Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19565 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 04/08/2017, (ud. 20/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 1848/10, proposto da:

STEFANEL s.p.a., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic.

in Roma, alla Via Sicilia n. 66, presso gli avv.ti Roberto Tieghi,

Francesco Giuliani e Roberto Esposito, dai quali è rappres. e

difesa con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, elett.te domic. in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura dello Stato che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14/20/2009 della CTR del Veneto, depositata in

data 5/3/2009;

udita la relazione del Consigliere, Dott. Rosario Caiazzo, nella

pubblica udienza del 20 aprile 2017;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. R. Esposito;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. P. Gentili;

sentito il Pubblico Ministero, Dott. DEL CORE Sergio, il quale ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Stefanel s.p.a. propose ricorso, innanzi alla Ctp di Treviso, avverso un avviso d’accertamento relativo a recupero a tassazione di imponibile Irpeg, Irap e Iva, afferente all’indeducibilità di costi e spese nei rapporti di franchising tra la stessa società e terzi.

Si costituì l’ufficio con controdeduzioni.

La Ctp respinse il ricorso, escludendo la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e riconoscendo la legittimità della ritenuta indeducibilità di costi e spese.

L’appello del contribuente fu respinto dalla Ctr, confermando le argomentazioni dell’Agenzia delle entrate.

La Stefanel s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, formulando quindici motivi.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

La società ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione dell’art. 75 T.U.I.R., comma 5, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Ctr escluso la deducibilità dei costi rappresentati dal canone di locazione di un immobile oggetto di un rapporto di affitto d’azienda collegato alla locazione – da inquadrare nell’ambito del rapporto di franchising stipulato tra affittante e affittuaria – data l’eccedenza dello stesso canone rispetto al corrispettivo dell’affitto, ritenendo che tale operazione fosse antieconomica, considerati altresì la mancanza di elementi probatori diretti a evidenziare la convenienza della complessiva operazione commerciale e il risultato negativo dell’attività dell’appellante (riferita al bilancio depositato).

La ricorrente ha argomentato che, invece, tali spese fossero inerenti all’attività d’impresa, formulando due quesiti di diritto, il secondo sul presupposto del convincimento che la Ctr avesse indirettamente riconosciuto la legittimità della pretesa dell’ufficio circa la detraibilità dell’iva.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi.

Invero, la parte ricorrente ha lamentato che la Ctr avesse ritenuto non inerenti le suddette spese in quanto d’importo sproporzionato rispetto al volume d’affari e, dunque, antieconomiche, esponendo che la congruità dei costi e dei ricavi si collocasse su un piano distinto da quello dell’inerenza che, invece, era sussistente in quanto i costi sostenuti erano espressione dell’attività d’impresa. Al riguardo, occorre premettere che la prospettata distinzione tra la congruità dei costi e ricavi e la loro inerenza all’attività d’impresa (in quanto quest’ultima riguarderebbe il profilo qualitativo) è irrilevante, dato che i costi della locazione sono stati considerati non deducibili, quali espressione di antieconomicità, con conseguente implicita esclusione dell’inerenza.

Giova richiamare la giurisprudenza della Corte secondo cui, in tema di IVA, il diritto alla detrazione dell’imposta – in ragione di costi antieconomici sostenuti dal contribuente ispirato al criterio della neutralità, in base al quale ogni fornitore o prestatore di servizio che abbia corrisposto l’IVA può detrarla dai costi sostenuti ed interrompendosi il meccanismo allorchè il bene o il servizio siano resi al consumatore finale – va escluso, ferma la non immediata applicazione dei principi espressi con riguardo all’imposizione diretta, se l’Amministrazione finanziaria dimostri l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, che assume rilievo quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA; in tal caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o servizio è reale ed inerente all’attività svolta (Cass., n. 22130 del 27.9.2013).

Orbene, nel caso concreto, alla luce di quanto desumibile dalla sentenza impugnata, l’Agenzia delle entrate ha negato la deducibilità dei costi per canoni locatizi esclusivamente per la loro antieconomicità; ne consegue che sarebbe stato onere del contribuente dimostrare l’effettività degli stessi costi, ma tale dimostrazione non emerge dagli atti.

Il motivo non è dunque congruente con la motivazione adottata dalla Ctr in ordine alla ritenuta indeducibilità dei costi rappresentati dal pagamento dei canoni di locazione.

Con il secondo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al precedente motivo, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto l’antieconomicità dei costi sostenuti sulla base del risultato economico negativo di periodo dell’impresa.

In particolare, la ricorrente ha invocato la valutabilità ex ante dell’inerenza e della congruità dei costi di locazione, anche in vista di maggiori ricavi, nonchè la flessibilità delle scelte imprenditoriali che, nel caso di specie, avrebbe imposto l’accollo in capo all’affittante delle spese di locazione al fine di incentivare l’offerta di adesione al franchising.

Tale motivo è parimenti inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi, essendo imperniato sulla contestazione dell’antieconomicità dei costi, mentre la Ctr ha posto la negatività del risultato economico dell’esercizio a sostegno della decisione di esclusione dell’effettività degli stessi costi, implicitamente compresa nel riferimento all’incongruità.

Con il terzo motivo, è stata denunciata violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) attraverso la contestazione della legittimità dell’accertamento analitico-induttivo, per l’insussistenza di pluralità di presunzioni, non avendo la Ctr richiamato finalità elusive o evasive.

Il motivo è del pari inammissibile, non essendo esso congruente con la motivazione del giudice d’appello che non ha fatto applicazione del suddetto art. 39 nell’escludere la deducibilità dei costi in esame, avendo argomentato dalla non congruità degli stessi per affermarne l’antieconomicità e l’insussistenza.

Con il quarto motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., n. 3, art. 132 c.p.c., n. 4), non avendo la Ctr esposto i motivi, in fatto e diritto, della decisione.

Il motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata ha chiaramente indicato le norme applicate, le difese delle parti e i motivi della decisione, nel ritenere insussistente il diritto di dedurre i costi della locazione attraverso la motivazione riferita all’antieconomicità dell’operazione.

Con il quinto motivo, la ricorrente ha denunziato la nullità della sentenza impugnata o del procedimento per inosservanza del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avendo la Ctr disconosciuto la deducibilità dei canoni di locazione soltanto per la parte eccedente i fitti attivi conseguiti, e non per l’intero.

Anche tale motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto la ricorrente non ha riprodotto il contenuto dell’avviso d’accertamento, ed è dunque preclusa la verifica della fondatezza della doglianza.

In ogni caso, il motivo è infondato, in quanto dalla sentenza emerge chiaramente che la contestazione dell’ufficio riguardò la incongruità dei costi per i canoni di locazione rispetto all’importo dei canoni dell’affitto, per cui non sussiste alcun vizio di ultrapetizione.

Con il sesto motivo, la ricorrente ha lamentato la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la Ctr pronunciato in ordine alla questione dell’indetraibilità dell’iva.

Il motivo è parimenti inammissibile per carenza di autosufficienza, non riproducendo il contenuto dell’avviso d’accertamento (pur menzionato nel ricorso); inoltre, esso è infondato, poichè la motivazione della sentenza è stata unitaria sia per i costi deducibili che per l’iva detraibile.

Con il settimo motivo è stata denunciata l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (360 c.p.c., comma 1, n. 5) in ordine all’antieconomicità e al suo fondamento.

Il motivo è inammissibile, in quanto il quesito di diritto è stato formulato in maniera inidonea, avendo la parte ricorrente chiesto genericamente se la sentenza impugnata fosse sufficientemente motivata, poichè non era stato chiarito se l’antieconomicità derivasse dal fatto che il canone di locazione fosse a carico dell’affittante, o piuttosto dal fatto che tale canone, in alcuni casi, fosse maggiore di quello percepito per il contratto d’affitto d’azienda.

Ora, si ritiene inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo (Cass., SU. N. 21672 del 23.9.2013).

Inoltre, è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (Cass., n. 24255 del 18.11.2011). Nel caso concreto, il quesito di fatto non specifica chiaramente l’errore di motivazione in cui è incorso il giudice di merito, risolvendosi in una mera prospettazione di interpretazioni alternative a quella contestata.

Con l’ottavo motivo, la ricorrente ha lamentato parimenti l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in ordine al riferimento al risultato negativo di bilancio, addotto dal giudice d’appello a sostegno dell’antieconomicità dell’operazione di locazione.

Il motivo è inammissibile, perchè tendente al riesame del merito, avendo la ricorrente censurato il contenuto dell’interpretazione dei dati contabili della società; peraltro, tale documento (un estratto del conto economico) non è stato riprodotto, per cui ne è prelusa la verifica.

Con il nono motivo, la ricorrente ha lamentato ancora l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in ordine alla questione della omessa valutazione della complessiva operazione di franchising e dei vari documenti allegati sulla profittabilità degli investimenti in tali operazioni.

Il motivo è infondato, poichè il riferimento ai margini di redditività positivi delle altre componenti del bilancio o agli studi di profittabilità relativi ai contratti di franchising è irrilevante e non coglie la ratio decidendi, sia perchè la Ctr ha richiamato il contenuto di bilancio solo in via residuale, sia in quanto non è stata dimostrata la correlazione tra gli indicati margini positivi e l’operazione oggetto dell’avviso d’accertamento.

Con il decimo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, per aver la Ctr erroneamente escluso la deducibilità dei costi sostenuti per l’acquisto di espositori-vetrina e per l’ammortamento dei manichini, nonchè per aver escluso la detraibilità dell’iva per i lavori di arredamento e ristrutturazione dei punti-vendita, alla luce della L. n. 129 del 2004, recante la disciplina dell’affiliazione commerciale.

Il motivo è infondato, riguardando le norme contrattuali del franchising in tema di assistenza tecnica e commerciale, mentre le spese suddette sono relative alla generica gestione del contratto; pertanto, è corretta la decisione del giudice d’appello nella parte in cui ha richiamato il contratto di franchising, che pose a carico del cliente la gestione generale, senza esplicita esclusione dei beni strumentali.

Con l’undicesimo motivo, la ricorrente ha denunziato l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione riguardo all’erronea interpretazione contrattuale circa il soggetto obbligato a sostenere le spese di cui al precedente motivo.

Il motivo è inammissibile, in quanto riferito al vizio di motivazione e non al vizio di violazione di legge, avendo la ricorrente formulato un quesito di diritto incentrato esclusivamente sull’erronea applicazione dei criteri ermeneutici.

Con il dodicesimo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in ordine all’applicazione delle sanzioni, non avendo la Ctr disapplicato le sanzioni per l’obiettiva incertezza della fattispecie di fatto.

Il motivo è infondato, in quanto non si tratta di decisione innovativa, come lamentato, ma di ordinaria applicazione dei principi generali, in quanto la Ctr ha inteso escludere la deducibilità dei costi e la detrazione dell’iva in ordine alle operazioni ritenute antieconomiche e non inerenti.

Con il tredicesimo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione del suddetto D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, circa spese sostenute per la clonazione di una carta di credito, per l’acquisto di capi d’abbigliamento di ditte concorrenti, effettuato in occasione di trasferte di alcuni dipendenti, nonchè per l’acquisto di beni utilizzati per l’allestimento di vetrine di negozi.

Il motivo è infondato, poichè dagli atti non è emersa alcuna prova della clonazione (fatto che comunque non avrebbe legittimato alcuna deduzione o detrazione, trattandosi di danni patrimoniali cagionati da un illecito penale), e delle altre spese.

Con il quattordicesimo motivo, la ricorrente ha lamentato il vizio di motivazione afferente ai medesimi fatti di cui al motivo precedente, avendo la Ctr escluso la deducibilità degli stessi costi per omessa documentazione, nonostante quest’ultima fosse stata prodotta.

Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto non ha riprodotto il contenuto dei documenti richiamati.

Con il quindicesimo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione del predetto art. 75, comma 1 e comma 5, afferenti alle spese di produzione, anzichè di rappresentanza.

Il motivo è inammissibile, in quanto il relativo quesito di diritto non è idoneo a far comprendere l’errore di diritto, illustrando la mera doglianza, per non aver la Ctr interpretato le suddette spese come di rappresentanza, senza indicare i motivi a sostegno.

Infine, con il sedicesimo motivo, è stata denunziata l’omessa o insufficiente motivazione circa l’indeducibilità parziale di spese, qualificate come di rappresentanza, per non aver il giudice d’appello esaminato vari documenti (libro-matricola; giustificativi di spese).

Il motivo è parimenti inammissibile, sia perchè non autosufficiente, non riproducendo/i documenti richiamati, sia per l’inidoneità del quesito di diritto, formulato in maniera ipotetica, con generica illustrazione del quesito di fatto, che non ha riportato il contenuto dei documenti che la Ctr avrebbe omesso di esaminare.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 22.600,00 oltre alla maggiorazione del 15%, quale rimborso forfettario delle spese generali, e accessori di legge

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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