Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19583 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/08/2017, (ud. 21/03/2017, dep.04/08/2017),  n. 19583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16878-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

G.A., C.F. (OMISSIS), (+ Altri omessi), tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA NAZARIO SAURO 16, presso lo studio

dell’avvocato STEFANIA REHO, rappresentati e difesi dall’avvocato

MASSIMO PISTILLI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

S.R., (+ Altri omessi);

– intimati –

avverso la sentenza n. 384/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/04/2012 R.G.N. 725/2011 + altre.

Fatto

RILEVATO

che con la sentenza n. 384 del 2012 la Corte di Appello di Genova, adita dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nei confronti di R.E., (+ Altri omessi) ha confermato le sentenze emesse tra le parti dal Tribunale di Genova e dal Tribunale di Savona, che avevano accolto le domande dei lavoratori volte ad ottenere il pagamento delle differenze retributive dovute in relazione al riconoscimento dell’anzianità di servizio, con riferimento alla pluralità di contratti a a termine intercorsi, qualità di docenti, assistenti amministrativi e collaboratori ATA, in ragione della clausola 4 punto 1 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999;

che la Corte d’Appello ha ritenuto che mancavano ragioni obiettive che potevano consentire di ritenere non applicabile ò la normativa comunitaria sulla parità di trattamento e dunque legittimo il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità ai lavoratori a tempo determinato, meccanismo che trova fondamento nel miglior apporto lavorativo che deriva dall’esperienza del lavoratore, non rilevando la modalità di selezione dello stesso, nè ravvisandosi differenze qualitative tra la prestazione di lavoro a tempo determinato e quella a tempo indeterminato;

che avverso tale sentenza ricorre il MIUR con un motivo;

che G.A., (+ Altri omessi) resistono con controricorso;

che R.E., (+ Altri omessi) resistono con controricorso;

che S.R., (+ Altri omessi) sono rimasti intimati; che R.E. e altri hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che il motivo di ricorso verte sulla violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6, del D.Lgs. n. 70 del 2011, art. 9, comma 18, come convertito dalla L. n. 106 del 2011, della L.n. 124 del 1999, art. 4, del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 526, della direttiva 1999/70/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che con il motivo censura la statuizione di accertamento della lamentata illegittima discriminazione nel trattamento retributivo inferiore – rispetto ai lavoratori titolari di un rapporto a tempo indeterminato, conseguente al meccanismo di calcolo della retribuzione tabellare, che prevede aumenti corrispondenti al crescere dell’anzianità di servizio, così che gli assunti a termine, non maturando alcuna anzianità pur lavorando con continuità, non vedono mai crescere la loro retribuzione;

che il Ministero assume la sussistenza di ragione obiettive che determinano un trattamento differente con riguardo all’attribuzione degli scatti di anzianità (riconoscimento della progressione economica legata all’anzianità di servizio);

che tali ragioni andrebbero ravvisate sia per la specificità della disciplina che regola il sistema delle supplenze, e che ne esclude la trasformazione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, sia perchè quest’ultime sono caratterizzate sia dalla precarietà del rapporto, legata all’assenza del titolare, sia alla mancanza di continuità, in quanto i vari periodi si supplenza attengono a distinti contratti di lavoro;

che il trattamento economico è necessariamente correlato alla precarietà e discontinuità del rapporto lavorativo, e quindi legittimamente esso è riferito per ciascun periodo di supplenza, allo stipendio iniziale, non essendo configurabile uno sviluppo di carriera, risultando irrilevante il periodo di inattività nel caso del succedersi di supplenze, atteso che il rapporto si interrompe tra un incarico e l’altro; che il motivo non è fondata in quanto la sentenza impugnata, nel riconoscere il diritto al riconoscimento a fini retributivi della anzianità di servizio, è conforme il principio di diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868/2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”; che a dette conclusioni la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;

che il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del presente giudizio sono compensate tra le parti costituite per la novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle Corti territoriali. Nulla spese nei confronti delle parti rimaste intimate.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti costituite le spese del presente giudizio. Nulla spese nei confronti delle parti rimaste intimate.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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