se il coniuge cui non sia addebitabile la causa di annullamento del matrimonio possa, o meno, invocare la violazione dell’inderogabile principio della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, laddove non abbia conosciuto la volontà viziata dell’altro coniuge”.

Con il terzo motivo si denuncia ancora la violazione della L. n. 121 del 1985, art. 8. Si deduce al riguardo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente addossato alla ricorrente l’onere di provare che non conosceva la riserva mentale del marito, e ritenuto provata la conoscenza della riserva mentale della controparte per avere il decreto di ratifica “menzionato le occasioni in cui il M. aveva espresso alla N. le sue perplessità circa il matrimonio”. Tale prova si fonderebbe, infatti, su mere allegazioni dello stesso M. e sarebbe del tutto inconciliabile sia con la durata del fidanzamento sia con quella di circa dieci anni del matrimonio, con due gravidanze (non andate a termine per motivi naturali).

Si formula al riguardo il seguente quesito: “Se possa o meno pronunciarsi l’annullamento del matrimonio nel caso in cui la parte convenuta non dimostri la non conoscenza della riserva mentale del coniuge convivente”.

Entrambi tali motivi sono inammissibili, in relazione al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., essendo i relativi quesiti formulati in modo del tutto astratto e non correlato con la motivazione della sentenza impugnata.

4.1.Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 129 bis cod. civ., per avere negato la sentenza impugnata il diritto della ricorrente all’indennità prevista da tale articolo, sul presupposto che essa fosse a conoscenza della riserva mentale del marito. Si deduce che l’articolo richiede che la nullità del matrimonio sia imputabile ad un coniuge e l’altro versi in buona fede e nel caso di specie sussistevano entrambi i requisiti, il primo essendo incontroverso e dovendosi escludere che la ricorrente fosse a conoscenza della riserva mentale del marito, come dimostrato da diciannove anni di relazione sentimentale, di cui dieci di convivenza, sulla base dell’allegazione di dichiarazioni dell’altro coniuge di mera contrarietà al matrimonio.

Si formula il seguente quesito: “Se possa o meno negarsi il diritto del coniuge incolpevole a ricevere l’indennità di cui all’art. 129 bis cod. civ. ove lo stesso non dimostri la non conoscenza della causa di nullità del matrimonio”.

Il motivo è inammissibile, dovendosi interpretare la sentenza impugnata (secondo quanto risulta dalla motivazione; a pag. 10) nel senso che essa abbia rigettato la richiesta di una provvisionale, in relazione all’art. 129 bis c.p.c., esulando dalla sua competenza, come da essa affermato, ogni decisione definitiva al riguardo:

statuizione non ricorribile in questa sede (Cass. 18 maggio 2007, n. 11654; 19 novembre 2003, n. 17535).

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

In relazione alle particolarità della fattispecie si ravvisano giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2011

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