Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1958 del 29/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1958 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: PICARONI ELISA

SENTENZA

sul ricorso 8812-2008 proposto da:
CUZZOT LUCIO ALFONSO C.F.CZZLLF66H09I404C, CUZZOT
MARILENA ANTONIA C.F.CZZMLN62H70I404U, TONON MARIA
GIOVANNA

C.F.CZZMGV36L52C556B,

elettivamente

domiciliati in ROMA, V.CHINOTTO l SC C-14, presso lo
studio dell’avvocato PRESTARO ERMANNO, rappresentati e
2013

difesi dall’avvocato MONAI CARLO;
– ricorrenti –

2582
contro

MONTINA

MARIO,

MONTINA

GUIDO,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo
2

Data pubblicazione: 29/01/2014

studio dell’avvocato SINOPOLI VINCENZO,
rappresenta

e

difende

unitamente

che li

all’avvocato

MACORATTI PIERO;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 443/2007 della CORTE D’APPELLO
24/8/1G03- /

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/12/2013 dal Consigliere Dott. ELISA
PICARONI;
udito l’Avvocato Monai Carlo difensore dei ricorrenti
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avv. Allocca Elena con delega depositata in
udienza dell’Avv. Vincenzo Sinopoli difensore dei
controricorrenti che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di TRIESTE, depositata il 25/06/2007/11L,(*e.41

Ritenuto in fatto

l. –

impugnata la sentenza della Corte d’appello di

Trieste, depositata il 25 giugno 2007 e notificata il 25 gennaio 2008, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Udi-

manda proposta da Guido e Mario Montina nei confronti di Lucio
Alfonso Cuzzot, Marilena Antonia Cuzzot e Maria Giovanna Tonon.
1.1. – I sigg.ri Montina, in qualità di proprietari dei
fondi censiti nel Catasto del Comune di San Vito al Torre, avevano convenuto in giudizio i sigg.ri Cuzzot/Tonon, in quanto
proprietari di fondi confinanti, per sentirli condannare alla
rimozione di un manufatto costruito con parziale invasione dei
fondi di loro proprietà, ovvero, in alternativa o congiuntamente, al risarcimento del danno.
I convenuti avevano chiesto il rigetto della domanda e,
per l’ipotesi che fosse accertata l’occupazione di suolo altrui, per l’accoglimento della domanda alternativa risarcitoria, sulla base dei criteri indicati dall’art. 938 cod. civ.
per l’accessione invertita.
1.2. – Il Tribunale di Udine aveva accolto la domanda attorea e condannato i convenuti alla demolizione del manufatto
risultato invasivo del suolo di proprietà degli attori, ritenuta la tardività della domanda svolta dai convenuti, di applicazione dell’art. 938 cod. civ.

ne, sezione distaccata di Palmanova, di accoglimento della do-

Lo stesso Tribunale aveva rigettato la richiesta risarcitoria pure formulata dagli attori, sul rilievo che la demolizione del manufatto attuasse pienamente la tutela della proprietà, non essendo emersi ulteriori danni (l’area destinata

1.3. – Avverso la sentenza di primo grado i sigg.ri Cuzzot/Tonon avevano proposto appello, denunciando innanzitutto
l’errore nel quale sarebbero incorsi il CTU e il giudice, di
ritenere verificato lo sconfinamento in ragione della ipotizzata, e non accertata, equidistanza tra il chiusino dei pozzetti di scolo opposti degli edifici frontisti. Gli appellanti
contestavano inoltre l’eccessiva onerosità e l’iniquità della
sentenza che aveva accolto la domanda di demolizione a fronte
della proposizione, da parte degli attori, della domanda alternativa di risarcimento, ed insistevano, infine, perché la
domanda attorea fosse rigettata per l’avvenuta usucapione della fascia di terreno in contestazione, rilevando che la relativa eccezione era proponibile per la prima volta in appello.
Gli appellati Montina chiedevano la conferma della sentenza di primo grado.
2. – La Corte d’appello di Trieste rigettava l’appello osservando che risultava dimostrato lo sconfinamento sotterraneo
della costruzione eretta dagli appellanti, a fronte del quale
correttamente il Tribunale aveva ordinato la demolizione della
costruzione.

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al passaggio era rimasta percorribile con qualsiasi mezzo).

D’altra parte, era quella l’unica pronuncia possibile in
quanto, per un verso, la tardività della domanda riconvenzionale aveva reso inapplicabile l’art. 938 cod. civ., e, per altro verso, la domanda principale proposta in citazione dai

Secondo la Corte d’appello, infatti, le espressioni utilizzate dagli stessi Montina nel prosieguo del giudizio di
primo grado non configuravano un chiaro rapporto di alternatività tra risarcimento del danno e rimessione in pristino (restituzione del suolo occupato), peraltro già in astratto discutibile posto che, in assenza di rimessione in pristino, il
danno da occupazione abusiva continuerebbe a prodursi.
Quanto alla eccezione di usucapione, proposta dai sigg.ri
Cuzzot-Tonon per la prima volta in appello, la Corte distrettuale ne affermava la tardività, e comunque l’assenza di richieste istruttorie sul punto, laddove costituiva circostanza
incontestata che l’occupazione del suolo dei Montina era avvenuta in occasione di lavori eseguiti nel 1998, con ciò escludendosi la configurabilità di un possesso pubblico ultraventennale.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello i sigg.ri Cuzzot-Tonon hanno proposto ricorso, sulla
base di due motivi.
Gli intimati hanno resistito con controricorso.
Considerato in diritto

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sigg.ri Montina era di rimessione in pristino dei luoghi.

l. – Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. – Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc.
civ., in riferimento agli artt. 112 e 100 cod. proc. civ.

motivazione che giustificherebbe la denuncia della violazione
dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. Civ., essi lamentano, nella sostanza, che la sentenza di merito abbia pronunciato oltre quanto richiesto dagli attori. Questi ultimi, infatti, avevano interesse a mantenere inalterato il transito
lungo la linea di confine, anche con mezzi agricoli, sicché la
domanda di demolizione riguardava la sola parte del fabbricato
eretto dai convenuti che, oltre ad occupare il suolo di proprietà degli attori, producesse anche il restringimento del
passaggio. Diversamente, la condanna alla demolizione era conseguenza dell’accertata invasione del sottosuolo, che
all’evidenza non comprometteva il suddetto transito.
I ricorrenti hanno formulato un duplice quesito nei

se-

guenti termini: «se vi sia violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ. qualora, a fronte della domanda di condanna a demolire la
parte di edificio costruito sulla proprietà attorea perché limitativo di un transito veicolare, il giudice dopo aver ravvisato l’assenza dello sconfinamento esterno dell’edificio, ne
ordini comunque la demolizione intergale sul presupposto della
sussistenza di una invasione sotterranea di una porzione ag-

Premesso che non viene chiarito quale sarebbe il vizio di

gettante delle sole fondamenta»; e «se vi sia violazione
dell’art. 100 cod. proc. civ. qualora la domanda giudiziale
degli attori sia giustificata esclusivamente dal loro interesse ad esercitare comodamente il transito superficiale di una

presupposto non di una lesione di tale interesse ma di altri
interessi non dedotti in causa (sconfinamento di fondamenta
sotterranee e di un tubo che ha consentito di eliminare un
fossato riduttivo del’area di transito oggi asservita al passaggio)»
1.2. – la doglianza è infondata.
Nell’azione promossa dal proprietario a difesa del suolo
abusivamente occupato, l’interesse ad agire è già stato valutato dal legislatore, e coincide con il recupero del suolo,
donde il vincolo per il giudice, a fronte dell’accertata occupazione, di ordinare la demolizione delle opere che concretizzano la violazione.
In questa prospettiva, anche il rischio della sproporzione
tra il dictum conseguente all’accoglimento della domanda e
l’interesse concreto del proprietario che agisce per recuperare il suolo occupato è stato già valutato dal legislatore e
posto a carico del soggetto che abbia violato la proprietà altrui.
Una diversa modulazione dell’assetto di interessi, in caso
di costruzione realizzata occupando parzialmente il fondo al-

strada privata e nondimeno la domanda sia stata accolta sul

trui, è configurata dall’art. 938 cod. civ. La norma prevede
un intervento discrezionale del giudice, il quale, valutate le
circostanze del caso concreto, ove ricorra la buona fede
dell’occupante e il proprietario del suolo non abbia fatto op-

ne, può attribuire la proprietà del suolo all’occupante, dietro pagamento del doppio del valore della superficie occupata,
oltre al risarcimento del danno.
Si tratta, come è evidente, di norma eccezionale, che deroga alla regola della restituzione/rimessione in pristino,
per realizzare un equilibrio che tenga conto degli interessi
contrapposti, valutati caso per caso.
Nella vicenda in esame, peraltro, la Corte d’appello ha
escluso correttamente di poter fare applicazione dell’art. 938
cod. civ. per ragioni processuali, in quanto la relativa domanda era stata proposta tardivamente (ex plurimis, Cass.,
sez.

2, sentenza n. 4286 del 2011), né di ciò si dolgono i ri-

correnti.
2. – Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc.
civ.,

in riferimento agli artt. 112 e 113 cod. proc. civ.,

nonché all’art. 1285 cod. civ. per omessa, contraddittoria e
insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, che viene individuato nel mancato accoglimento della
domanda risarcitoria – in assunto proposta alternativamente a

posizione entro tre mesi dall’inizio dei lavori di costruzio-

quella di rimessione in pristino – che sarebbe risultata meno
gravosa per i ricorrenti e di equivalente interesse per la
controparte.
Sono qui ulteriormente argomentate le critiche già pro-

ché si lamenta, nella duplice direzione della violazione di
legge e della carenza motivazionale, l’accoglimento della domanda di rimessione in pristino/demolizione del fabbricato costruito invadendo il suolo altrui, anziché di quella risarcitoria.
I ricorrenti articolano il quesito di diritto, relativo
• alla prospettata violazione di legge, nei seguenti termini:
«se, nel caso di domande alternative formulate in modo confuso, il giudice debba optare per la domanda che soddisfi
l’interesse della parte vittoriosa contemperando il minor danno per la parte sconfitta»
2.1. – La doglianza è infondata avuto riguardo ad entrambi
i profili.
Come già detto al paragrafo 1.2., la pretesa alternatività
tra domanda di rimessione in pristino e domanda risarcitoria
non sussiste. La Corte d’appello ha motivato esaustivamente in
proposito, evidenziando, per un verso, che la confusa formulazione delle domande dei sigg.ri Montina non consentiva di ritenere esistente la suddetta alternatività, e, per altro verso, su un piano generale ed assorbente, la difficoltà di con-

spettate dai ricorrenti con il primo motivo di ricorso, giac-

figurare il rimedio risarcitorio come alternativo alla rimessione in pristino (sulla natura di illecito permanente della
occupazione di suolo altrui, che cessa soltanto con la restituzione dell’immobile al proprietario o con la rinuncia di coex plurimis e da ultimo, Cass., sez. l, n.

1787 del 2013).
2.2. – La prospettata falsa applicazione dell’art. 113,
primo comma, cod. proc. civ., è incomprensibile, non avendo i
giudici di merito deciso secondo equità quando invece avrebbero dovuto decidere secondo diritto.
2.3. – Si rivela infine del tutto inconferente il richiamo
dei ricorrenti all’art. 1285 cod. civ., in tema di obbligazioni alternative, a mente del quale è rimessa al debitore la
scelta della prestazione da eseguire. La norma indicata contiene un principio applicabile alla fase dell’adempimento
dell’obbligazione, in presenza di una condanna alternativa, ma
non riguarda, né potrebbe riguardare, l’attività che logicamente precede la condanna alternativa, e cioè
l’interpretazione della domanda giudiziale.
3. – Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e

condanna i ricorrenti alle

spese, che liquida in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi.

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stui a richiederla,

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 dicembre

2013.

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