Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19584 del 09/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 09/07/2021, (ud. 22/01/2020, dep. 09/07/2021), n.19584

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21667/2016 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DELLA CROCE ROSSA 1, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA

CARINO, che larappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliato ROMA, VIA UGO DE CAROLIS

77, presso lo studio dell’avvocato LUCIO BARLETTA, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1853/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/07/2016 R.G.N. 916/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso in

s ordine rimessione alle Sezione Unite;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’, per delega verbale Avvocato

PATRIZIA CARINO;

udito l’Avvocato LUCIO BARLETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte distrettuale di Roma, con la sentenza n. 1853/2016, pubblicata il 14.7.2016, ha accolto l’appello “in relazione all’eccezione di prescrizione” interposto da S.A., nei confronti della Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 12618/2012, resa il 6.7.2012, con la quale era stata respinta l’opposizione presentata dal medesimo S. – dipendente F.S. sino al 31.12.2001 – al decreto ingiuntivo n. 4424/2011 emesso dallo stesso Tribunale, notificato il 22.6.2011, “con il quale gli era stato ingiunto il pagamento in favore (del successore) dell’ex-datore di lavoro della somma di Euro 27.277,38, oltre interessi successivi e spese legali”, corrisposta al dipendente in esecuzione della sentenza del Pretore di Roma del 18.3.1988 (con cui l’Ente Ferrovie dello Stato era stato condannato al pagamento della somma di Lire 14.462.2000 a titolo di adeguamento di compensi per lavoro straordinario prestato dal 1979 al 1986), successivamente riformata parzialmente dal Tribunale della stessa città con sentenza del 19.1.2000, “con la quale era stata riconosciuta al lavoratore la minor somma per sorte capitale di Lire 1.534.895, passata in giudicato”.

La Corte di Appello, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e, per quel che ancora in questa sede rileva, ha osservato che “per costante giurisprudenza della S.C. il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge ai sensi dell’art. 336 c.p.c., per il solo fatto della riforma della sentenza e può essere richiesto automaticamente, se del caso anche con procedimento monitorio, trovando applicazione il principio “restituito ante omnia” (cfr. Cass. n. 6579/2003, n. 16254/2003, n. 11729/2004)”; ha, inoltre, sottolineato che il diritto della società datrice ad ottenere la restituzione delle somme è soggetto a prescrizione decennale – data l’autonomia della domanda restitutoria -, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma, ed altresì che “non risultano validi atti interruttivi della prescrizione del diritto alla restituzione (il cui termine iniziale coincide con la data del dispositivo della sentenza del Tribunale – 19.1.2000 – in sede di appello di parziale riforma della sentenza del Pretore in base alla quale era stata promossa azione esecutiva) anteriori alla diffida stragiudiziale inviata dalla società al debitore e da questi ricevuta il 29.11.2010, ossia circa 10 anni e 10 mesi dopo la lettura del dispositivo della sentenza, a partire dal quale la società poteva esercitare il proprio diritto di credito alla restituzione della somma pagata in eccesso”.

Per la cassazione della sentenza ricorre la Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. articolando cinque motivi, ulteriormente illustrati da memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

S.A. ha resistito con controricorso.

La causa, inizialmente fissata all’adunanza camerale del 23.9.2019, è stata rinviata a nuovo ruolo – e, successivamente, fissata alla pubblica udienza del 22.1.2020 -, avendo il Collegio ritenuto che non sussistessero i presupposti per la trattazione della stessa in Camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 132 c.p.c., perché, a fronte dell’eccezione, formulata in sede di gravame, della inammissibilità dell’appello avversario, “perché carente dei requisiti di cui all’art. 434 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 134 del 2012”, la Corte di merito “si è laconicamente pronunciata, ritenendo inammissibile l’appello, in quanto contenente i requisiti di specificità di cui all’art. 434 c.p.c…..”.

2. Con il secondo motivo di deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,132 c.p.c., art. 342 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 2 e art. 434 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 2, “perché dalla lettura del ricorso in appello si ritiene che parte avversa, contrariamente a quanto apoditticamente affermato dai Giudici del gravame, non abbia adempiuto all’onere di motivazione prescritto, posto che l’intero atto di appello è incentrato sulla ricostruzione del fatto e sulle motivazioni in diritto articolate dalla società appellata in primo grado”.

3. Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033,2934,2936,2943,2945,2953 c.c. e art. 431 c.p.c. e si deduce che la prescrizione del credito per la restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado era stata interrotta con il ricorso in appello, proposto dalla società avverso la stessa sentenza, e che l’effetto interruttivo permaneva sino al passaggio in giudicato della sentenza di parziale riforma, che rigettava, in parte, il ricorso del dipendente; dal passaggio in giudicato della stessa, poi, a parere della società ricorrente, la stessa poteva fruire dell’ulteriore termine di dieci anni per richiedere il pagamento delle somme riconosciute in via definitiva, a prescindere dalla facoltà di mettere immediatamente in esecuzione il diritto riconosciuto con pronuncia provvisoria.

4. Con il quarto motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 101,112,115,345 e 437 c.p.c., per avere i giudici di secondo grado erroneamente affermato che “la lettera di diffida inviata al S. presso il domicilio eletto nel giudizio presupposto, ricevuta dal suo difensore in data 13.12.2004, non era idoneo atto interruttivo della prescrizione poiché il mandato doveva considerarsi cessato con il passaggio in giudicato della sentenza di gravame, autorizzando in tal modo l’introduzione di una nuova eccezione non proposta in primo grado”.

5. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1387,1392,1396,1703,1704 c.c. e art. 2943 c.c., comma 4, per non avere la Corte territoriale considerato che “l’atto di costituzione in mora ha efficacia interruttiva della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 4, anche qualora sia indirizzato al rappresentante del debitore e che tale è l’avvocato della parte, per giurisprudenza pacifica della Corte di Cassazione”.

1.1.; 2.2. I primi due motivi, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione non sono meritevoli di accoglimento, in quanto, perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità una “omessa pronunzia” – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008); ipotesi, questa, che la parte ricorrente non ha provato, perché non ha prodotto (né trascritto, né indicato tra i documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso di legittimità), in violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’atto di gravame del S. in cui si assume che siano carenti “i requisiti di cui all’art. 434 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 134 del 2012”; pertanto, questa Corte non ha potuto apprezzare la veridicità delle doglianze mosse, sul punto, alla sentenza oggetto del presente giudizio dalla società datrice (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 14541/2014; 80/2011).

3.3. Il terzo motivo non è fondato, in quanto la Corte territoriale è pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi agli ormai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass. nn. 6942/2019; 27131/2018) -, secondo cui “l’eliminazione, per effetto della L. 26 novembre 1990, n. 353, dell’inciso “con sentenza passata in giudicato” dal testo dell’art. 336 c.p.c., comma 2, ha comportato una immediata efficacia della sentenza di riforma (e di cassazione) sugli atti di esecuzione dipendenti dalla sentenza di primo grado riformata (ovvero di appello cassata)”, con la conseguenza che, “pubblicata la sentenza di riforma, viene meno” sia la efficacia esecutiva della pronunzia di condanna emessa in primo grado, sia la giustificazione degli atti di esecuzione compiuti, “siano essi spontanei o coattivi, con conseguente obbligo di restituzione delle somme riscosse e, in generale, del ripristino dello status quo ante” (v., ex multis, Cass. nn. 10124/2009; 5323/2009). Per la qual cosa, il termine di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza del primo giudice comincia a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma, ai sensi dell’art. 2935 c.c. e non dal momento, successivo del passaggio in giudicato della stessa sentenza. Peraltro, la stessa società ricorrente non ha contestato direttamente tali assunti, sostenendo, piuttosto, che la notifica dell’atto di gravame costituirebbe atto interruttivo della prescrizione, con effetti permanenti sino al passaggio in giudicato, anche della domanda di restituzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2943 c.c., commi 1 e 2 e art. 2945 c.c., comma 2. Ma tale tesi sarebbe condivisibile nel caso in cui nell’atto di gravame – o nel corso del giudizio di secondo grado, nell’ipotesi di esecuzione avvenuta successivamente alla proposizione della impugnazione – fosse stata effettivamente proposta una domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della pronunzia di primo grado. Ed invero, la giurisprudenza di legittimità “e’ consolidata nel senso della ammissibilità di una tale domanda, precisando che la stessa, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello” (v., ex plurimis, Cass. nn. 18611/2013; 16152/2010; ed altresì nn. 10124/2009 e 5323/2009, citt.). Nel caso di specie, invece, come innanzi osservato, la relativa domanda è stata formulata, per la prima volta, mediante un autonomo giudizio, instaurato dopo più di dieci anni dalla pubblicazione della sentenza di riforma. 4.4.; 5.5. Il quarto ed il quinto motivo, da trattare congiuntamente, perché connessi, non possono essere accolti, perché, innanzitutto, formulati in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce (arg. ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (v., ex plurimis, Cass. n. 14541/2014, cit. sub 1.1;2.2.). Nella fattispecie, invece, manca la produzione degli atti e dei documenti su cui il mezzo di impugnazione si fonda; in particolare, la parte ricorrente non ha prodotto, né trascritto, né indicato tra gli atti offerti in comunicazione unitamente al ricorso di legittimità, “la lettera inviata dalla società al difensore del S. nel giudizio presupposto, da quest’ultimo ricevuta in data 13.12.2004”, che, secondo la società ricorrente, costituirebbe valido atto interruttivo della prescrizione, né il verbale dell’udienza di discussione del 15.2.2012, “prima difesa utile”, in cui il medesimo S. nulla avrebbe “eccepito circa la ricezione della suddetta lettera” (v. pag. 30 del ricorso); né “le note autorizzate depositate il 6.6.2012″, in cui tale eccezione sarebbe stata tardivamente sollevata dal dipendente e, riguardo alla quale, nel controricorso (v. pag. 22) si deduce che la stessa sarebbe, invece, del tutto rituale, dato il differimento della prima udienza di discussione operato ai sensi dell’art. 420 c.p.c., con concessione di un termine per note, che ha consentito al S. di precisare le proprie deduzioni, con particolare riferimento alla specifica difesa introdotta in giudizio dalla RFI con la memoria di costituzione, in ordine alla permanenza o meno del mandato professionale in capo al difensore del S. nel giudizio presupposto”. Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare compiutamente la veridicità delle doglianze svolta dalla parte ricorrente con i mezzi di impugnazione in esame.

Ciò premesso, va, comunque, osservato che, correttamente, i giudici di seconda istanza hanno affermato che la lettera inviata dalla società al difensore del S., “ricevuta da quest’ultimo il 13.12.2004, non ha efficacia interruttiva del diritto alla restituzione, perché il giudizio in questione era all’epoca concluso e non è configurabile una ultrattività della procura dopo il passaggio in giudicato della sentenza resa nel giudizio presupposto”, non ricorrendo “neppure analogia tra il caso in esame e quello oggetto della sentenza di questa Corte n. 104/12 prodotta dalla società, atteso che in tale controversia si discuteva della prescrizione quinquennale o decennale del diritto alla restituzione, mentre nella presente si discute dell’avvenuto decorso della prescrizione decennale”.

3. Per tutto quanto esposto, il ricorso va rigettato.

4. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 1 5 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2021

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