Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19569 del 24/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 19569 Anno 2018
Presidente: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI
Relatore: CATALLOZZI PAOLO

ORDINANZA
z,

sul ricorso iscritto al n. 26800/2012 R.G. proposto da
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore

pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la
quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
– ricorrente contro
Stramo Immobiliare s.r.I., in persona del legale rappresentante pro
tempore, con domicilio eletto presso lo studio del rag. Damiano
Sandro, in Roma, piazza Asti, 6
– intimato avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio
n. 376/04/2011, depositata il 6 ottobre 2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del

10 febbraio

2018 dal Consigliere Paolo Catallozzi;
RILEVATO CHE:
– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la

Data pubblicazione: 24/07/2018

sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata
il 6 ottobre 2011, che aveva parzialmente accolto gli appelli – riuniti della Stramo Immobiliare s.r.l. avverso le sentenze di primo grado
che avevano respinto i ricorsi proposti per l’annullamento degli avvisi
di accertamento con cui, relativamente agli anni 2000, 2001, e 2002,
era stato determinato il reddito e recuperate a tassazione le imposte

– dalla sentenza impugnata si evince che i redditi della società
contribuente erano stati ricostruiti induttivamente, stante l’omessa
presentazione

delle

relative

dichiarazioni,

sulla

base

delle

movimentazioni dei conti correnti, nonché, quanto all’anno 2000,
anche in via analitica, in relazione a operazioni di locazione e vendita
di immobili;
– il giudice di appello ha annullato gli avvisi di accertamento relativi
agli anni 2001 e 2002 per insufficienza degli elementi risultanti dalla
movimentazione bancaria riferibile all’amministratore della società
contribuente e ha rideterminato il reddito della società relativo
all’anno 2000 a seguito del riconoscimento di maggiori costi;
– il ricorso è affidato a due motivi;
– l’intimata non ha spiegato alcuna attività difensiva;

CONSIDERATO CHE:
– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt.
32, primo comma, n. 2, e 39, secondo comma, lett. d), d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, e 51, secondo comma, n. 2, d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633, per aver la sentenza impugnata escluso,
relativamente agli anni 2001 e 2002, l’operatività della presunzione
legale di esistenza di ricavi derivante dalle risultanze dei conti correnti
in ragione del fatto che il concomitante svolgimento da parte
dell’amministratore della società contribuente di altri incarichi di
amministratore presso diverse società non consentirebbe di
ricondurre univocamente i movimenti bancari accertati alla

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non versate;

contribuente medesima e, in tal modo, farebbe venire meno i requisiti
di gravità, concordanza e previsione necessari per fondare la
presunzione invocata dall’Ufficio;
– il motivo è fondato;
– infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’i.v.a.,
tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi

comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, e 51, secondo comma, n. 2,
del d.P.R. n. 633 del 1972, riferiti all’attività economica del
contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati
per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando
all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si
riferiscono ad operazioni imponibili (cfr. Cass. 30 dicembre 2015, n.
26111);
– tale presunzione determina un’inversione dell’onere della prova a
carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non
generica ma analitica per ogni operazione bancaria, che gli elementi
dalla stessa desumibili siano stati inclusi nella base imponibile o che
non sono riferibili ad operazioni imponibili (cfr. Cass. 29 luglio 2016,
n 15857; Cass. 11 marzo 2015, n. 4829);
– la sentenza di appello non ha fatto corretto utilizzo di tali principi,
poiché, da un lato, ha subordinato il ricorso alla presunzione in esame
all’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti, laddove tale
valutazione è, invece, effettuata a monte dal legislatore, dall’altro, ha
escluso l’operatività della presunzione in considerazione non già di
una prova della non imponibilità delle operazioni rilevate, ma della
possibilità della stessa, in relazione alla non univoca riconducibilità
delle stesse all’attività della contribuente;
– con il secondo motivo l’Agenzia deduce la violazione degli artt. 32,
terzo e quarto commi, del d.P.R. n. 600 del 1973, per aver il giudice
di appello, relativamente all’anno 2000, annullato l’atto impositivo in

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accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi degli artt. 32, primo

considerazione delle risultanze di un atto notarile, da cui
emergerebbe che l’immobile cui si riferivano i redditi di locazione
accertati, era stato ceduto dalla contribuente a terzi;
– evidenzia la ricorrente che, ai sensi delle richiamate disposizioni
normative, non poteva tenersi conto di tale documento in quanto non
esibito o trasmesso in risposta agli inviti dell’Ufficio;

– dall’esame del ricorso si evince che il documento in oggetto fosse
comunque in possesso dell’Ufficio (cfr. pag. 19), il quale avrebbe
potuto e dovuto tenerne conto della determinazione del reddito della
contribuente;
– la invocata sanzione dell’inutilizzabilità dei documenti non esibiti
all’Ufficio a seguito di specifico invito, sancita dall’art. 32, quarto
comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, non trova, dunque, applicazione
qualora, come nel caso in esame, l’Ufficio abbia la materiale
disponibilità di tali documenti e possa determinarsi in ragione del loro
contenuto senza che sia necessario alcun chiarimento da parte del
contribuente in ordine alla individuazione dell’operazione ivi
rappresentata;
– il comportamento omissivo o reticente ascritto al contribuente non
si riverbera, infatti, in un vantaggio processuale, in relazione alla
produzione in giudizio di documenti tenuti nascosti all’Ufficio;

con il terzo motivo la ricorrente si duole della insufficiente

motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in
relazione alla quantificazione dei costi di costruzione dell’immobile
venduto, riconosciuti nella misura del 50%;
– il motivo è infondato, in quanto il giudice di appello, nel procedere
ad una siffatta quantificazione dei costi di costruzione, motiva la sua
valutazione mediante espresso riferimento al «normale margine
esistente nel settore dell’edilizia»;
– tale motivazione appare sufficiente poiché consente di ricostruire

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– il motivo è inammissibile;

l’iter seguito dal giudice e di apprezzarne l’assenza di vizi di ordine
logico;
– con il quarto motivo l’Agenzia censura la sentenza impugnata per
contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, poiché ha annullato l’avviso di accertamento
relativo all’anno 2001 sul fondamento della insufficienza delle

della società contribuente, in quanto non inequivocabilmente riferibile
anche alla società medesima, senza considerare che l’atto impositivo
aveva provveduto alla ricostruzione del reddito anche in via analitica
attraverso i dati rinvenienti dai contratti di locazione conclusi dalla
società medesima;

l’accoglimento del primo motivo di ricorso ne determina

l’assorbimento, in quanto a questo strettamente dipendente;
– il ricorso va in conseguenza accolto e la sentenza cassata, con rinvio
alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa
composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il
secondo e assorbito il quarto e respinge il terzo; cassa la sentenza
impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le
spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 febbraio 2018.

risultanze della movimentazione bancaria riferibile all’amministratore

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