Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19571 del 09/07/2021

Cassazione civile sez. II, 09/07/2021, (ud. 08/01/2021, dep. 09/07/2021), n.19571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20037/2019 proposto da:

A.C., rappresentato e difeso Massimo Gilardoni,

elettivamente domiciliato a Roma, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello

Stato, con domicilio ex lege in Roma via dei Portoghesi 12.

– controricorrente a debito –

avverso il decreto del tribunale di Brescia, depositato il 10.5.2019.

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del giorno

8.1.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Udito il Pubblico Ministero, in persone del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso, chiedendo di

rigettare il ricorso.

Udito l’avv. Roberto Giuva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.C. ha proposto opposizione dinanzi al tribunale di Brescia, avverso il provvedimento con il quale la locale Commissione territoriale ha rigettato la sua domanda di protezione internazionale. Il ricorrente aveva allegato di provenire dalla Nigeria e di aver abbandonato il paese di origine perché minacciato dai membri di una confraternita (cui era stato costretto ad aderire), essendosi rifiutato di assassinare altro affiliato; di aver attraversato il Niger e la Libia per giungere in Italia.

Il tribunale di Brescia ha osservato che, sebbene le informazioni assunte confermassero l’esistenza della setta segreta denominata “(OMISSIS)”, il racconto del richiedente asilo appariva comunque implausibile, essendo inspiegabile che il ricorrente: a) non avesse denunciato i fatti all’autorità di sicurezza; b) avesse ricevuto l’ordine di uccidere direttamente dal capo della setta; c) avesse deciso di allontanarsi dal paese a distanza di più di un anno dall’accaduto.

La pronuncia ha ritenuto che – in ogni caso – le vicende dedotte non integrassero i presupposti per la concessione dello status di rifugiato e per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e b), mentre ha escluso che l’area di provenienza dell’interessato (EDO State) fosse interessata da un clima di violenza indiscriminata agli effetti dell’art. 14, lett. c) cit..

Quanto alla protezione umanitaria, il tribunale ha conferito rilievo all’inattendibilità del racconto del ricorrente, evidenziando inoltre che la Nigeria, pur presentando talune criticità riguardo al rispetto dei diritti umani, non era tuttavia caratterizzata da una vera e propria situazione di emergenza umanitaria.

La cassazione del decreto è chiesta da A.C. con ricorso basato su un unico motivo.

Il Ministero si è costituito con controricorso.

La causa, inizialmente avviata alla trattazione camerale, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria del 14.7.2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha sollevato – in via preliminare – la questione di

legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, tanto nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni a decorrere dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, quanto nella parte in cui prevede che il procedimento è definito, secondo il rito camerale, con decreto non reclamabile.

Con l’unico motivo di censura lamenta – inoltre – la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, contestando al tribunale di non aver conferito rilievo, ai fini del rilascio del permesso umanitario, alla condizione di estrema povertà del richiedente nel paese d’origine, e di aver omesso di valutare il grado di inserimento conseguito in Italia.

Il ricorso è inammissibile.

Anzitutto, come è detto anche nell’intestazione del ricorso, la procura è stata conferita su figlio separato, materialmente congiunto non al ricorso ma alla sentenza impugnata, e reca l’autenticazione della firma e della data di rilascio da parte del difensore, in contrasto con il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui, all’infuori delle ipotesi in cui il mandato ad litem sia apposto in calce o margine di uno degli atti indicati dell’art. 83 c.p.c., comma 3, nel testo in vigore (ricorso, controricorso, memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato) o su foglio materialmente congiunto all’atto cui si riferisce, deve essere conferito con atto notarile e con scrittura privata autenticata, per tale intendendosi l’autenticazione del notaio o di un pubblico ufficiale autorizzato (Cass. 1255/2020; Cass. 877/2019).

Il mandato non risulta poi riferibile al presente giudizio di legittimità. L’atto conferisce espressamente al difensore il potere di impugnare la sentenza pronunciata dal tribunale di Brescia, sezione rifugiati, depositata il 4.6.2019, nel procedimento n. 10486/2018.

Per contro, la decisione di merito, oggetto del presente giudizio di legittimità, non solo è stata assunta nella forma del decreto, ma soprattutto – è stata emessa all’esito del procedimento di merito n. 4836/2018 ed è stata deposita in data 19.5.2018.

In sostanza, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, sotto il profilo della sussistenza della procura speciale in capo al difensore iscritto nell’apposito albo, è essenziale non solo che la procura sia conferita dopo l’emissione della sentenza impugnata e in data anteriore alla notificazione del ricorso, ma anche che investa espressamente il difensore del potere di proporre la specifica impugnazione di cui trattasi (cfr., tra le tante, Cass. 7014/2017).

Anche in tema di protezione internazionale, l’impugnazione è invece inammissibile quando contenga espressioni univocamente riferibili ad altri giudizi o fasi processuali (vedi Cass. 4069/2020; Cass. 2342/2020; Cass. 18257/2017; 5/11/2017 n. 18257;

Per tutti questi motivi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 1800,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2021

 

 

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