Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1957 del 25/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1957 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: FRASCA RAFFAELE

ORDINANZA
sul ricorso 22784-2014 proposto da:
PUGLIESE VINCENZO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato SAMNA ANIATA;

– ricorrente contro
MONACO’ SALVATORE MASSIMILIANO, elettivamente
domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CIRO M.
PAPARO;

controricorrente

avverso la sentenza n. 10926/2014 del TRIBUNALE di MILANO,
depositata il 15/09/2014;

Data pubblicazione: 25/01/2018

udita – la telazione della causa svolta nella “camera di consiglio non
partecipata del 15/11/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA.
Rilevato che:

1. L’Avvocato Vincenzo Pugliese ha proposto ricorso per cassazione

del Tribunale di Milano del 15 settembre 2014, con la quale il Tribunale
di Milano ha dichiarato inammissibile, in quanto proposto al di fuori dei
limiti di cui all’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., l’appello da lui
proposto contro la sentenza del Giudice di Pace di Milano, che aveva
rigettato la sua domanda intesa ad ottenere la condanna del Monacò
alla restituzione di una somma di C 392,60 a suo dire corrisposta al
medesimo per spese discendenti da una soccombenza giudiziale da lui
pretese in violazione degli artt. 88 cod. proc. civ., 22 2 49 del Codice
deontologico forense.
2. Al ricorso ha resistito con controricorso il Monacò.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi
dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del 2016,
convertito, con modificazioni, dalla I. n. 197 del 2016, è stata formulata
dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con
declaratoria della sua inammissibilità e ne è stata fatta notificazione agli
avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza.
4. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:

1. Il Collegio condivide la valutazione di inammissibilità del ricorso
formulata dal relatore.
2. Sotto un prime, aspetto si rileva che il ricorso è inammissibile per
inosservanza del requisito dell’art. 366 n. 3 cod. proc. civ., in quanto ciò
che si espone nella parte del ricorso intitolata allo “svolgimento del
processo” è del tutto insufficiente a consentire la percezione del fatto

Ric. 2014 n. 22784 sez. M3 – ud. 15-11-2017
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contro l’Avvocato Salvatore Massimiliano Monacò avverso la sentenza

sostanziale e processuale nei termini richiesti da Cass. sez. un. n.
11653 del 2006.
Infatti, in detta parte si enuncia genericamente che il ricorrente si
rivolse- al giudice di pace chiedendo la restituzione della somma per un
comportamento scorretto in violazione dell’art. 88 cod. proc. civ. e degli

fatti costitutivi della domanda e si dice del tutto genericamente che si
invocò una sentenza delle SS.UU. Quindi si dice che il giudice onorario
respinse la domanda, ma nulla si precisa sulle ragioni del rigetto. Di poi
si dice genericamente che il ricorrente appellò la sentenza, ma nulla si
dice sulle ragioni dell’appello, se non che si invocò la detta sentenza ed
alcune norme. Si dice, in fine che il Tribunale avrebbe rigettato l’appello
perché proposto con doglianze esorbitanti dall’àmbito di cui all’art. 339,
terzo comma cod. proc. civ.
Siffatta modalità di esposizione del fatto non è idonea allo scopo,
atteso che il requisito della esposizione sommaria dei fatti – prescritto a
pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo
comma n. 3, cod. proc. civ., e che, essendo considerato dalla norma
come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso – deve
consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di
cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto
sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale,
senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la
stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006). La
prescrizione del requisito _risponde non ad un’esigenza di mero
formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e
completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di
bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al
provvedimento impugnato (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003). Stante
tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366
comma primo n. 3 cod. proc. civ. è necessario che il ricorso per
Ric. 2014 n. 22784 sez. M3 – ud. 15-11-2017
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artt. 22 e 49 del codice deontologico, ma ci si astiene dal precisare i

cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato,
l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i
presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle
eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione
alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle

diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte
dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.
Il ricorso non rispetta tali contenuti e è dunque inammissibile.
3. Se fosse possibile superare il rilievo di inosservanza dell’art. 366
n. 3 cod. proc. civ. si dovrebbe rilevare che, avendo la sentenza
impugnata dichiarato inammissibile l’appello perché proposto al di fuori
dei limiti di cui all’art. 339, terzo comma c.p.c., il motivo di
impugnazione si astiene dal riprodurre il contenuto dell’atto di appello
direttamente o indirettamente, con rinvio ad esso ed indicazione delle
parti cui l’indiretta riproduzione corrisponderebbe, al fine di evidenziare
che cosa in esso rispettava la suddetta norma al contrario di quanto
ritenuto dalla sentenza impugnata.
In sostanza,

nell’illustrazione dell’unico

motivo di

ricorso,

deducente violazione dell’art. 339, terzo comma, non vi è alcuna
preliminare attività indicativa del contenuto delle ragioni dell’appello e,
quindi, successivamente assertiva del perché esso rispettava quella
norma. Sicché, il motivo è privo della necessaria attività assertiva della
denunciata violazione di norma del procedimento, risolvendosi in una
sorta di delega alla Corte ad individuare che cosa potrebbe supportarla.
4. Il Collegio reputa corretto anche il terzo gradato rilievo di
inammissibilità della proposta del relatore, là dove si è rilevato che
inoltre il motivo – deducente l’indicata violazione – si astiene dal
criticare la motivazione con cui la sentenza è stata emessa, facendosi
carico dei precisi suoi passaggi che hanno evidenziato la ragione di
inammissibilità e che si estendono dalla metà della pagina 6 sino alla
Ric. 2014 n. 22784 sez. M3 – ud. 15-11-2017
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sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in

pagina”8. Infatti, non contiene alcuna seppur minima .evocazione della
motivazione della sentenza e, conseguentemente, difetta della struttura
stessa del motivo di impugnazione in quanto, non evocandola, non si
correla alla motivazione stessa, mentre è necessario che il motivo di
ricorso critichi e, dunque, prima di farlo evochi, la motivazione della

L’illustrazione evoca, poi, la violazione dell’art. 7, comma primo,
cod. proc. civ., di norme sulla giurisdizione, «disattendendo che nella
sentenza di 1° gr. ricorre[va] l’inosservanza di norme sulla
giurisdizione», ma la censura risulta incomprensibile, perché non si
dice alcunché su come della questione il giudice d’appello fosse stato
investito, dato che come si è detto si tace completamente
l’individuazione delle ragioni su cui l’appello si fondava.
Del tutto incomprensibile, dato che l’appello è stato dichiarato
inammissibile perché proposto al di fuori dei limiti indicati dall’art. 339,
terzo comma, cod. proc. civ., risulta la censura di violazione dell’art.
112 cod. proc. civ. che a pagina 6 si indica dicendo che il giudice
d’appello non avrebbe “censurato” quello di primo grado, là dove non
aveva ritenuto dimostrato il danno.
5. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.
6. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si
liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. Ai sensi dell’art.
13 comma

1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte
ricorrente alla rifusione alla parte resistente delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in euro cinquecento, oltre duecento per esborsi, le
spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi dell’art.
Ric. 2014 n. 22784 sez. M3 – ud. 15-11-2017
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sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017).

13 comma

1-quater del d.P.R. n. 115 del. 2002, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione

Il Presidente

Civile-3, il 15 novembre 2017.

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