Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19583 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. un., 19/07/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 19/07/2019), n.19583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez. –

Dott. TRIA Lucia – Presidente di Sez. –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36580/2018 proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

PROCURA GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

L.F., MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimati –

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 76,

presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Naccarato, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mario Serio;

– ricorrenti successivi –

nei confronti di:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 164/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 24/10/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del

primo e del secondo motivo del ricorso del Procuratore Generale;

accoglimento del settimo e nono motivo dell’incolpato; accoglimento

del ricorso del Ministero, nei limiti indicati dal ricorso del

Procuratore Generale; in via subordinata, accoglimento del terzo

motivo del ricorso del Procuratore Generale;

uditi gli avvocati Verdiana Fedeli per l’Avvocatura Generale dello

Stato, Giuseppe Naccarato e Mario Serio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha inflitto la sanzione della perdita di anzianità per la durata di due mesi a L.F., dichiarandolo responsabile degli illeciti disciplinari relativi ai primi sei capi d’incolpazione a suo carico ed assolvendolo in relazione agli ultimi tre.

1.1 La responsabilità disciplinare è stata affermata in relazione sia ad illeciti extrafunzionali che funzionali. Quanto agli illeciti extrafunzionali, è stato ritenuto sussistente l’illecito consistente nell’aver esorbitato dalla qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi per sè o per altri riguardanti l’aver acconsentito ad assumere la funzione di giudice delegato (il 26 novembre 2010) e successivamente (il 26 maggio 2011) quella di presidente di un collegio costituito ad hoc, dopo aver avuto la conferma dal presidente della sezione misure di prevenzione che il marito della stessa aveva assunto la funzione di coadiutore nell’amministrazione giudiziaria del procedimento in relazione al quale le due funzioni erano state esercitate. In particolare ha precisato la sezione disciplinare che tali peculiari funzioni giurisdizionali erano assunte in assenza delle necessarie e dovute variazioni tabellari e con la consapevolezza del conflitto d’interessi sussistente in capo alla presidente. In particolare, il ricorrente, in qualità di giudice delegato, in data 30 marzo 2012, su istanza dell’amministratore giudiziario, aveva consentito l’aumento del compenso richiesto dal coadiutore coniuge della presidente, peraltro formulato con istanza corredata di ampia motivazione, con un mero “visto si autorizzi” invece che con decreto motivato di competenza esclusiva del tribunale in composizione collegiale ed infine, di fronte al clamore mediatico sviluppatosi attorno alla sezione misure di prevenzione, in data 22 luglio 2015 aveva adottato un provvedimento di ratifica/autorizzazione nei confronti dell’amministratore giudiziario, sulla base di una nota dallo stesso predisposta. Questa decisione era risultata oggetto di una conversazione telefonica intercorsa tra il ricorrente e l’amministratore giudiziario, nella quale si era valutata la possibilità di spiegarne l’adozione in funzione della sfavorevole contingenza economica così da garantire la linearità della condotta del magistrato. Trattandosi di illecito di pericolo presunto, secondo la sezione disciplinare, è sufficiente che l’abuso della qualità sia astrattamente idoneo a conseguire il vantaggio ancorchè con schemi formalmente legittimi.

1.2 Il ricorrente è stato invece assolto dall’ulteriore incolpazione per illecito extrafunzionale relativo all’aver esercitato pressioni su un amministratore giudiziario al fine di far affidare un incarico ad una persona cui era legato da rapporti di amicizia, lamentando peraltro che la collocazione non era consona al livello professionale dello stesso. Tale illecito è stato escluso per l’impossibilità di verificare la natura, l’entità e l’insistenza delle pressioni esercitate.

1.3. Quanto agli illeciti funzionali il ricorrente veniva ritenuto responsabile in relazione ad un decreto di riconoscimento delle spese sostenute dai coadiutori giudiziari emesso in qualità di giudice monocratico, nonostante la legge prevedesse la competenza del giudice collegiale. Non veniva invece ritenuta necessaria, in ordine al provvedimento assunto, una specifica ed analitica motivazione, così escludendo tale parte dell’incolpazione.

1.4 Sempre in relazione agli illeciti di natura funzionale il ricorrente veniva riconosciuto responsabile del ritardo nel deposito di 183 decreti in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali, 104 dei quali con ritardi superiori all’anno, dell’omesso deposito di 7 decreti nonostante la maturazione del triplo dei tempi previsti dalla legge; di un deposito successivo ai mille giorni ed un altro di 601 giorni. Tali complessivi ritardi non potevano giustificarsi in relazione all’elevato carico di lavoro pure sussistente ma dovevano ascriversi al difetto di autorganizzazione, trattandosi di violazioni pluriennali che compromettono il prestigio e la credibilità dell’ordine giudiziario.

1.5 Veniva altresì ritenuto responsabile per il non aver provveduto alla fissazione dell’udienza, e all’approvazione di sei rendiconti depositati da uno a sei anni.

1.6 Il ricorrente veniva ritenuto responsabile anche dell’illecito funzionale consistente nell’aver provveduto a sostituire l’organo di vigilanza di due procedure (Italgas e Gas Natural), pur trattandosi di atti di straordinaria amministrazione e di aver liquidato compensi ai coadiutori in questa procedura, come giudice monocratico invece che con provvedimento collegiale, peraltro senza motivazione.

1.7 Inoltre, dopo aver disposto due sequestri con immissione in possesso, assumeva in riserva la decisione sulla confisca rimettendo sul ruolo la causa dopo oltre sei mesi nonostante l’urgenza e la prossima ed immediata scadenza dei termini che avrebbero reso inefficaci I predetti sequestri adducendo ragioni, relativi alle vicende disciplinari nelle quali era coinvolto non plausibili.

2. Per tutti gli illeciti di cui era ritenuto responsabile veniva esclusa la scarsa rilevanza del fatto in relazione alla gravità dell’illecito e alla effettiva lesione di beni giuridici presieduti dalla norma incriminatrice.

3. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la procura Generale presso la Corte di Cassazione con tre motivi, relativi alle incolpazioni per le quali il ricorrente è stato assolto ed alla sanzione inflitta ritenuta inadeguata nonchè il Ministero della Giustizia.

4. Il ricorrente ha formulato nove motivi di ricorso accompagnati da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Verranno illustrati rispettivamente il ricorso proposto da L.F., il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ed infine quello del Ministero della Giustizia.

6. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta l’inosservanza o l’erronea applicazione della L. n. 575 del 1965, artt. 2 sexies e 2 octies; art. 7 ter ord. giud. e della circolare del C.S.M. in materia di formazione delle tabelle oltre che la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riferimento all’incolpazione agli illeciti extrafunzionali di cui al paragrafo 2.1.1 della sentenza impugnata: capo 1 sub a) dell’incolpazione.

Il ricorrente contesta di aver “avallato” il comportamento illecito della presidente della sezione misure di prevenzione per essere stato nominato giudice delegato e presidente del Collegio nella procedura (OMISSIS) senza le necessarie variazioni tabellari, sottolineando che la nomina a giudice delegato è stata collegiale come richiesto dalla legge e che tale adempimento si è reso necessario a causa del trasferimento del precedente giudice delegato. Per quanto riguarda l’assunzione del ruolo di presidente del collegio per l’udienza del 26 maggio 2011, in assenza del Presidente titolare, non era necessaria alcuna variazione tabellare, essendo lui il componente più anziano del collegio. In entrambe le ipotesi formanti oggetto della contestazione erano state osservate le disposizioni vigenti. Non può pertanto desumersi da tali elementi che la presidente si sia ingerita nella gestione di queste specifiche procedure al fine di favorire interessi suoi o di prossimi congiunti anche attraverso l’assunzione delle funzioni descritte nell’incolpazione. Neanche nel seguito della motivazione, peraltro, la sentenza evidenzia elementi di prova dai quali dedurre che la nomina del ricorrente quale giudice delegato nei procedimenti in questione abbia avuto lo scopo di garantire indebiti vantaggi alla presidente. Ugualmente da escludere sono le ingerenze derivanti dalle iniziative poste in essere nel 2015 in quanto finalizzate esclusivamente dall’esigenza di difendersi dalle accuse allora formulate da alcuni organi di stampa. In questa chiave devono essere interpretate le richieste dal ricorrente all’amministratore giudiziario, oggetto d’intercettazioni telefoniche, essendo necessario procedere con urgenza a fornire ai capi degli uffici tutte le informazioni dagli stessi richieste.

7. Nel secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione della L. n. 575 del 1965, artt. 2 sexies, septies ed octies e la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione al capo d’incolpazione sub. 1 b). Si tratta dell’incolpazione relativa all’aumento di compenso concesso al coadiutore, ing. C., dell’amministratore giudiziario, con provvedimento non motivato del ricorrente in qualità di giudice istruttore senza che tale aumento fosse giustificato nelle attività prestate dal professionista e senza un provvedimento collegiale come previsto per legge. E’ stata ritenuta la consapevolezza del ricorrente dell’illegittimità dell’aumento da una intercettazione telefonica del 2015, relativa ad un colloquio con l’amministratore giudiziario. Al riguardo il ricorrente rileva che, in sede di concessione dell’aumento, non erano necessari ulteriori controlli e una puntuale motivazione a fronte della dettagliata descrizione degli incarichi (attestati da procura notarile, oggetto di separata autorizzazione del precedente giudice delegato) e delle attestazioni specifiche dell’amministratore giudiziario in relazione alle attività che giustificavano i compensi. Peraltro dal decreto di archiviazione in atti è emersa l’estraneità completa del L. dall’attività corruttiva che ha coinvolto l’amministratore giudiziario e l’ing. C., i quali hanno fondato le richieste su attestazioni false che inducono a ritenere il ricorrente vittima dell’attività delittuosa commessa da altri e non coautore della stessa. Inoltre doveva rilevarsi che il C. non era coadiutore in senso tecnico in quanto dipendente delle società sotto sequestro ed infine la telefonata intercettata non può in alcun modo sostenere la consapevolezza dell’illegittimità dell’aumento del compenso, trattandosi di un colloquio nel quale il L. chiedeva informazioni e chiarimenti all’amministratore giudiziario per provvedere sollecitamente a fornire le risposte che i capi degli uffici richiedevano essendo già venuta alla luce (2015) la vicenda relativa alla sezione misure di prevenzione.

9. Con il terzo motivo le medesime censure vengono dedotte in relazione all’incolpazione sub 1 c) ovvero l’illecito consistente nella volontà dell’incolpato di fornire una motivazione del provvedimento di revoca dell’ing. C. che potesse tutelare la presidente della Sezione a seguito delle notizie che avevano investito la sezione.

Il ricorrente afferma che la incolpazione deriva dal contenuto di una conversazione telefonica intercorsa con l’amministratore giudiziario, all’esito della quale si concorda di giustificare la revoca dell’ing. C. in virtù dell’esistenza di una congiuntura economica sfavorevole oltre che sull’inutilità della figura professionale. Ma non sono precisate le ragioni per le quali da questa conversazione possa inferirsi la dolosa volontà di tutelare la presidente della sezione, tenuto conto che si tratta di direttive impartite dal giudice delegato all’amministratore giudiziario, peraltro fondate su precisa richiesta del presidente della Corte d’Appello. La decisione e la sua giustificazione sono state, pertanto, dettate soltanto dall’esigenza di tutelare l’ufficio a fronte del clamore mediatico e sono state comunicate ai vertici dell’ufficio senza ricevere contestazioni o riserve.

10. Si ritiene, per ragioni di ordine logico di esaminare separatamente le censure relative agli illeciti extrafunzionali e quelle riguardanti gli illeciti funzionali.

11. In relazione al primo motivo deve essere accolta la censura nei limiti della incolpazione riguardante la illegittimità della designazione del ricorrente come giudice delegato nel procedimento (OMISSIS) e nell’assunzione della funzione di presidente del Collegio per l’udienza del 26 maggio 2011. La contestazione precisa che l’addebito consiste proprio nell’aver acconsentito ad assumere le funzioni in questione senza un provvedimento di variazione tabellare. Non viene contestato al ricorrente di non aver richiesto di astenersi ma di aver accettato una nomina non legittimamente adottata. La parte ricorrente ha tuttavia dimostrato, (docomma 1 allegato al ricorso, già prodotto nel giudizio di merito) che la sua designazione come giudice istruttore è stata frutto di una deliberazione collegiale e non presidenziale e che l’adempimento si è reso necessario per il sopravvenuto trasferimento del giudice delegato precedente. Per quanto riguarda la presidenza del Collegio nell’udienza sopra indicata, non vi era la necessità di alcun provvedimento di variazione tabellare in quanto la decisione del presidente titolare di non comporre il Collegio ha determinato l’automatica sostituzione nel medesimo ruolo del giudice più anziano, secondo quanto stabilito incontestabilmente nelle vigenti tabelle del Tribunale di Palermo. Peraltro, la censura si compone di un altro rilevante profilo che riguarda lo svolgimento da parte del ricorrente, pienamente al corrente del rapporto coniugale tra la presidente di sezione e l’ing. C., della funzione di giudice delegato nel procedimento in questione con l’indebita ingerenza della predetta presidente, indubitabilmente titolare d’interessi personali in palese conflitto con quelli della procedura. In relazione a questo profilo, tuttavia, la sezione disciplinare del C.S.M. ha svolto un incensurabile accertamento di fatto, fondato sul contenuto del colloquio telefonico del 29 maggio 2015 tra il ricorrente e l’amministratore giudiziario, con la presenza della presidente di sezione, la cui diversa valutazione prospettata nel ricorso non supera il vaglio d’inammissibilità, anche in considerazione della ragionevolezza ed esaustività della motivazione sul punto.

12. Il secondo motivo di ricorso è in parte inammissibile in parte manifestamente infondato. L’aumento del compenso all’ing. C., sia che lo si qualifichi coadiutore, come risulta da precedenti istanze di compenso al medesimo avanzate dall’amministratore giudiziario (doc. 4 di parte ricorrente) sia che possa diversamente essere denominato, (ma non è normativamente prevista una figura di ausiliario dell’amministratore giudiziario diversa dal coadiutore) deve essere disposto dal Collegio e non dal giudice delegato secondo le disposizioni normative applicabili, trattandosi di un onere economico aggiuntivo che grava sulla procedura anche attraverso i bilanci delle società ed imprese amministrate e che non può essere sottratto al controllo giurisdizionale. Peraltro la qualificazione formale dell’ing. C. come legato da rapporto privatistico con la società sotto sequestro non è suffragata da prove e appare non compatibile proprio con la formulazione dell’istanza di autorizzazione all’esborso. Al riguardo la L. n. 575 del 1965, art. 2 octies, comma 4, stabilisce espressamente tale competenza sia in relazione al compenso per l’amministratore giudiziario che per i coadiutori, senza eccezioni, precisando che l’organo collegiale decide sulla base della relazione del giudice delegato e con provvedimento motivato. La medesima disciplina è contenuta nel D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 42, comma 4, che ha sostituito la L. n. 575 del 1965. E’ necessario per l’autorizzazione di spesa relativa al compenso per coadiutori (non si rinvengono altre figure di ausiliari nella legge) il decreto motivato del tribunale. Per completezza, si deve escludere che data la natura, l’entità e la finalità dell’incarico e dell’onere economico, essa possa definirsi conservativa. Non può, in conclusione, farsi discendere dalla dedotta legittimità dell’aumento del compenso contestato, l’insussistenza dell’illecito, sotto il profilo oggettivo. Peraltro, anche in relazione all’altro profilo della censura, relativo all’esclusione del dolo, per l’essere il ricorrente stato vittima dell’accordo corruttivo intercorso tra l’ing. C. e l’amministratore giudiziario, deve rilevarsi che l’incolpazione ha ad oggetto l’aver favorito la presidente di sezione, senza sottrarsi alle sue indebite ingerenze e non di essere parte di un progetto criminale quale quello contestato ai due ausiliari. La sezione disciplinare del C.S.M. desume la consapevolezza e l’accettazione delle ingerenze, oltre che l’attuazione di condotte conseguenti quali l’aumento illegittimamente adottato del compenso sopra illustrato, dalla ricostruzione effettuata ex post mediante l’esame delle intercettazioni telefoniche ovvero sulla base di un insindacabile accertamento di fatto, fondato sul ragionevole e ampiamente argomentato collegamento tra l’accertata illegittimità del provvedimento e la ricerca di una giustificazione successiva idonea a proteggere anche la posizione della presidente.

13. Il terzo motivo in stretta connessione logica con il secondo deve ritenersi inammissibile. Esso si fonda su una valutazione alternativa a quella posta a base della decisione impugnata, dell’intercettazione telefonica relativa ad un colloquio intercorso tra il ricorrente e l’amministratore giudiziario riguardante la motivazione della revoca dell’incarico all’ing. C., disposta soltanto dopo che l’intera vicenda aveva raggiunto un elevato clamore mediatico e vi erano già in atto disposizioni e misure dei vertici degli uffici giudiziari di Palermo. Si tratta, pertanto, di una censura strettamente attinente al merito della decisione della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, peraltro adeguatamente motivata in relazione al contestato elemento psicologico. L’esistenza del dolo viene riscontrata nella ricerca e nella decisione di una giustificazione “oggettiva” della revoca dell’incarico finalizzata ad escludere il coinvolgimento interessato della presidente S.. Si tratta di un giudizio di fatto del tutto incensurabile in sede di giudizio di legittimità.

14. Dal quarto al nono motivo di ricorso le censure riguardano gli illeciti funzionali.

14.1. Nel quarto motivo viene dedotta la violazione della L. n. 575 del 1965, artt. 6 sexies ed octies e del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 42, in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b), nonchè l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e la mancanza, 147/2007), adottati dal ricorrente come giudice delegato. Viene contestata, in primo luogo, la radicale carenza di motivazione in quanto effettuata per relationem, ovvero con riferimento ad un diverso procedimento disciplinare, ancorchè relativo alla medesima vicenda. Si insiste, infine, sulla errata qualificazione giuridica di loadiutord’ con riferimento all’ing. C., legato da rapporto privatistico all’amministratore giudiziario come collaboratore, con la conseguenza della non applicabilità della disciplina legislativa della liquidazione dei compensi propria del coadiutore.

15. Nel quinto motivo le censure sono di analogo tenore ma riguardano un diverso procedimento (n. 12 del 2014). In particolare, il ricorrente evidenzia l’indeterminatezza della contestazione, non essendo desumibile dal capo d’incolpazione, il provvedimento del 16 settembre 2014. Peraltro, il provvedimento in questione non risulta reperibile nel fascicolo disciplinare e dalla relazione ispettiva risulta essere relativo all’autorizzazione alla stipulazione di contratti di consulenza e non alla liquidazione di spese o compensi, con conseguente non necessità del provvedimento collegiale, essendo sufficiente il visto del giudice delegato, in virtù della funzione di controllo e direzione dell’amministrazione giudiziaria che gli sono propri.

16. Le due censure di contenuto analogo possono essere trattate congiuntamente. Come già sottolineato nel par. 12 nei procedimenti relativi ad amministrazione giudiziaria di beni sequestrati e confiscati, i provvedimenti relativi all’autorizzazione di spese della procedura o liquidazione di compensi sono di competenza collegiale in quanto hanno ad oggetto determinazioni di spesa non meramente conservative ma che implicano una modifica dell’assetto contabile preesistente ed un incremento degli oneri della procedura. La mancanza del controllo e della decisione collegiale, sotto il profilo normativo costituisce una condotta illegittima, così da poter sostenere preesistente ed un incremento degli oneri della procedura. La mancanza del controllo e della decisione collegiale, sotto il profilo normativo costituisce una condotta illegittima, così da poter sostenere la valutazione, ad essa consequenziale, dell’esistenza dell’elemento psicologico dell’illecito. Quanto al profilo dell’indeterminatezza della motivazione, la censura deve essere disattesa in quanto dall’esame integrato del capo d’incolpazione e della sintetica giustificazione argomentativa emerge la violazione delle regole processuali in punto di competenza in relazione ai provvedimenti esattamente individuati, con adeguata giustificazione delle conseguenze di tale violazione. Per quanto riguarda il provvedimento posto a base del punto n. 6 dell’incolpazione dalla stessa descrizione contenuta nel motivo di ricorso emerge la precisa conoscenza del suo contenuto e del richiamo allo stesso contenuto già nella relazione ispettiva con conseguente pieno esercizio del diritto di difesa.

17. Nel sesto motivo di ricorso viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2, lett. q), in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), nonchè carenza di motivazione in relazione alle incolpazioni n. 3 e 4 (par. 2.2.2 della pronuncia impugnata) riguardanti gli addebiti per rilevanti ritardi nel deposito di provvedimenti decisori e la mancata fissazione delle udienze destinate all’approvazione del rendiconto. In relazione al primo profilo il ricorrente ha evidenziato come proprio dall’esame degli atti fosse emerso da un lato, condizioni di lavoro che rendevano particolarmente gravoso il regolare svolgimento dell’attività lavorativa e dall’altro l’assunzione di un preciso piano di organizzazione finalizzato ad assolvere gli adempimenti di primaria importanza, ovvero i provvedimenti più urgenti, tenuto conto dell’aumento esponenziale delle proposte di sequestro e confisca a partire dal 2009 e del fatto che la sezione di Palermo fosse stata la prima a trattare queste delicate tipologie di provvedimenti. Nel 2011, peraltro, il presidente di sezione segnalava la grave carenza d’organico della sezione al Tribunale, alla Corte d’Appello e ad CSM, in correlazione con la complessità della materia da trattare. Tale situazione ha indotto la sezione a privilegiare la definizione dei provvedimenti di sequestro rispetto ai provvedimenti definitori di merito. Inoltre in relazione ai ritardi contestati, il ricorrente evidenzia come la normativa non preveda termini di deposito per i provvedimenti definitori con la conseguente arbitrarietà e genericità della contestazione che addebita ritardi superiori al triplo del termine previsto dalla legge. Dal provvedimento impugnato non si evince se i ritardi considerati rilevanti siano quelli superiori al triplo dei termini di legge o quelli superiori all’anno. E’ stato considerato soltanto il dato numerico dei ritardi senza una loro suddivisione cronologica che ne avrebbe fatto emergere la modesta entità. Non si è tenuto conto dei riscontri testimoniali e della operosità e produttività del Dott. L. in relazione ai ritardi contestati.

18. Nel settimo motivo è stata dedotta la mancanza di motivazione in relazione al capo d’incolpazione n. 4 relativo all’omessa fissazione davanti al giudice delegato dell’udienza di approvazione del rendiconto in relazione a cinque procedimenti.

19. I due motivi meritano di essere trattati congiuntamente in quanto logicamente congiunti. Il settimo deve essere accolto, mancando effettivamente la motivazione in relazione al capo d’incolpazione n. 4 così da non consentire l’esame delle ragioni addotte a sostegno dell’affermata responsabilità disciplinare in relazione ad esso.

20. Deve invece essere rigettato il sesto motivo per quanto riguarda i ritardi relativi ai provvedimenti definitori. La mancata espressa prescrizione normativa dei termini di deposito dei provvedimenti definitori in materia di misure di prevenzione è del tutto irrilevante rispetto alla valutazione della sussistenza e della gravità delle condotte contestate così come l’assenza di disposizioni relative a termini perentori. Quest’ultima affermazione è radicalmente destituita di fondamento. La natura ordinatoria dei termini di deposito non incide in alcun modo sugli effetti disciplinari della loro violazione ove raggiunga un livello qualitativo e quantitativo idoneo ad integrare, ancorchè in comparazione con i fattori di temperamento della gravità delle condotte introdotte dalla giurisprudenza disciplinare e di legittimità, l’illecito contestato. In secondo luogo la mancata indicazione espressa di termini di deposito per i provvedimenti in questione non può eliminare la sindacabilità ai fini disciplinari delle modalità di esercizio della funzione giurisdizionale in relazione ai profili di diligenza, laboriosità, tempestività ed effettività che ne debbono informare l’operato e che, ove gravemente violati, integrano indubitabilmente l’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2, lett. q). Può, al contrario rilevarsi che i termini di deposito previsti dall’art. 544 c.p.p., relativi alle sentenze, del tutto condivisibilmente sono stati assunti come limite temporale (nella loro estensione massima dei 90 giorni) anche per i provvedimenti in oggetto, ancorchè per essi sia prevista la veste formale del decreto. Il parametro contenuto nell’art. 544 c.p.p., costituisce un ragionevole ed adeguato criterio di delimitazione del tempo necessario anche in relazione all’ordinaria organizzazione dell’ufficio per il deposito dei provvedimenti definitori. Di conseguenza, è da disattendere il rilievo secondo il quale il termine può essere applicabile soltanto per le sentenze penali perchè il dispositivo può essere emesso prima della motivazione, mentre per i provvedimenti nei quali le due parti della decisione sono depositate contestualmente non potrebbe ravvisarsi alcun perimetro temporale. Infine, deve rilevarsi che la complessità non costituisce una causa di giustificazione dei ritardi specie se ultrannuali, dal momento che è coerente con l’esercizio della funzione giurisdizionale occuparsi anche di questioni di elevato profilo specialistico (S.U. 28685 del 2017).

Quanto, infine, al carico della sezione e alla coerenza con la pianificazione organizzativa dei ritardi riscontrati, deve rilevarsi che con motivazione sintetica ma adeguata il provvedimento impugnato ne ha sottolineato come la reiterazione, la continuità e l’entità non fossero compatibili con una scelta organizzativa ragionevole, non risultando giustificabile procrastinare la definizione dei procedimenti più risalenti, così come adeguata è la giustificazione argomentativa in relazione al numero complessivo, tenuto conto che la scomposizione periodica la prospettata dalla difesa pone in luce la reiterazione e la non episodicità dei ritardi.

19. Nell’ottavo motivo di ricorso viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34, in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b), nonchè la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’illecito di cui al capo n. 5 dell’incolpazione (par. 2.2.3 della pronuncia impugnata), consistente nell’aver provveduto alla sostituzione dell’organo di vigilanza nelle due procedure Ital Gas e Gas Natural, nel primo caso sostituendo direttamente i componenti e nel secondo autorizzando l’amministratore giudiziario alla sostituzione. Così operando, vengono adottati provvedimenti di straordinaria amministrazione appartenenti alla competenza del tribunale in composizione collegiale e si evidenzia una gestione delle procedure fortemente condizionata dagli amministratori con conseguente inadeguatezza del giudice delegato a far fronte alla molteplicità d’istanze alle quali non veniva mai opposto un rifiuto. Il ricorrente pone in luce un’intrinseca contraddittorietà nel testo dell’incolpazione nella parte in cui da un lato riconosce la competenza collegiale e dall’altro testualmente riferisce della attribuzione di tali prerogative al giudice delegato. Oltre a tale rilievo pone in evidenza come il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34, non prevede alcuna direzione e controllo dell’attività gestionale dell’amministrazione giudiziaria da parte del Tribunale. Egli, di conseguenza, ha adottato provvedimenti rientranti nelle sue competenze, in quanto aventi ad oggetto atti di straordinaria amministrazione delle aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria, la cui autorizzazione non poteva che essere di competenza del giudice delegato. Inoltre, gli effetti dei provvedimenti adottati non potevano essere ultrattivi ed essere vincolanti anche dopo la revoca della misura di prevenzione D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 34. Non è comprensibile il disvalore derivante dai provvedimenti adottati nè le ragioni per cui il giudice delegato sarebbe stato condizionato dalle richieste e dalle strategie degli amministratori giudiziari. La limitatezza degli episodi contestati, infine, rende fuori luogo l’ulteriore conclusione circa l’inadeguatezza del ricorrente a far fronte alla molteplicità delle istanze senza opporsi ad esse.

20. Le censure contenute nell’ottavo motivo di ricorso possono essere disattese. Deve escludersi la contraddittorietà intrinseca dell’impianto argomentativo denunciata dal ricorrente, in quanto la lettura integrale del paragrafo 2.2.3., al di là della sintesi della motivazione evidenzia come la dedotta contraddittorietà non solo sia apparente ma soprattutto non renda incoerenti ed incompatibili tra di loro le ragioni poste a base della decisione. Ciò che dalla motivazione emerge è che gli atti in questione sono incontestatamente di straordinaria amministrazione e, conseguentemente, non appartengono alla competenza del giudice delegato. L’adozione illegittima di tali atti da parte del ricorrente evidenzia anche una sostanziale inadeguatezza ad assumere un ruolo autonomo di direzione della procedura, risultando prevalentemente adesivo alle richieste degli amministratori senza una attenta selezione relativa alla natura degli atti da autorizzare. Anche la censura relativa alla legittima adozione degli atti formanti oggetto della contestazione deve essere disatteso. L’esame unitario del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 34 e 37, pone in luce, peraltro del tutto coerentemente con i principi che regolano i rapporti tra organi deliberativi e di amministrazione nelle società commerciali. come gli amministratori giudiziari hanno poteri di gestione sostanzialmente conservativi e di contabilizzazione rigorosa dei risultati di essa (D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 37) ed il loro potere si limita all’adozione degli atti di ordinaria amministrazione. Il giudice delegato ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 41, comma 2, può stabilire il limite di valore al di sotto del quale gli atti possono ritenersi di ordinaria amministrazione. La disciplina legislativa di settore, disciplina in modo espresso la ripartizione dei poteri in tema di ordinaria e straordinaria amministrazione soltanto in relazione agli atti dispositivi in senso stretto ma un’interpretazione sistematica delle norme contenute nel D.Lgs. n. 159 del 2011, relativamente ai poteri dell’amministratore giudiziario, del giudice delegato e del Tribunale (cfr. in particolare le norme del titolo III dall’art. 35 all’art. 44) e delle norme codicistiche che disciplinano la ripartizione delle funzioni nelle società commerciali inducono univocamente a ritenere che nè all’amministratore giudiziario nè al giudice delegato spetta il potere di sostituzione di componenti dell’organo di vigilanza di società di capitali, essendo previsto che tutti gli organi di controllo (dal collegio sindacale, al revisore dei conti, al Consiglio di sorveglianza ove previsto dallo statuto) siano nominati, sostituiti e revocati con Delibera assembleare. La trasposizione di questa bipartizione nelle procedure relative alla gestione e conservazione dei beni assoggettati a misure di prevenzione, determina, anche alla luce dell’individuazione normativa dei compiti dell’amministratore giudiziario e del giudice delegato (artt. 37 e 40 in correlazione con il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 42) l’esclusione radicale del potere di designazione e di sostituzione di tali organi da parte del giudice delegato che ha sostanzialmente compiti di direzione e controllo della procedura e dell’amministratore giudiziario il quale, peraltro è dotato di poteri strettamente legati all’ordinaria gestione e conservazione del patrimonio. Alla luce di queste premesse e della corretta indicazione dell’assenza, in capo al giudice delegato, dei poteri esercitati, non può essere sindacata la valutazione, fondata su un incensurabile giudizio di fatto, relativa all’abdicazione dalla funzione di controllo effettivo dell’operato dell’amministratore giudiziario e al sostanziale appiattimento del giudice delegato sulle indicazioni e richieste dell’organo di amministrazione giudiziaria, contrassegnata dallo stigma dell’inadeguatezza, sulla quale si fonda il rilievo disciplinare dell’incolpazione e l’accertamento della responsabilità.

21. Il nono motivo si compone di due censure. La prima riguarda l’omessa previsione espressa nei capi d’incolpazione della contestazione contenuta nel procedimento n. 79 del 2017, riunito a quello formante oggetto del presente giudizio (n. 137 del 2015). In particolare viene rilevato che l’incolpazione contenuta nel procedimento n. 79 del 2017 risulterebbe arbitrariamente inglobata nel capo 6 d’incolpazione senza, tuttavia, fornirne alcuna giustificazione argomentativa. Nel merito viene evidenziata la contraddittorietà della motivazione in relazione all’addebito relativo alla grave violazione dei doveri di diligenza e correttezza per aver determinato l’inefficacia del sequestro oggetto della contestazione senza considerare che al momento della riserva di decisione, i termini erano molto ampi e c’erano provvedimenti più urgenti da adottare, mentre in prossimità della scadenza si rendeva necessaria la rimessione sul ruolo proprio per le vicende disciplinari che avevano coinvolto in primo luogo il presidente di sezione e ne imponevano la sostituzione.

Il primo profilo di censura è inammissibile per difetto d’interesse. Lo stesso ricorrente individua nel capo 6 dell’incolpazione anche il contenuto della contestazione contenuta nel procedimento riunito. Non è, conseguentemente, agevole comprendere la sussistenza di un vulnus effettivo al diritto di difesa derivante da tale incorporazione o dalla mancata descrizione di attività endoprocessuali, comunque confluite nel provvedimento di riunione. Per quanto riguarda il merito la censura è del pari inammissibile perchè mira a sostituire la propria valutazione dei fatti accertati (l’inefficacia sopravvenuta del sequestro per mancanza di un provvedimento definitorio nei termini perentori stabiliti dalla legge e la reimmissione nel possesso dei beni in capo ai destinatari della misura cautelare) a quella sinteticamente ma sufficientemente motivata nel provvedimento impugnato. Il provvedimento poteva essere assunto a partire dal 5 marzo 2015 mentre soltanto a ridosso della scadenza veniva disposta la rimessione sul ruolo (28 ottobre 2015). L’inerzia per il lungo tempo intercorso è ritenuta non giustificabile nè scusabile alla luce delle vicende determinatesi a ridotto della scadenza, essendoci stato un ampio margine temporale per evitare l’inefficacia del predetto sequestro, tenuto conto che si trattava di provvedimento urgente. La sanzione dell’inefficacia, derivante dalla perenzione del termine è stata correttamente ritenuta preminente rispetto alle scadenze più prossime indicate dal ricorrente.

22. Devono essere esaminati i motivi di ricorso del Procuratore Generale.

23. Nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a), nonchè il vizio di mancanza di motivazione in relazione all’assoluzione relativa al capo 9 dell’incolpazione a carico del ricorrente L.. In tale incolpazione viene evidenziato che da intercettazioni telefoniche era emerso che il Dott. V., amministratore giudiziario nella procedura di prevenzione n. 34 del 2014 si era lamentato per le pressioni ricevute dal L. per far lavorare il giornalista S., il quale era stato effettivamente assunto come collaboratore, pur lamentando di non avere ottenuto l’incarico cui ambiva. Viene posto in luce nella censura che nella pronuncia impugnata l’illecito contestato non si è ritenuto integrato perchè non era stato possibile verificare la natura, l’entità e l’insistenza delle pressioni. Viene osservato che l’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lettera, si configura in tutte le situazioni in cui la spendita della qualità espressa o implicita è finalizzata a porre il magistrato in una posizione diversa da quella del comune cittadino in modo da conseguire un risultato estraneo alle funzioni pubbliche esercitate che altrimenti non sarebbe stato raggiungibile. E’ questo aspetto a determinare la ricaduta negativa sulla immagine del magistrato e della giustizia che giustifica il disvalore deontologico proprio di questa condotta. Si tratta di illecito doloso e di pericolo presunto per la cui configurabilità è sufficiente che l’uso della qualità sia astrattamente idoneo al conseguimento del vantaggio, mentre non ne è necessario il raggiungimento effettivo. Peraltro, dal complessivo tenore delle intercettazioni e degli elementi acquisiti agli atti (cfr. pag. 13 ricorso P.G.) anche la natura, l’insistenza e l’entità delle pressioni emergono con chiarezza.

24. La censura è fondata. La giustificazione dell’assoluzione risulta erronea in relazione al parametro giuridico di valutazione ed intrinsecamente contraddittoria perchè evidenzia tutti i requisiti integrativi dell’illecito senza tuttavia pervenire a conclusioni coerenti con le premesse. In particolare, come esattamente rilevato dal Procuratore Generale vi è la spendita della qualità del ricorrente che era proprio l’organo di direzione e controllo dell’amministratore giudiziario; vi sono state le pressioni e sono state anche efficaci tanto da far ottenere al S. un incarico professionale nell’azienda soggetta a misura di prevenzione. A fronte della specificità degli elementi integrativi dell’illecito, la indicata genericità dell’entità, insistenza e natura delle pressioni non risulta in alcun modo giustificata e, comunque, come pure rilevato nel motivo di ricorso, può assumere rilievo solo nella verifica della gravità della condotta ai fini della sanzione. L’ingiustificato e indebito privilegio assicurato dal L. al S. con l’incarico professionale nell’amministrazione giudiziaria gestita dal V. non è posto in dubbio nella sentenza impugnata, così come il vantaggio per il S., trattandosi di incarico retribuito. Il motivo merita pertanto pieno accoglimento.

25. Nel secondo motivo viene dedotto il vizio di mancanza di motivazione in relazione agli illeciti di cui ai capi 7 e 8 d’incolpazione limitatamente all’esame della violazione dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. l), con riguardo a tre decreti collegiali di liquidazione di compensi rispettivamente agli amministratori giudiziari ed al coadiutore.

26. La censura è manifestamente fondata sia in relazione al capo d’incolpazione n. 7 che n. 8. Per entrambi la pronuncia impugnata esclude la sussistenza dell’illecito perchè si fonda sull’erronea applicazione “del Codice Antimafia che in realtà non è applicabile in questi casi, dovendo al contrario trovare applicazione la procedura antecedente che aveva dei criteri di liquidazione meno stringenti (…)”. La radicale genericità delle argomentazioni svolte non ne consente una valutazione critica in concreto ponendone in luce la natura sostanzialmente apodittica. Come già osservato nei par. 12 e 16 i provvedimenti in questione sia nella vigenza della L. n. 575 del 1965, art. 2 octies, commi 3 e 4, che del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 42, comma 4, devono essere assunti con decreto “motivato” del giudice collegiale sia che riguardino gli amministratori giudiziari che i coadiutori. L’incolpazione relativa al capo n. 7 evidenzia come tale motivazione, (relativa alla liquidazione dei compensi agli amministratori giudiziari) dovuta ex lege, manchi o sia apparente oltre a rimettere alla successiva valutazione dell’amministratore l’attestazione della sussistenza o meno dei fondi. L’incolpazione n. 8 in relazione ad un decreto collegiale di liquidazione di compensi a coadiutori pone in luce la genericità delle giustificazioni argomentative poste a base del provvedimento di cui il L., come per il capo n. 7 era relatore ed estensore. La motivazione relativa ad entrambi risulta del tutto generica in relazione alle incolpazioni specifiche e priva di giustificazione logica oltre a non trovare fondamento nel testo normativo delle due leggi che hanno regolato la materia e che, come già rilevato, sotto il profilo del giudice competente, della natura e qualità del provvedimento da adottare e del reperimento del fondi, non presentano difformità di regime.

27. Il terzo motivo che ha ad oggetto il trattamento sanzionatorio deve ritenersi assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi.

28. Con unico motivo di ricorso il Ministero della Giustizia censura l’assoluzione dei capi d’incolpazione n. 7 ed 8, sia sotto il profilo della violazione di legge che della carenza di motivazione, sottolineando, analogamente a quanto già evidenziato nel secondo motivo di ricorso del Procuratore Generale che la pronuncia assolutoria poggia su premesse giuridiche errate, essendo necessario che i provvedimenti in questione vengano emessi con provvedimento motivato, ed essendo tenuto il relatore ad indicare il criterio seguito nella liquidazione e ed ad esporre le ragioni per le quali abbia ritenuto di attribuire o non attribuire compensi e rimborsi.

Il motivo merita accoglimento per le ragioni già esposte nel par. 26, in relazione al secondo motivo del ricorso del Procuratore Generale.

In conclusione, deve essere accolto nei limiti di cui in motivazione il primo motivo, nonchè il settimo del ricorso L., rigettati tutti gli altri; il primo ed il secondo motivo del ricorso del Procuratore Generale, con assorbimento del terzo; l’unico motivo del ricorso del Ministero della Giustizia. La pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.

PQM

Accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso ed il settimo motivo del ricorso proposto da L.F., rigettati tutti gli altri.

Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, assorbito il terzo. Accoglie l’unico motivo di ricorso del Ministero della Giustizia.

Cassa la pronuncia impugnata e rinvia alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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