Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19582 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. II, 30/09/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 30/09/2016), n.19582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7808-2012 proposto da:

M.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio MARCO GARDIN, rappresentato e

difeso dagli avvocati MIRABELLI IRENE, MIRABELLI ELISABETTA,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 57, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO BILOTTA, rappresentate e difese dagli

avvocati GIUSEPPE LEPERA, FRANCESCO LEPERA;

– controricorrenti –

e contro

C.M., M.M., M.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 152/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 11/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione del secondo motivo e rigetto del resto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Nel 1969 Mi.Ma. in B. convenne in giudizio i germani E.M., P., E., R., I. ed A. per ottenere la divisione dei beni immobili caduti in successione a seguito della morte del padre M.M., deceduto in data (OMISSIS), previa ricostituzione dell’asse ereditario.

1.1. – Il Tribunale di Cosenza, con sentenza non definitiva n. 643 del 1998, determinò la massa ereditaria, e con successiva sentenza definitiva n. 1537 del 2004 procedette all’assegnazione delle quote agli eredi ancora in causa – R., E., M.I. ed eredi di M.P. – essendo nel frattempo intervenute rinunce agli atti da parte di Ma., A. ed M.E.M..

1.2. – M.R., che non aveva accettato il progetto divisionale, propose appello avverso entrambe le decisioni, contestando sia la determinazione della massa ereditaria, sia la determinazione del valore dei beni oggetto di divisione.

2. – La Corte d’appello, che ha riformato le sentenze impugnate avuto riguardo alla determinazione della massa ereditaria, con i conseguenti riflessi sulla divisione, ha confermato il criterio di stima dei beni con riferimento ad un’epoca non lontana dalla divisione, evidenziando in primo luogo che non vi era censura specifica sul punto, e che, comunque, la valutazione dei terreni caduti in successione al 1969 non era possibile in quanto il fondo (OMISSIS) aveva assunto la consistenza di azienda agricola soltanto nel 2000. La stessa Corte distrettuale ha ritenuto infondate le contestazioni avanzate con le note tecniche integrative alla CTU, in quanto generiche e non idonee ad inficiare la validità dei criteri utilizzati dal CTU.

3. – Per la cassazione della sentenza M.R. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. Resistono con controricorso M.E. e M.I., che hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza. Sono rimasti intimati C.M., M.M. e M.P..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 726 c.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione.

Il ricorrente lamenta, sotto il profilo motivazionale, l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui l’atto di appello non conteneva censure in ordine al criterio di stima del valore dei beni “ad un momento prossimo all’attuazione della divisione”. Al contrario, con l’atto di appello (pag. 17, riportata in ricorso) era stata richiesta la predisposizione di un nuovo progetto divisionale che tenesse conto dell’effettivo valore dei beni al momento dell’apertura della successione. E’ contestata, quindi, la determinazione del valore dei beni all’attualità e non al momento dell’apertura della successione, e l’ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello per avere derogato al suddetto principio in assenza di sollecitazione delle parti.

1.2. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha rigettato sul punto il gravame evidenziando, nell’ordine: a) che le contestazioni dell’appellante investivano “la modalità con cui il CTU è pervenuto alla determinazione del valore (attraverso la devalutazione del valore all’attualità)”, con ricadute soltanto sulla stima dei beni per i quali era stata effettuata la devalutazione al 1969, beni da ritenersi peraltro esclusi dalla massa ereditaria; b) che la scelta del Tribunale, di accertare il valore dei beni all’attualità era non più controvertibile, e comunque conforme alla giurisprudenza di legittimità; c) che il fondo (OMISSIS), asseritamente indivisibile secondo lo stesso appellante, aveva subito, dal 1969, una profonda trasformazione, tale da non consentire una valutazione secondo i valori dell’epoca.

Le ragioni così esposte, peraltro non specificamente contestate dal ricorrente, debbono essere confermate. All’esito dell’esame dell’atto di appello emerge che la questione specificamente posta con il motivo di gravame riguardava non il criterio di stima dei beni, bensì il metodo utilizzato per riportare il valore di alcuni beni al tempo dell’apertura della successione. Risulta inoltre corretta l’applicazione dell’art. 726 c.c. nella prospettiva indicata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, poichè nel giudizio di divisione occorre assicurare la formazione di porzioni di valore corrispondente alle quote, la stima dei relativi beni deve essere effettuata tendenzialmente in epoca non troppo lontana rispetto a quella della decisione (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 3029 del 2009).

Il principio è ribadito anche in successivi arresti, nei quali si afferma che la stima di beni immobili va compiuta con riferimento al valore venale da essi posseduto al tempo della divisione, coincidente, nel caso di divisione giudiziale, con il momento di proposizione della domanda (Cass., sez. 2, sentenza n. 21632 del 2010). Rimane pertanto escluso in radice il riferimento al momento dell’apertura della successione, ed è altresì evidente che le caratteristiche del fondo (OMISSIS), già richiamate, non consentivano di effettuare la stima ad epoca antecedente a quella in cui lo stesso fondo aveva assunto la consistenza attuale.

Non sussiste, per le ragioni indicate, la denunciata ultrapetizione.

2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c., nonchè vizio di motivazione e si contesta che la Corte d’appello ha ritenuto che le spese di miglioramento di fabbricati, uffici e cantina dell’azienda agricola non fossero state sostenute dall’appellante, odierno ricorrente, ma da soggetti terzi, titolari dei relativi permessi di costruzione.

In realtà, i soggetti considerati terzi dalla Corte d’appello, indicati nei permessi di costruire come affittuari dei fondi, erano M.A., figlio del ricorrente e la s.r.l. EsseE-Servizi Agricoli ed Enologici, società amministrata e partecipata dal ricorrente e da suo figlio A.. Le costruzioni erano state realizzate nell’ambito del rapporto obbligatorio che i predetti soggetti avevano con il possessore dei fondi, che era l’appellante-odierno ricorrente, e quindi, non essendo applicabile la disciplina di cui all’art. 936 c.c., le spese sostenute per le opere indicate costituivano un credito del ricorrente verso la massa ereditaria, come affermato dal CTU architetto Bu..

La decisione della Corte d’appello, di escludere dalle spese di gestione quelle relative ai miglioramenti fondiari risultava in contraddizione con la circostanza, riconosciuta dalla stessa Corte, che M.R. era l’unico possessore dei beni ereditari da oltre quarant’anni.

2.1. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha evidenziato che nella specie non era configurabile il diritto di credito dell’appellante verso la massa ereditaria, per le spese indicate, che risultavano sostenute da soggetti terzi sul terreno in comproprietà degli eredi M..

L’affermazione è corretta e trova conferma nelle allegazioni del ricorrente riguardo ai soggetti indicati nei premessi di costruzione, che erano M.A. e la società a responsabilità limitata Esse-E Servizi Agricoli ed Enologici.

3. – Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 723 e 726 c.c. e della L. n. 203 del 1982, art. 49 nonchè vizio di motivazione.

Si contesta che la Corte d’appello abbia ritenuto nuova, e perciò inammissibile, la questione relativa alla valutazione delle rendite dei beni, da ragguagliare – secondo l’assunto già sostenuto nel primo grado del giudizio – ai canoni di affitto agrari dei terreni, essendo M.R. affittuario e conduttore dei terreni. Il ricorrente richiama sul punto la giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. 2, sentenza n. 21791 del 2010) che ritiene ammissibile, nei giudizi di divisione, la prospettazione, per la prima volta in appello, di temi di indagine riguardanti la stima dei beni.

3.1. – La doglianza è infondata.

Premesso che il ricorrente non ha dedotto la questione dell’ammissibilità in appello del nuovo tema d’indagine sotto il profilo dell’errore processuale, risulta assorbente il rilievo che la L. n. 203 del 1982 non poteva trovare applicazione alla successione aperta nel 1969. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che la costituzione ex lege di un rapporto di affitto tra coeredi ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 49, comma 1, ove ricorrano le condizioni previste da tale norma, è possibile solo con riferimento alle successioni apertesi per morte del proprietario di fondi rustici, condotti o coltivati direttamente da lui e da alcuni suoi familiari, dopo l’entrata in vigore di detta legge. L’applicazione retroattiva del disposto dell’art. 49 citato è infatti priva di supporto normativo, in quanto il riferimento ai “rapporti in corso”, contenuto nel successivo art. 53, attiene ai rapporti agrari e non anche a quelli di natura diversa, quali sono i rapporti successori (ex plurimis, Cass., sez. 3, sentenza n. 26038 del 2005; sez. 3, sentenza n. 24452 del 2005).

4. – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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