Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19571 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 04/08/2017, (ud. 14/06/2017, dep.04/08/2017),  n. 19571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13036-2010 proposto da:

KARTELL SPA in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA D’ARACOELI 1,

presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO MAISTO, che lo rappresenta

e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 99/2009 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 05/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2017 dal Consigliere Dott. ZOSO LIANA MARIA TERESA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del 10 motivo

di ricorso, assorbiti gli altri;

udito per il ricorrente l’Avvocato PARONI PINI per delega

dell’Avvocato MAISTO che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BACHETTI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. L’agenzia delle entrate notificava alla società Kartell S.p.A. una cartella di pagamento con la quale procedeva al recupero di Euro 204.636,38 per l’omesso versamento di ritenute per il periodo di imposta 2000. La cartella era emessa in base alla liquidazione del modello 770 per l’annualità 2000, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, sul presupposto del mancato riconoscimento della compensazione di un’eccedenza d’imposta, versata per errore a titolo di ritenuta sui dividendi, in quanto mai dichiarata dalla parte per non averla esposta correttamente nel modello 770 del 1999 e neppure nel modello integrativo. Ne derivava che, sulla base delle dichiarazioni del modello 770, non esisteva alcun credito che potesse essere utilizzato in compensazione nel 2000. Proposto ricorso da parte della contribuente, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano lo accoglieva. Proponeva appello l’Agenzia delle entrate e la Commissione Regionale della Lombardia riformava la sentenza appellata, confermando la legittimità della cartella di pagamento, sul rilievo che non poteva farsi luogo alla compensazione di un credito che non risultava ritualmente esposto nella dichiarazione.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la Kartell S.p.A. affidato a quattro motivi illustrati con memoria. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

3. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, alla L. n. 212 del 2000, art. 8, comma 1. Sostiene che la L. n. 212 del 2000, art. 8, ha introdotto il principio generale della compensazione del credito tributario con i debiti da ritenersi svincolata da formalità alcuna. Ha formulato la ricorrente il seguente quesito di diritto: “anche nel caso in cui il credito d’imposta non risulti esposto in dichiarazione, ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, è legittima l’estinzione dell’obbligazione tributaria effettuata mediante compensazione con ritenute indebitamente versate in virtù del disposto della L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 8, comma 1”.

4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 10, commi 1 e 2, in quanto la CTR non ha tenuto conto che la norma di cui all’art. 10 dello statuto del contribuente prevede che i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria siano improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Nel caso di specie il credito della contribuente era stato riconosciuto esistente dall’ Agenzia delle entrate, la quale aveva, tuttavia, negato il diritto alla compensazione, con ciò contravvenendo al dovere imposto dalla norma citata. Ha formulato la ricorrente il seguente quesito di diritto: “è illegittima la pretesa erariale avanzata dall’amministrazione finanziaria a titolo di maggiori imposte, sanzioni ed interessi mediante un atto impositivo il cui contenuto sia contrario alle indicazioni in precedenza fornite dalla stessa amministrazione in un processo verbale di constatazione redatto a conclusione di una verifica effettuata nei confronti del medesimo contribuente per violazione dei principi di buona fede e legittimo affidamento sanciti dalla L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 10, commi 1 e 2″.

5. Con il terzo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 3, nonchè del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17. Sostiene che la CTR non ha fatto corretta applicazione del principio di cui all’art. 6, comma 3, dello statuto dei diritti del contribuente che prevede che l’amministrazione debba assumere iniziative idonee affinchè il contribuente possa adempiere l’obbligazione tributaria con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose. Ha formulato la ricorrente il seguente quesito di diritto: ” in virtù dei principi sanciti dalla L. 7 luglio 2007, n. 2012 e, in particolare, dell’art. 6, comma 3, della stessa, è illegittimo il disconoscimento da parte dell’amministrazione finanziaria del diritto del contribuente ad utilizzare un credito d’imposta, di per sè pacificamente spettante, a causa del mancato assolvimento di un adempimento di natura esclusivamente formale da parte del contribuente stesso”.

6. Con il quarto motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, art. 8, per non aver la CTR disapplicato le sanzioni irrogate mentre avrebbe dovuto tener conto delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria. Ha formulato la ricorrente il seguente quesito di diritto: “il giudice tributario, sulla base dei fatti di causa e a prescindere da un’esplicita richiesta di parte in tal senso, è tenuto a verificare la sussistenza di uno stato di incertezza normativa tale da giustificare la violazione commessa dal contribuente e, nel caso di esito positivo di tale verifica, a dichiarare la non applicazione delle sanzioni, ai sensi della L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 92, n. 546, art. 8”.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è fondato. Il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti d’imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini stabiliti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43.

Il comma 8 bis, introdotto con il D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435 prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.

La Corte di legittimità, con la sentenza n. 13378 pronunciata a Sezioni Unite il 7 giugno 2016, chiamata a decidere sul contrasto tra diversi orientamenti formatisi sulla emendabilità della dichiarazione, ha affermato il principio per il quale occorre distinguere il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, cui si applicano i termini previsti dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8 bis, rispetto a quelle che governano il processo tributario. Ciò in quanto oggetto del contenzioso giurisdizionale è l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente. Dunque, in tal caso, non si verte in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, e sussiste il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale.

Ha affermato la Corte il seguente principio di diritto “La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. Il rimborso dei versamenti diretti di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 comma 8 bis. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria”.

Al lume del principio testè citato emerge, dunque, l’infondatezza della pretesa erariale, non essendo in contestazione l’esistenza del credito vantato dalla contribuente.

8. Gli altri motivi di ricorso rimangono assorbiti.

9. Il ricorso va, dunque, accolto e l’impugnata sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e il ricorso originario della contribuente va accolto. Le spese dell’intero giudizio si compensano in considerazione dell’affermarsi del principio giurisprudenziale menzionato in epoca successiva alla proposizione del ricorso.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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