Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19568 del 15/09/2010

Cassazione civile sez. I, 15/09/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 15/09/2010), n.19568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – est. Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 25516/2007 proposto da:

Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE

BELLE ARTI 1, presso lo studio dell’avvocato DE PAOLA Gabriele, che

lo rappresenta e difende giusta procura alle liti in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto n. 61/06 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di

PALERMO,del 7/7/06 depositato il 04/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ONOFRIO FITTIPALDI.

E’ presente il P.M. in persona del Dott. RUSSO Rosario Giovanni.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Z.G. adiva la Corte d’appello di Palermo, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio promosso innanzi alla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Sicilia, avente ad oggetto la misura del trattamento di quiescenza, promosso con ricorso depositato il 7 agosto 1998, deciso con sentenza di rigetto della domanda, depositata il 22 aprile 2005.

La Corte d’appello, con decreto del 4 settembre 2006, ritenuto violato il termine di ragionevole durata del giudizio per anni due, liquidava a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale Euro 2.000,00, oltre interessi legali dalla data della domanda, dichiarando compensate le spese del giudizio, tenuto conto che la convenuta non si era opposta al riconoscimento del diritto e “del solo parziale accoglimento della domanda”. Per la cassazione di questo decreto lo Z. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri. E’ stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 24 e 101 Cost., art. 6, par. 1, CEDU, 2, L. n. 89 del 2001, art. 96 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). In sintesi, il ricorrente censura la quantificazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale e, richiamando alcune sentenze di questa Corte, pone la seguente questione: la fonte del diritto in questione va rinvenuta anche nella CEDU ed il parametro da rispettare sarebbe di Euro 2.000,00 per ogni anno di durata del procedimento e si chiude con quesito diretto ad ottenere l’affermazione che la valutazione equitativa del danno costituisce violazione di legge, dovendo il giudice nazionale conformarsi alle liquidazioni della Corte EDU, che, per le cause in materia pensionistica, avrebbe stabilito il parametro di Euro 2.000,00 per ogni anno di durata del procedimento e, comunque il parametro di Euro 1.500,00 avrebbe dovuto essere tenuto presente dal giudice del merito.

Il ricorrente, con il secondo motivo, denuncia violazione degli artt. 24 e 101 Cost., art. 6, par. 1, CEDU, L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 96 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), reiterando le argomentazioni svolte nel primo motivo, concludendo con quesito di diritto diretto ad ottenere l’affermazione del principio secondo il quale nei giudizi in materia pensionistica l’importo di Euro 1.500,00 per anno di ritardo irragionevole rappresenterebbe la soglia minima, al di sotto della quale sarebbe violata la legge nazionale ed europea.

Il terzo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, nella parte in cui il decreto ha liquidato Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, facendo erroneo ricorso alla liquidazione equitativa, senza indicare gli argomenti che giustificherebbero il discostamento dal parametro di Euro 2.000,00 per le cause pensionistiche e, comunque, di Euro 1.500,00 ed in tali termini è formulato quesito di diritto.

1.1.- Il ricorrente, con il quarto motivo (indicato come 1 relativo alla compensazione delle spese) denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c., art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo novellato dalla L. n. 263 del 2005, della L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 4, come modificato dalla L. n. 51 del 2006 (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo che non sarebbero stati indicati i giusti motivi della compensazione delle spese del giudizio e si chiude con quesito di diritto diretto ad ottenere l’enunciazione di principio in virtù del quale, “in caso di compensazione totale delle spese di lite non supportata da adeguata motivazione, sarà sempre possibile esperire impugnazione sul punto (…) , essendo comunque irrilevante l’adesione del convenuto alla domanda”. Il quinto motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, nella parte in cui il giudice del merito ha motivato la compensazione delle spese con la mancata opposizione della convenuta e con il parziale accoglimento della domanda, senza considerare che questa era stata formulata avendo riguardo la giurisprudenza della Corte EDU, con conseguente illogicità della motivazione ed in tali termini è formulato quesito di diritto.

2.- In linea preliminare, va osservato che, in relazione ai “quesiti di diritto” formulati nei mezzi che denunciano il vizio dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in considerazione della lettera dell’art. 366 bis c.p.c., gli stessi vanno apprezzati esclusivamente quale momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) strumentale al fine di circoscrivere puntualmente i limiti della censura (Cass. S.U. 20603 del 2007; Cass. n. 8897 e n. 4309 del 2008).

I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto giuridicamente e logicamente connessi, sembrano manifestamente infondati.

Con nessuno dei mezzi il ricorrente prende in esame e censura il decreto, nella parte in cui ha fissato in anni due la violazione del termine ragionevole di durata del giudizio, avendo cura di esplicitare, come risulta dalla narrativa, le argomentazioni che hanno fondato detta conclusione, con riferimento al contenuto ed alle modalità del giudizio presupposto, con la conseguenza che siffatta conclusione va mantenuta ferma, senza che sia possibile riesaminarla.

Le censure, concernenti esclusivamente la misura dell’indennizzo per il danno non patrimoniale, possono essere decise dando continuità all’orientamento di questa Corte che, sul punto, ha espresso i seguenti principi:

i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, considerando che detta Corte ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo (per tutte, Cass. S.U. n. 1340 del 2004; Cass. n. 30571 e n. 29554 del 2008; n. 23844 del 2007), che segna l’ambito della ponderazione affidata al giudice del merito, la cui osservanza esonera da una specifica motivazione, vieppiù in difetto della prospettazione di specifici elementi, relativi alla fattispecie controversa, dedotti dalla parte e ragionevolmente espressivi delle circostanze che consentano di non osservarlo; i giudici europei hanno affermato che l’attribuzione di un indennizzo più elevato va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha, quindi, fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali; tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza, e non significa affatto che per esse il parametro sia di Euro 2.000,00 per anno (tra le molte, Cass. n. 30571 e n. 18012 del 2008); il danno non patrimoniale va quantificato in applicazione del citato parametro, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 3 0571 n. 30570 n. 29494 del 2008) e la deroga, purchè motivata e non irragionevole esclude il vizio di violazione di legge (tra le molte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 23844 del 2007);

la Corte EDU ha, infatti, affermato che la somma concessa dipende dall’apprezzamento del giudice nazionale (sentenza 5 luglio 2007, ricorso n. 62157 c. Italia), che può essere svolto anche in via equitativa, in quanto lo stesso giudice europeo ha indicato di avere privilegiato un “approccio che ha reso necessaria la fissazione di parametri secondo principi di equità per i risarcimenti di danni non patrimoniali” (sentenza della Grande Camera 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64886/01 C. Italia), censurando il discostamento dal parametro minimo da essa fissato soltanto qualora sia manifestamente irragionevole (per tutte sentenza della Grande Camera 29 marzo 2006, sul ricorso n. 65102/01 v. Italia); in particolare, dalla giurisprudenza della Corte EDU e da nove sentenze della Grande Camera del 29 marzo 2006 (Scordino n. 1, Apicella, Cocchiarella, Musci, Mustacciuolo 1 e 2, Procaccino, Riccardi Pizzato, Zullo) si desume che è reputato adeguato un indennizzo non inferiore al 45% di quello, di regola, ottenibile dal giudice europeo, evidentemente avendo riguardo anche al parametro di Euro 1.000,00;

l’osservanza del parametro vale di per sè ad integrare una motivazione sufficiente ed idonea, specie in difetto della deduzione ad opera della parte delle circostanze riferite al caso concreto, non basate su argomentazioni standard e stereotipate (riferibili, quindi, all’entità della controversia, alle condizioni economico- patrimoniali della parte, all’interesse dimostrato al processo, anche in riferimento ai tempi di proposizione delle impugnazioni ed al ricorso a strumenti sollecitatori), in grado di evidenziare gli elementi non considerati, in tesi idonei a dimostrare i presupposti per una più elevata liquidazione;

la precettività, per il giudice nazionale, non concerne il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo, in quanto, sul punto, è vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo la modalità di calcolo da questo stabilita sulla complessiva attitudine di detta legge ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (tra le tante, Cass. n. 11566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

In questi termini, dando continuità a detta giurisprudenza, sono i principi di diritto che possono essere enunciati in relazione ai motivi 1 e 2, che dimostrano la manifesta infondatezza dei tre motivi qui in esame.

La Corte d’appello ha, infatti, liquidato Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, indicando, tra l’altro, che la domanda era stata rigettata e che la parte non aveva attivato strumenti sollecitatori (segno del non rilevante interesse per la causa). L’osservanza del parametro e la collocazione dell’indennizzo all’interno della forbice fissata dal giudice europeo, vieppiù nel quadro delle circostanze espressamente indicate dal decreto, disvelano la manifesta infondatezza delle censure, che si risolvono in deduzioni astratte, standardizzate e stereotipate, del tutto prive di aderenza al caso di specie, non avendo l’istante neppure indicato quali elementi specifici – non desumibili, per quanto sopra precisato, dalla mera natura della causa – abbia dedotto (e provato) per dimostrare di avere subito una stress di rilevanza tale da legittimare il discostamento dal parametro della Corte EDU. Tanto, avendo riguardo all’entità delle somme controverse, alla sua situazione economico- patrimoniale, all’esito della causa (non rilevante in sè per negare l’indennizzo, ma apprezzabile per la quantificazione del medesimo), circostanze che l’istante o non indica, o delle quali si disinteressa del tutto.

3.- I motivi 4 e 5, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, contrariamente a quanto prospettato nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., sembrano manifestamente infondati.

Il quarto motivo è manifestamente infondato, laddove lamenta l’omessa indicazione dei motivi della compensazione, posto che, come si evince dalla trascrizione della motivazione del decreto in parte qua, riportata sopra nella narrativa, il giudice del merito ha indicato gli argomenti che hanno fondato la compensazione delle spese.

L’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo qui applicabile, dispone che il giudice può compensare le spese, in tutto o in parte, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione. Nel caso in cui questa sia esplicitata, la stessa è censurabile ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed il relativo vizio sussiste soltanto quando le argomentazioni del giudice del merito si palesino del tutto carenti o insufficienti, ovvero illogiche, incongruenti o contraddittorie, non potendo detto vizio consistere nella difformità dell’apprezzamento dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, nè la relativa denuncia consistere in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazione da questi effettuata (cfr. Cass. n. 14563 del 2008; n. 26673 del 2007).

In applicazione di detto principio, da enunciare in relazione al quesito formulato con il 4^ motivo, è manifesta l’infondatezza delle censure. La motivazione svolta a conforto della disposta compensazione, fondata sulla valutazione della condotta processuale della convenuta e del solo parziale accoglimento della domanda, da un canto, costituiscono sufficiente esplicitazione degli argomenti che la giustificano, dall’altro rendono chiare le ragioni della stessa e muovono da circostanze non illogiche al fine della compensazione delle spese del giudizio, considerate all’interno di un percorso logico-argomentativo immune da incongruenze e contraddizioni, vieppiù in quanto risulta confermata in questa sede la conclusione in ordine al merito della domanda. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese con Euro 900,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della struttura per l’esame preliminare dei ricorsi – Sezione Prima Civile – il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2010

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