Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19573 del 26/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19573 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 1016-2012 proposto da:
NASCE’ MARIA ANTONIA VSCMNT51H46C344K, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RAFFAELE DE CESARE 36, presso
lo studio dell’avvocato CASSANDRO ANTONELLA,
rappresentata e difesa dall’avvocato LONGO EUGENIO,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1683

COMUNE CASTRONOVO DI SICILIA 04756000824;
– intimato –

O
Nonché da:

Data pubblicazione: 26/08/2013

COMUNE DI CASTRONOVO DI SICILIA 04756000824, in
persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato ARICO’ ANTONINO, giusta delega in atti;

contro

NASCE’ MARIA ANTONIA VSCMNT51H46C344K;
– intimata-

avverso la sentenza n. 1118/2011 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 26/07/2011 r.g.n. 1545/09+-1 ^
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e accoglimento del
ricorso incidentale.

-controricorrente e ricorrente incidentale –

RG. n. 1016/12
Ud. 14.5.13
Nascè c. Comune di Castronovo di Sicilia

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 26.7.11 la Corte d’appello di Palermo rigettava i
gravami interposti da Maria Antonia Nascè contro le sentenze del Tribunale di

Termini Imerese che ne aveva respinto le impugnative delle sanzioni disciplinari
(sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi e, poi, licenziamento)
irrogatele dal Comune di Castronovo di Sicilia.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Nascè affidandosi ad otto motivi.
Il Comune di Castronovo di Sicilia resiste con controricorso e spiega ricorso
incidentale basato su un solo motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi perché aventi ad oggetto
la medesima sentenza.
Ancora in via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso
principale sollevata dal Comune controricorrente sulla base dell’erroneo
presupposto della perdurante applicabilità dell’art. 366 bis c.p.c. (ormai abrogato
dall’art. 47 legge n. 69/09, abrogazione che, ex art. 58 ult. co . stessa legge, è
applicabile alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso
per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore
della legge, come avvenuto nel caso di specie) e per asserita carente esposizione dei
fatti di causa (non ravvisabile nel caso di specie).
Quanto all’omessa indicazione, ex art. 366 co. 10 n. 6 c.p.c., degli atti e dei
documenti su cui si fonda il ricorso principale, si rinvia alla disamina dei singoli
motivi e alle assorbenti ragioni di loro inammissibilità od infondatezza.

1- Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa
applicazione del CCNL comparto regioni ed enti locali, nonché vizio di
motivazione, per avere l’impugnata sentenza trascurato che la recidiva, pur
integrando elemento costitutivo delle sanzioni disciplinari di cui all’art. 3 co. 7° lett.
a) e lett e) cit. CCNL nella parte relativa alla reiterata e ingiustificata assenza dal
lavoro, non era stata contestata, con conseguente nullità delle sanzioni medesime.
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Nascè c. Comune di Castronovo di Sicilia

Il motivo è inammissibile perché non confuta con specifiche argomentazioni il
nucleo della motivazione con cui i giudici del merito hanno escluso, a monte, che la
recidiva costituisse elemento costitutivo del licenziamento disciplinare irrogato

all’odierna ricorrente e hanno ricollegato le sanzioni ad assenze protrattesi ben oltre
il termine entro cui poteva rilevare la recidiva medesima
Per l’esattezza, l’impugnata sentenza ha puntualizzato che la sospensione dal
servizio e dalla retribuzione per sei mesi è stata applicata per assenze ingiustificate
(superiori ai 15 giorni) protrattesi dal 26 ottobre al 16 novembre 2007 e lo stesso
art. 3 co. 6° lett. b) del CCNL allegato al ricorso non prescrive che tali assenze
rilevino solo in presenza di recidiva.
Quanto al licenziamento, esso è stato intimato per ulteriori assenze ingiustificate
protrattesi dal 5 luglio all’8 settembre 2008, vale a dire per oltre due mesi a fronte
di una previsione contrattuale — quella dell’art. 3 co. 7° lett. d) cit. CCNL — che
consente il licenziamento anche per assenze arbitrarie prolungatesi oltre i quindici
giorni, ove non seguite dalla ripresa del servizio nel termine fissato dall’ente.

2- Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli arti. 24
e 25 CCNL comparto regioni ed enti locali, dell’art. 7 Stat. e vizio di motivazione,
per non avere i giudici di merito risposto alla doglianza secondo cui il Comune di
Castronovo avrebbe valutato a carico della ricorrente anche sanzioni disciplinari
adottate oltre due anni prima delle contestazioni per cui è causa.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente
trascritto né allegato l’atto d’appello né indicato in che parte conterrebbe tale
censura.
Infatti – come statuito da costante giurisprudenza di questa S.C., cui va data
continuità – la parte che mediante ricorso per cassazione impugni una sentenza per
omessa pronuncia su una domanda o su un’eccezione deve specificare, a pena di
inammissibilità, in quale atto difensivo o verbale d’udienza l’abbia formulata, per
consentire al giudice di verificare ritualità, tempestività e decisività della relativa
questione; invero, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c. un error in

procedendo, per il quale la Corte Suprema è giudice anche del fatto processuale, il
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potere/dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non
significa che essa debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte
interessata l’onere di indicarli (cfr. Cass. S.U. 14.5.10 n. 11730).

Per altro, la doglianza non è nemmeno conferente, poiché l’impugnata sentenza ha
considerato di per sé sufficienti a giustificare le sanzioni oggetto di causa già
soltanto le prolungate assenze ingiustificate della Nascè, a prescindere da ipotetici
suoi precedenti disciplinari (risalenti o meno al precedente biennio), di cui non fa
alcuna menzione.

3- Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del CCNL
comparto regioni ed enti locali, nonché vizio di motivazione, nella parte in cui sono
state considerate a fini di recidiva anche sanzioni disciplinari per le quali era in
corso il giudizio di impugnazione.
Anche questo motivo non è conferente: in realtà la Corte territoriale non ha affatto
valutato come recidive infrazioni disciplinari ancora sub iudice, ritenendo — giova
ribadire — di per sé sufficienti già soltanto le prolungate assenze ingiustificate della
ricorrente e limitandosi a richiamare la condotta della Nascè (nei giorni precedenti
alle assenze iniziate il 5 luglio e protrattesi fino all’8 settembre 2008) all’unico fine
di meglio inquadrare l’evoluzione della vicenda nel suo complesso, senza
minimamente considerare od affermare l’esistenza di precedenti contestazioni o
sanzioni disciplinari oltre a quelle per cui è causa.

4- Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 24 co.
2° lett. c) CCNL comparto regioni ed enti locali e degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp.
att. c.p.c. per avere l’impugnata sentenza ritenuto tempestiva una contestazione
disciplinare avvenuta il 10.9.08 a fronte di assenze ingiustificate della ricorrente
protrattesi dal 5.7.08 all’8.9.08, nonostante che il contratto prevedesse che la
contestazione dovesse avvenire tempestivamente e, comunque, non oltre i 20 giorni.
Il motivo è infondato per l’assorbente rilievo che la tempestività va valutata al
momento della cessazione dell’illecito disciplinare continuato (cfr. Cass. 1°.2.10 n.

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2283), sicché non si vede come possa considerarsi tardiva una contestazione mossa
a 48 ore dal termine d’un periodo ininterrotto di assenza ingiustificata.

5- Con il quinto motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione degli artt.
2087 c.c. e 32 Cost. nonché di vizio di motivazione per non avere la gravata
pronuncia ritenuto giustificate le assenze dal lavoro della Nascè malgrado i
certificati medici e gli altri documenti versati in atti in ordine ai concreti pericoli per
la salute derivanti dalle condizioni di lavoro.
Con il sesto motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e
1460 c.c., 3,4 e 16 d.lgs. n. 626/94, 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché di vizio
di motivazione, per avere la Corte territoriale negato che la ricorrente potesse
legittimamente astenersi dal lavoro a causa dell’inadempienza del Comune in
relazione all’insalubre e polveroso ambiente lavorativo, incompatibili con l’asma di
cui soffriva la ricorrente.
Analoga doglianza viene, in sostanza, fatta valere con il settimo motivo sotto
forma di vizio di motivazione nonché di violazione e falsa applicazione degli artt.
2087 c.c., 32 Cost., 18 Stat. e del d.lgs. n. 626/94, con particolare riferimento a
quella parte dell’impugnata sentenza in cui si afferma che la ricorrente avrebbe
quanto meno potuto offrire la propria prestazione in altri ambienti lavorativi del
Comune, trascurando i giudici d’appello la possibilità di un incolpevole errore della
lavoratrice nella valutazione dell’insalubrità dell’ambiente di lavoro; la stessa
censura viene mossa con l’ottavo motivo, sotto forma di vizio di motivazione e
violazione dell’art. 2087 c.c. e del d.lgs. n. 626/94.
I quattro motivi – da esaminarsi congiuntamente perché connessi – sono infondati.
Con motivazione in fatto immune da vizi logici o giuridici l’impugnata sentenza
ha rilevato, proprio sulla scorta dei certificati medici invocati dalla ricorrente, che
ella non era inidonea alle mansioni affidatele, ma solo che non doveva trattenersi in
locali polverosi e che i contingenti lavori di messa in sicurezza dell’impianto
elettrico dell’edificio potevano aver cagionato un grado di polverosità, ma che ciò
era compensato dalla presenza di tre grandi finestre nella biblioteca cui era addetta
la ricorrente e che potevano consentire una certa aerazione. Inoltre, proprio per tale
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ragione la ricorrente era stata trasferita ad altro piano, pur non munito di bagni. E,
sebbene il medico competente avesse sconsigliato alla ricorrente lo scendere e il
salire le scale per raggiungere i bagni collocati a distanza di un solo piano,

nondimeno le stesse patologie riferite a pag. 3 del ricorso (ipertensione arteriosa,
fibromatosi uterina, asma, sindrome depressiva) non evidenziano alcuna
impossibilità di salire o scendere una rampa di scale, anche perché ciò sarebbe stato
necessario non già per lunghi periodi nel corso della giornata lavorativa, ma
soltanto per il tempo necessario ad accedere ai servizi igienici.
Ciò detto, pur considerando tali limitazioni la Corte territoriale ha accertato, con
apprezzamento di fatto non censurabile in questa sede, che la capacità lavorativa
della ricorrente in relazione ai locali del Comune di Castronovo non era tale da
giustificare il rifiuto di qualsiasi prestazione e in qualunque stanza, ben potendo la
Nascè recarsi al lavoro e rendersi comunque disponibile ad espletare mansioni
confacenti al proprio stato di salute e in luoghi idonei, a maggior ragione
considerato che — come sottolineato sempre dai giudici del merito — i lavori di
messa in sicurezza dell’impianto elettrico e i conseguenti disagi per la polverosità
nell’ambiente si erano conclusi nel marzo 2008, dunque ben prima del periodo in
cui si è protratta l’assenza dal lavoro della ricorrente (dal 5.7.08 all’8.9.08) poi
culminata con la contestazione disciplinare e il conseguente licenziamento.
In breve, ove pure — in via di mera congettura – il lavoratore eccepisca a ragione
che uno o più locali siano incompatibili con il proprio stato di salute, nondimeno ciò
non lo autorizza a valutare da sé l’ipotetica inesistenza di collocazioni alternative
(per ambiente e/o mansioni) e, per l’effetto, ad assentarsi puramente e
semplicemente dal lavoro (come, invece, ha fatto l’odierna ricorrente).
Né valga nel caso di specie il richiamo al rimedio sinallagmatico in via di
autotutela di cui all’art. 1460 c.c., noto essendo l’insegnamento giurisprudenziale di
questa Corte Suprema secondo cui nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora
una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza,
l’inadempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa
dei comportamenti, considerando non tanto il mero elemento cronologico quanto i
rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute
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rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci
obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. e ai sensi dello stesso
cpv. dell’art. 1460 c.c., affinché l’eccezione di inadempimento sia conforme a

buona fede e non pretestuosamente strumentale all’intento di sottrarsi alle proprie
obbligazioni contrattuali.
Quanto alla possibilità di un incolpevole errore della lavoratrice nella valutazione
dell’insalubrità dell’ambiente di lavoro, basti ricordare che ex art. 1218 c.c.
l’atteggiamento psicologico non è rilevante ai fini della qualificazione
dell’inadempimento, neppure in termini di eventuale esimente putativa (cfr., per
tutte, Cass. 3.5.11 n. 9714).

6- Con l’unico motivo del ricorso incidentale il Comune di Castronovo di Sicilia
si duole della compensazione delle spese del grado d’appello statuita
dall’impugnata sentenza con motivazione di stile e meramente apparente.
Il motivo è fondato.
Nei giudizi instaurati (come quello in oggetto) dopo l’entrata in vigore della legge
28.12.05 n. 263, il giudice può procedere a compensazione parziale o totale tra le
parti in mancanza di soccombenza reciproca solo se ricorrono giusti motivi
esplicitamente indicati nella motivazione, atteso il tenore dell’art. 92 co. 2° c.p.c.,
come modificato dall’art. 2 co. 1° lett. a) della legge citata (cfr. Cass. 27.7.12 n.
13460). Invece nel caso in esame non si applica, ratione temporis, il testo dell’art.
92 co. 2° c.p.c. ulteriormente modificato dall’art. 45 co. 11 0 legge n. 69/09.
Orbene, ai predetti fini è manifestamente inidonea la motivazione espressa
dall’impugnata sentenza, limitata al rilievo di una non meglio chiarita “peculiarità
della questione”, che non spiega se con essa ci si riferisce ad una particolare
problematicità in fatto e/o in diritto della controversia, tale da giustificare l’azione
in giudizio da parte della ricorrente, oppure ad altre ragioni idonee da un punto di
vista equitativo.

7- In conclusione, il ricorso principale è da rigettarsi, mentre merita di essere
accolto quello incidentale.
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Per l’effetto, si cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto, con
rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, che dovrà limitarsi
a provvedere sulle spese del giudizio d’appello e di quello di legittimità.

La Corte,
riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e accoglie l’incidentale, cassa la sentenza
impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte
d’appello di Palermo in diversa composizione.
Così deciso in Roma, in data 14.5.13.

P.Q.M.

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