Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19583 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 18/09/2020), n.19583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GORGONI Marinella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15746-2019 proposto da:

SOGEA MANAGEMENT IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 24,

presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO LOMBARDI, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

GRAFICA ROMANA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5425/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GORGONI

MARILENA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Sogea Management in liquidazione ricorre per la cassazione della sentenza n. 5425/2018 della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 24 agosto 2018, articolando un solo motivo.

Nessuna attività difensiva è svolta dalla intimata.

La ricorrente espone in fatto: a) di essere stata ingiunta, dalla Grafica Romana Srl, con decreto n. 2884/05 del Tribunale di Roma, a pagare Euro 8.959,00, oltre ad accessori, per un credito risultante dalle fatture nn. 511, 540 e 347 del 2000, derivanti dall’esecuzione di un lavoro a stampa; b) di avere fatto opposizione al decreto ingiuntivo, contestando il credito, la ricorrenza di alcun rapporto con l’asserita creditrice, l’assenza di prova a supporto della richiesta.

La Società Grafica Roma produceva solo delle bolle di accompagnamento, dalle quali non si deduceva l’esistenza del credito; ad avviso della ricorrente, neanche le prove testimoniali erano state in grado di provare l’esistenza del rapporto contrattuale, nè il suo oggetto. Inoltre non era stato depositato il fascicolo del processo monitorio in cui erano contenute le fatture sulla base delle quali la società Grafica Romana aveva preteso il pagamento.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6757/10, accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo e lo revocava.

La società Grafica Romana interponeva gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Roma che, con la sentenza qui impugnata, rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo, lo dichiarava definitivamente esecutivo, condannava l’odierna ricorrente alla rifusione delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio.

Il giudice a quo riteneva che dai testi escussi e dalle bolle di accompagnamento si evincesse la prova del credito, considerando che le fatture, pur non essendo presenti al momento della decisione, erano state certamente prodotte all’atto del ricorso monitorio.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La tesi prospettata è che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. un., n. 13533/01), in assenza delle fatture e degli estratti autentici del libro fatture non poteva dirsi raggiunta la prova del credito, nè essa poteva dirsi conseguita attraverso le prove testimoniali, stanti i limiti di cui agli artt. 2721 e 2722 c.p.c., la loro genericità e contraddittorietà, e/o attraverso le bolle di accompagnamento, perchè prive di indicazioni relative agli importi e di prova della loro sottoscrizione da parte dell’amministratore unico.

Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto, quanto alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, le norme violate o falsamente applicate non sono state neppure indicate nell’epigrafe del ricorso; quand’anche questa Corte provvedesse ad integrare in via interpretativa il motivo, giacchè le uniche norme che sembra si rimproveri alla Corte d’Appello di non avere correttamente applicato sono quelle relative ai limiti della prova testimoniale di cui agli artt. 2721 e 2722 c.c., il rimprovero mossole è assertivamente quello di avere preso in considerazione le prove testimoniali nonostante i suddetti limiti e nonostante la loro genericità e contraddittorietà: circostanze che avrebbero imposto al giudice di essere “estremamente attento anzi rigoroso nell’analisi delle dichiarazioni rese dal testimone vieppiù se trattasi di testimone che ha un rapporto di dipendenza con la parte che ne ha richiesto l’escussione e di cui intende avvalersi nella dimostrazione delle sue ragioni (…) ma i Giudici di Appello non prestano attenzione e danno valore di prova alle testimonianze errando nell’interpretazione della legge”.

Il vizio denunciato non coglie nel segno, perchè omette di considerare che l’ammissione della prova testimoniale, eventualmente superando i limiti di ammissibilità censurati, è una tipica valutazione che spetta al giudice di merito e che non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità, se non dimostrando l’assenza di motivazione. Tale assenza di motivazione che, pur lamentata dalla ricorrente a p. 12 del ricorso, non trova tuttavia riscontro nella sentenza impugnata che, invece, ha ben indicato le ragioni per cui ha ritenuto, contrariamente al giudice di prime cure, le prove testimoniali idonee a supportare la prova dell’esistenza del credito.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si fa presente che essa è stata formulata omettendo di indicare il fatto allegato e oggetto di contestazione, il dato extratestuale dal quale evincere la sua esistenza nonchè il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione tra le parti: il che non consente di attribuire al fatto omesso i caratteri del tassello mancante alla plausibilità cui è giunta la sentenza rispetto a premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario (Cass., sez. un., 07/04/2014, n. 8053).

Val appena la pena di aggiungere che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la fattura commerciale, se è considerata prova idonea al fine dell’emissione del decreto ingiuntivo ai sensi dell’634 c.p.c., in un ordinario giudizio di cognizione, come il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non ha alcuna valenza probatoria, se non indiziaria, circa l’esistenza del credito in favore della parte che la ha emessa, in quanto atto di provenienza unilaterale formato dallo stesso creditore, se l’altra parte ha contestato il fatto costitutivo del diritto fatto valere, gravando in tal caso sul creditore l’onere di fornirne la dimostrazione aliunde. Le fatture commerciali, pur essendo prove idonee ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, hanno tale valore esclusivamente nella fase monitoria del procedimento mentre, essendo documenti formati dalla stessa parte che se ne avvale, nel giudizio di opposizione all’ingiunzione (come in ogni altro giudizio di cognizione) non integrano di per sè la piena prova del credito in esse indicato nè comportano neppure l’inversione dell’onere della prova in caso di contestazione sull’an o sul quantum del credito vantato in giudizio (di recente cfr. Cass. 28/05/2019, n. 14473).

Perciò la mancanza delle fatture non era decisiva ai fini della prova del rapporto fondamentale e del diritto di credito.

In ultima analisi, il motivo di ricorso si sostanzia in una sollecitazione ad una nuova e diversa valutazione dei fatti di causa che contrasta con i limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità, perchè l’accoglimento di tale richiesta implicherebbe la trasformazione del processo di cassazione in un terzo giudizio di merito, nel quale ridiscutere il contenuto di fatti e di vicende del processo e dei convincimenti del giudice maturati in relazione ad essi – evidentemente non graditi – al fine di ottenere la sostituzione di questi ultimi con altri più collimanti con propri desiderata, rendendo, in ultima analisi, fungibile la ricostruzione dei fatti e le valutazioni di merito con il sindacato di legittimità avente ad oggetto i provvedimenti di merito.

Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla deve essere liquidato per la spese, non avendo l’intimata svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in cancelleria il 18 settembre 2020

 

 

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