Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19572 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/07/2019, (ud. 03/04/2019, dep. 19/07/2019), n.19572

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26132/2018 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONFALONIERI

5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIO MINELLA;

– ricorrente –

contro

ACCIAI SPECIALI TERNI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO DA

CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato FURIO TARTAGLIA, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 327/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/04/2018 R.G.N. 1484/2017;

Il P.M., ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO CHE:

1. la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 327 del 2018, respingeva il ricorso di A.G. per revocazione ordinaria della sentenza n. 1732 del 2017 con cui la medesima Corte aveva respinto il reclamo dallo stesso proposto, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 58 e segg., avverso la sentenza del Tribunale di Monza di rigetto dell’impugnativa di licenziamento intimato il 20.3.2015;

2. nell’ottica del ricorso per revocazione, la Corte territoriale avrebbe deciso sulla base di un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, rappresentato dall’assenza di una impugnativa del trasferimento, viceversa documentata e pacifica; tale errore sarebbe stato decisivo, in quanto determinante l’esito della controversia;

3. la Corte territoriale rigettava il ricorso di revocazione, osservando, in primo luogo, che la sentenza n. 1732, nel dichiarare tardiva l’impugnazione del trasferimento, non precisava se il termine non osservato fosse stato quello, stragiudiziale, di sessanta giorni ovvero quello, successivo, giudiziale, sicchè l’errore di fatto, dedotto solo con riferimento al primo termine, non era decisivo; in ogni caso, altrettanto non decisivo era l’indicato errore di fatto, avendo la Corte di merito provveduto all’esame della legittimità dell’atto impugnato, che aveva motivatamente riconosciuto, con argomentazione autonomamente idonea a sorreggere la decisione;

4. ha proposto ricorso per cassazione, A.G., affidato a quattro motivi;

5. ha resistito, con controricorso, Acciai Speciali Terni s.p.A.;

6. ha depositato requisitoria scritta il PG;

7. entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO CHE:

1. con il primo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.; secondo la parte ricorrente, le argomentazioni a fondamento della decisione non soddisfarebbero i requisiti minimi motivazionali;

1.1. il motivo è inammissibile;

1.2. come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014; Cass., sez. un., n. 8053 del 2014) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, ratione temporis applicabile, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un “error in procedendo” che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione (Cass., sez. un., n. 14477 del 2015; ex multis, tra le sezioni semplici, Cass. n. 31543 del 2018);

1.3. è stato, inoltre, precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016);

1.4. queste evenienze non sono riscontrabili nella fattispecie di causa; la sentenza impugnata, sia pure in maniera succinta, rende palese le ragioni della decisione fondata sull’insussistenza del rappresentato motivo di revocazione, integrato, secondo la costante interpretazione di questa Corte, dalla “falsa percezione di quanto emerge dagli atti (…)” o consistente “in una svista materiale su circostanze decisive” (in argomento, ex plurimis, Cass. n. 6405 del 2018); a tale riguardo, la Corte di appello ha osservato come la sentenza revocanda, da un lato, affermasse tout court la tardività dell’impugnazione del trasferimento, senza che tale statuizione fosse certamente riferibile all’impugnativa stragiudiziale piuttosto che a quella giudiziale, sicchè la circostanza di fatto dedotta, documentata e pacifica (id est: l’impugnazione nei sessanta giorni del trasferimento con comunicazione ricevuta dalla società il 3.3.2015) non era decisiva, dall’altro, per essere la medesima sentenza (quella oggetto del giudizio di revocazione) sorretta da una seconda ed autonoma ratio decidendi; la motivazione è, dunque, comprensibile sicchè può discutersi della sua plausibilità e condivisibilità ma non della sua esistenza in fatto;

2. con il secondo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost.; secondo la parte ricorrente, il giudice della revocazione avrebbe dovuto giudicare abnorme la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 395 c.p.c., nella parte in cui aveva statuito nel merito della controversia dopo essersi spogliata della “potestas iudicandi”, per cui non avrebbe potuto considerare, ai fini della non decisività dell’errore revocatorio, la sussistenza di detta ratio decidendi;

3. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto omesso esame di un fatto decisivo e contraddittorietà; la critica investe la statuizione secondo cui il ricorrente per revocazione avrebbe denunciato l’errore di fatto esclusivamente in relazione al termine stragiudiziale di impugnazione del trasferimento mentre la sentenza, oggetto di revocazione, non aveva affatto precisato la natura del termine violato (stragiudiziale o giudiziale); secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe errato, sia in relazione alla prima affermazione, sia quanto alla seconda, giacchè, nel ricorso ex art. 395 c.p.c., si chiariva che, in relazione ad entrambe le impugnazioni, la parte datoriale non aveva sollevato alcuna eccezione di tardività;

4. il terzo motivo, il cui esame, per motivi logici, si antepone al secondo, è, in radice, inammissibile, in quanto, pur formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato, esula del tutto dai confini del vizio di motivazione come delineato da Cass., sez. un., nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), non illustrando il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo;

5. diviene, di conseguenza, inammissibile anche il secondo motivo che investe la statuizione di non decisività dell’errore in ragione della valutazione di legittimità, nel merito, del trasferimento; invero, ove la sentenza impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse (o, comunque, la definitività di una di esse) rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre che, in nessun caso, potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (ex plurimis, Cass. n. 3386 del 2011; Cass. n. 24540 del 2009; Cass. n. 389 del 2007; Cass. n. 20118 del 2006); nel caso di specie, la Corte di appello ha escluso la decisività dell’errore sull’autonomo rilievo, divenuto oramai definitivo, che l’errore allegato riguardasse solo il termine stragiudiziale di impugnazione del trasferimento laddove la sentenza oggetto di revocazione era (id est: poteva essere) riferibile anche al termine giudiziale di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, sicchè diviene irrilevante esaminare le censure sollevate, comunque inidonee a modificare l’esito della lite;

6. con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione dell’art. 96 c.p.c., per non aver la Corte di appello considerato la (pur avanzata) richiesta di condanna per responsabilità aggravata;

6.1. il motivo è inammissibile, postulando la domanda ex art. 96 c.p.c. la soccombenza della controparte; la sentenza impugnata ha, viceversa, respinto il ricorso per revocazione ordinaria proposto dall’odierno ricorrente;

7. conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con le spese liquidate in dispositivo secondo soccombenza;

7. l’ammissione del ricorrente al beneficio del gratuito patrocinio lo esonera, allo stato, dal versamento dell’ulteriore somma dovuta ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater a titolo di contributo unificato (cfr. Cass. n. 25005 del 2014; Cass. n. 18523 del 2014).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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