Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19578 del 26/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19578 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 24436-2009 proposto da:
FEZZA

RAFFAELE

FZZRFL39E07G230D,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CASPERIA 30, presso lo
studio dell’avvocato RINALDI GUIDO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAPECE
MARCO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2301

contro

DITTA GAROFALO ESPOSITO RAFFAELE;
– intimata –

avverso la sentenza n.

1103/2008 della CORTE

Data pubblicazione: 26/08/2013

D’APPELLO di SALERNO, depositata il 29/10/2008 R.G.N.
510/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;

Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE i che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Udienza del giorno 26 giugno 2013 — Aula B
n. 3 del ruolo — RG n. 24436/09
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 29 ottobre 2008) — in parziale
accoglimento dell’appello proposto dalla ditta Garofalo Esposito Raffaele in persona dell’omonimo
titolare avverso la sentenza n. 6418/2004 del Tribunale di Salerno e disattendendo l’appello
incidentale di Raffaele Fezza — riforma parzialmente tale ultima sentenza, annullando la statuizione
relativa alla condanna della ditta Garofalo al pagamento del TFR in favore del Fezza, conferma per
il resto la sentenza stessa e compensa per intero, fra le parti, le spese processuali.
La Corte d’appello di Salerno, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il Giudice di primo grado ha correttamente riconosciuto la sussistenza del dedotto rapporto
di lavoro subordinato e del diritto alle richieste differenze retributive, essendo emersa
l’inadeguatezza, ex art. 36 Cost., delle retribuzioni percepite dal Fezza;
b) con l’appello incidentale il lavoratore censura la sentenza impugnata nella parte riguardante
la quantificazione delle suddette spettanze retributive, sull’assunto secondo cui non troverebbero
giustificazione né la operata decurtazione del 40% né il mancato riconoscimento del superiore
inquadramento nel V livello del CCNL di settore, con le conseguenti differenze retributive come
quantificate dal CTU (ipotesi Al ovvero, in subordine, ipotesi B1), con eventuale detrazione degli
importi relativi alla quattordicesima mensilità;
c) tali censure sono infondate in quanto il primo Giudice ha ritenuto le mansioni svolte dal
Fezza inquadrabili nel VI livello — e non nel V livello invocato — sulla base dell’esame e del
raffronto delle diverse declaratorie contrattuali, giustificato da ampia motivazione, “che questa
Corte condivide e fa propria”,
d) è, invece, fondato, il motivo dell’appello principale relativo alla condanna al pagamento del
TFR, in quanto — come eccepito e dedotto già in primo grado — l’avvenuto pagamento del TFR si
deve considerare provato, alla luce sia della ricevuta a firma del Fezza prodotta in copia e in atti
(nel fascicolo di parte della ditta Garofalo) sia della mancanza di specifica contestazione sul punto e
di impugnativa del citato documento da parte del Fezza;
e) il CTU nominato in primo grado non ha sottratto dalla somma spettante a titolo di TFR
quanto si assumeva già versato, pertanto nulla è dovuto al Fezza al suddetto titolo, tenuto conto
dell’operata detrazione del 40% per effetto dell’applicazione solo in via parametrica del CCNL
invocato;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

O il lavoratore censura anche la statuizione relativa alla compensazione delle spese giudiziali
disposta nonostante che la domanda di cui al ricorso introduttivo sia stata totalmente accolta nell’an
e parzialmente accolta nel quantum, con conseguente soccombenza della controparte;
g) tale censura va disattesa perché la domanda proposta dal lavoratore è stata accolta in
misura di gran lunga inferiore a quella richiesta;

2.— Il ricorso di Raffaele Fezza domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; la Ditta
Garofalo Esposito Raffaele non svolge attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I — Sintesi dei motivi di ricorso
1.— Il ricorso è articolato in tre motivi, formulati in conformità con le prescrizioni di cui
all’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis.
1.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod.
proc. civ.: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e degli artt. 2099, 2103, 2108 cod.
civ. nonché dell’art. 2697 cod. civ.; b) erronea valutazione della CTU; c) omessa e, in ogni caso,
insufficiente motivazione.
Si assume che la Corte salernitana abbia immotivatamente confermato la sentenza di primo
grado nella parte in cui ha decurtato del 40% gli importi calcolati dal CTU, sul rilievo secondo cui
tale decurtazione era da riferire agli istituti di fonte contrattuale, che il CTU aveva incluso.
Si precisa che dall’importo complessivo determinato dal CTU avrebbe dovuto essere sottratta,
eventualmente, solo la quattordicesima mensilità
1.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 416, terzo comma, e 437,
secondo comma, cod. proc. civ.; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. omessa,
insufficiente e in ogni caso contraddittoria motivazione.
A corredo del motivo si propone il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il Giudice di
merito possa ammettere in grado d’appello nuovi mezzi di prova e, in particolare, documenti non
indicati né prodotti nei termini decadenziali fissati dalle norme applicabili, ovvero se lo stesso
debba sempre dichiarare inammissibili ed omettere ogni valutazione circa i documenti
eventualmente prodotti, con la conseguenza che se intenda invece ammetterli e valutarli abbia
l’onere di fornire opportuna motivazione”.
Si rileva che il documento attestante il presunto pagamento del TFR è stato prodotto dal
datore di lavoro per la prima volta in appello del tutto irritualmente e inammissibilmente.

h) peraltro, il suddetto parziale accoglimento della domanda giustifica la compensazione, per
intero, anche delle spese del giudizio di appello.

Ne consegue che tale documento — il cui contenuto si pone in “stridente contraddizione” con
la negazione della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato sempre sostenuta dal
datore di lavoro — non avrebbe dovuto essere oggetto di valutazione da parte della Corte d’appello,
a prescindere dall’eventuale mancata contestazione del lavoratore.

1.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ.; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ. omessa, insufficiente e in ogni caso contraddittoria motivazione.
A corredo del motivo si propone il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il Giudice di
merito possa disporre la compensazione delle spese di lite in caso di accoglimento totale o parziale
della domanda ovvero se lo stesso debba sempre condannare la parte soccombente al rimborso delle
spese a favore dell’altra parte, con la conseguenza che se intenda invece disporre la compensazione
abbia l’onere di fornire opportuna motivazione.
Si sottolinea che la sentenza di primo grado ha disposto la compensazione delle spese
giudiziali sulla base del “comportamento collaborativo” tenuto dal datore di lavoro e la Corte
d’appello ha confermato tale statuizione facendo riferimento all’accoglimento parziale della
domanda, mentre la statuizione sulle spese avrebbe dovuto stabilire un regime quanto meno
proporzionale alla parte di ragione riconosciuta al Fezza.
II — Esame delle censure
2.- Il primo motivo di ricorso è foridato, per le ragioni di seguito esposte.
2.1.- Dalla lettura della sentenza impugnata risulta, infatti, che la Corte salernitana — nella
lunga motivazione, prevalentemente dedicata alla valutazione della natura del rapporto di lavoro di
cui si tratta — non ha dato alcuna giustificazione della conferma delle statuizioni della sentenza di
primo grado in merito alla determinazione della retribuzione spettante al Fezza in base ai principi di
cui all’art. 36 Cost. da applicare nella specie, visto che al rapporto di lavoro in argomento —
pacificamente di natura subordinata e durato dal 30 giugno 1991 al 20 gennaio 2001 — è mancata
una regolare assunzione e di conseguenza l’attribuzione di un equo e adeguato trattamento
retributivo.
Sul punto, infatti, la Corte d’appello si è limitata a:
1) affermare che — essendo emerso che le retribuzioni percepite dal Fezza non erano
rispondenti ai criteri della proporzionalità e sufficienza richiesti dall’art. 36 Cost. — il giudice di
primo grado aveva fatto riferimento al trattamento retributivo previsto dal CCNL per i dipendenti
delle aziende del terziario, distribuzione e servizi, applicandolo peraltro solo in via parametrica, in
mancanza di iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti della ditta datrice di lavoro;
3

Comunque, la Corte territoriale — anche in considerazione dell’implicito disconoscimento del
documento stesso da parte del lavoratore derivante dalla reiterata affermazione di non aver ricevuto
alcunché a titolo di TFR — avrebbe dovuto adottare uno specifico provvedimento per la relativa
acquisizione agli atti del giudizio e la conseguente valutazione e motivare tale scelta.

2) condividere e fare propria l’ampia motivazione del primo giudice in merito
all’inquadramento delle mansioni svolte dal Fezza nel VI livello.

2.2.- Ne consegue che, al riguardo, nella sentenza impugnata sono ravvisabili — come
sostenuto dal ricorrente — da un lato il vizio di omessa motivazione e, dall’altro, il vizio di
violazione della normativa applicabile in materia di determinazione giudiziale della retribuzione ai
sensi dell’art. 36 Cost., come intesa dalla giurisprudenza di legittimità.
2.3.- Quanto al primo profilo, va ricordato che costituisce vizio di omessa motivazione della
sentenza, denunziabile in sede di legittimità, l’omessa indicazione da parte del giudice degli
elementi da cui ha tratto il proprio convincimento senza una approfondita disamina logica e
giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e logicità del suo
ragionamento, e ciò anche quando vengono in rilievo decisioni su questioni giuridiche condizionate
strettamente da un accertamento e da una valutazione di circostanze fattuali (vedi, per tutte: Cass. 9
agosto 2011, n. 17399: Cass. 18 novembre 2010, n 23296; Cass. 18 gennaio 2006, n. 890). Tale
situazione si verifica, appunto, nella specie, visto che la Corte salernitana non ha dato alcuna
giustificazione della conclusione cui è pervenuta.
2.4.- Quanto al secondo dei suindicati profili, è bene ricordare che, nell’ipotesi in cui il
giudice del merito sia chiamato a determinare la giusta retribuzione a norma dell’art. 36 Cost. — in
relazione all’art 2099 cod. civ. e dunque con riferimento ai contratti collettivi in via parametrica deve, in primo luogo, rispettare i criteri dettati dalla norma costituzionale per il processo
perequativo, e cioè il criterio di “sufficienza” della retribuzione a sopperire ai bisogni di una
esistenza libera e dignitosa e quello criterio di “proporzionalità” della stessa retribuzione alla
quantità e qualità del lavoro prestato (Cass. 9 agosto 2011, n. 17399 cit.; Cass. 20 settembre 2007,
n. 19467; Cass. 29 marzo 1985, n. 2193).
In particolare, l’utilizzazione, nella suddetta ipotesi, della disciplina collettiva del settore
considerato adeguato deve essere effettuata a semplici fini parametrici o di raffronto per la
determinazione della sola retribuzione base spettante al lavoratore subordinato senza riguardo agli
altri istituti contrattuali, e la suddetta determinazione può essere impugnata dal lavoratore in
cassazione, ex art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 3, in caso di disapplicazione del criterio
giuridico della “sufficienza” della retribuzione – volto a garantire la soddisfazione dei bisogni di una
esistenza libera e dignitosa – nonché di quello della “proporzionalità” – volto a correlare la stessa
retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato – rimanendo di contro l’apprezzamento in
concreto dell’adeguatezza della retribuzione riservato al giudice del merito (Cass. 20 marzo 2010, n.
7528; Cass. 28 agosto 2004, n. 17250).

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Non ha, invece, la Corte territoriale minimamente spiegato le ragioni che l’hanno indotta a
confermare la generalizzata decurtazione nella misura del 40% degli importi indicati nel suindicato
CCNL, disposta nella sentenza di primo grado sul duplice rilievo del carattere meramente
parametrico del riferimento al suindicato contratto e della inclusione nel calcolo effettuato dal CTU
anche degli istituti di fonte contrattuale (senza neppure specificare di quali si tratta).

Per quanto riguarda la detrazione dei compensi aggiuntivi, va precisato che, in base ad un
consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, ai fini dell’adeguamento della retribuzione ai
sensi dell’art. 36 Cost., il contratto il collettivo di settore rappresenta il più adeguato strumento per
determinare il contenuto del diritto alla retribuzione ma limitatamente ai titoli contrattuali che
costituiscono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione, con esclusione, quindi, dei
compensi aggiuntivi e delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima (Cass. 7 luglio 2008, n. 18584;
Cass. 4 giugno 2008, n. 14791).
L’eventuale applicazione di altri istituti contrattuali non può essere automatica, ma richiede
specifica e adeguata motivazione (Cass. 9 giugno 2008, n. 15148).
2.5.- Nel caso che ci occupa, a fronte di un rapporto di lavoro irregolare durato quasi dieci
anni, la Corte d’appello, senza alcuna spiegazione, ha fatto implicitamente propria la generale
decurtazione del 40% degli importi calcolati nella CTU di primo grado — i cui risultati sono stati
considerati, peraltro, rispondenti a corretti criteri tecnico-giuridici — operata dal Tribunale, che,
nella relativa sentenza, veniva giustificata esclusivamente, come si detto, attraverso un apodittico
riferimento al carattere parametrico del richiamo del CCNL in oggetto e un’altrettanto laconica e
generica necessità di sottrarre gli istituti di fonte contrattuale.
In tal modo la Corte stessa si è discostata dagli orientamenti della giurisprudenza di questa
Corte — sopra richiamata — secondo cui in caso di adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art.
36 Cost.:
a) il Giudice del merito deve precisare puntualmente le modalità attraverso le quali perviene
alla quantificazione del trattamento retributivo da riconoscere al lavoratore, attraverso
l’utilizzazione a fini parametrici o di raffronto della contrattazione collettiva, onde rendere chiare le
ragioni per le quali ritiene un certo trattamento retributivo conforme, ai criteri di “sufficienza” e
“proporzionalità” richiesti dall’art. 36 Cost., al fine di porre il lavoratore in condizione di
comprendere le ragioni della decisione adottata;
b) gli istituti retributivi legati all’autonomia contrattuale (come ad esempio le mensilità
aggiuntive oltre la tredicesima mensilità, i compensi aggiuntivi ed integrativi dei minimi salariali),
anche se non possono trovare automatica applicazione, nel caso considerato, tuttavia non possono
essere neppure automaticamente esclusi e il loro esame complessivo è possibile al fine della
determinazione della “giusta retribuzione” ai sensi della norma costituzionale (vedi, tra le tante:
Cass. 12 dicembre 1998 n. 12528; Cass. Cass. 12 dicembre 1998, n. 12528).
A quanto detto consegue l’accoglimento del primo motivo.
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Inoltre, la giusta retribuzione, determinata dal giudice, deve essere adeguata anche in
proporzione all’anzianità di servizio acquisita, atteso che la prestazione di lavoro, di norma,
migliora qualitativamente per effetto dell’esperienza, sicché il giudice può ben attribuire gli scatti di
anzianità non per applicazione automatica, ma subordinatamente all’esito positivo dell’indagine
volta a garantire l’adeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost., in considerazione del
miglioramento qualitativo nel tempo della prestazione (Cass. 7 luglio 2008, n. 18584).

3.1.- In base ad un orientamento di questa Corte che costituisce “diritto vivente” nel rito del
lavoro, in base al combinato disposto dell’art. 416, terzo comma, cod. proc. civ., che stabilisce che
il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in
particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare – onere probatorio gravante
anche sull’attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
13 del 1977 – e dell’art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., che, a sua volta, pone il divieto di
ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova — fra i quali devono annoverarsi anche i
documenti — l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti,
e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto
alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della
loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla
memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in
causa del terzo); e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al
mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di
reviviscenza in grado di appello. Tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il
rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel
giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione
di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., ove essi siano
indispensabili ai fini della decisione della causa. Tali poteri, peraltro, sono da esercitare pur sempre
con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle
parti stesse (vedi, per tutte: Cass. 20 aprile 2005, n. 8202; Cass. 2 febbraio 2009, n. 2577).
3.2.- Nella specie il suddetto principio non è stato rispettato in quanto — a fronte della esplicita
affermazione contenuta nella sentenza di primo grado della mancanza di prove fornite dal datore di
lavoro sulle trattamento retributivo corrisposto, ivi compreso il TFR, espressamente ivi indicato
come “non corrisposto” — la Corte d’appello ha riformato la sentenza di primo grado sul punto,
basandosi su un documento asseritamente attestante la riscossione da parte del lavoratore del TFR,
irritualmente prodotto in giudizio dal datore di lavoro o per la prima volta in appello o comunque
dopo il termine di decadenza previsto dal combinato disposto dell’art. 416, terzo comma, cod. proc.
civ. e dell’art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., che oltretutto la stessa Corte precisa che è stato
prodotto in copia e nel fascicolo di parte del datore di lavoro stesso.
Ne consegue che si tratta di un documento che non avrebbe potuto comunque trovare ingresso
nel processo in quanto era intervenuta una decadenza al riguardo e rispetto a tale constatazione
appare del tutto errata la motivazione della Corte d’appello, che fa riferimento alla mancanza sia di
specifica contestazione sul punto sia di impugnativa del citato documento da parte del Fezza.
Tale motivazione, infatti, poggia sul presupposto secondo cui il giudice di appello possa,
come regola generale, ammettere prove da cui la parte sia decaduta, mentre sostenere questa tesi
equivale, come più volte messo in evidenza dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 9 gennaio
2003, n. 136; Cass. 8 marzo 2001, n. 3355; Cass. 10 febbraio 1995, n. 1509 del 1995), scardinare
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3.- Anche il secondo motivo di ricorso è fondato.

tutto il sistema di rigide preclusioni su cui si fonda il processo del lavoro, con pregiudizio anche del
diritto di difesa dell’altra parte.
4.- All’accoglimento dei primi due motivi del ricorso consegue l’assorbimento del terzo.

III — Conclusioni

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione alle censure accolte, con
rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Potenza, che si
atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi,
anche ai seguenti:
1)” in caso di adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost. il Giudice del merito
deve precisare puntualmente le modalità attraverso le quali perviene alla quantificazione del
trattamento retributivo da riconoscere al lavoratore, attraverso l’utilizzazione a fini parametrici o di
raffronto della contrattazione collettiva, onde rendere chiare le ragioni per le quali ritiene un certo
trattamento retributivo conforme, ai criteri di “sufficienza” e “proporzionalità” richiesti dall’art. 36
Cost., al fine di porre il lavoratore di comprendere le ragioni della decisione adottata. A tal fine gli
istituti retributivi legati all’autonomia contrattuale (come ad esempio le mensilità aggiuntive oltre la
tredicesima mensilità, i compensi aggiuntivi ed integrativi dei minimi salariali), benché non possano
trovare automatica applicazione, tuttavia non possono essere neppure automaticamente esclusi e il
loro esame complessivo è possibile al fine della determinazione della “giusta retribuzione” ai sensi
della norma costituzionale”;
2) “nel rito del lavoro il giudice di appello non può, come regola generale, ammettere prove
da cui la parte sia decaduta, in quanto sostenere il contrario equivale a scardinare tutto il sistema di
rigide preclusioni su cui si fonda il processo del lavoro, con pregiudizio anche del diritto di difesa
dell’altra parte”.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo. Cassa la sentenza
impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di
cassazione alla Corte d’appello di Potenza
Coeciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 26 giugno 2013.
Il Presidente

\uv,, 9o,d,
IL CANCELLIERE

5.— In sintesi, primi due motivi del ricorso devono essere accolti, per le ragioni dianzi esposte.
Il terzo motivo va dichiarato assorbito.

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