Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19564 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 04/08/2017, (ud. 07/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19564

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11303-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCO DI SICILIA, UNICREDIT SPA;

– intimati –

nonchè da:

UNICREDIT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA SICILIA 66, presso lo studio

dell’avvocato AUGUSTO FANTOZZI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FRANCESCO GIULIANI, ROBERTO TIEGHI giusta

delega in calce;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, BANCO DI SICILIA;

– intimati –

avverso la sentenza n 23/2009 della COMM.TRIB.REG. della Sicilia,

depositata il 13/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2017 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, rigetto ricorso incidentale;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto ricorso incidentale;

udito per il controricorrente l’Avvocato CHIARIZIA per delega

dell’Avvocato GIULIANI che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale, accoglimento ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nella dichiarazione annuale presentata ai fini della II.DD. per l’anno 1992, il Banco di Sicilia aveva esposto una eccedenza IRPEG di lire 12.514.420.000, da riportare a credito nell’anno successivo.

Nella dichiarazione relativa al successivo periodo di imposta, anno 1993, questa eccedenza era stata riportata come credito ILOR e richiesta a rimborso come tale.

In data 15.05.2000 ed in data 23.10.2003, il Banco di Sicilia aveva presentato istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate senza ottenere risposta e, decorso il termine di 90 giorni, aveva impugnato il silenzio rifiuto, chiedendo la condanna dell’Ufficio al rimborso del credito ILOR risultante dalla dichiarazione per l’anno di imposta 1993, nonchè al pagamento degli interessi ordinari ed anatocistici e del risarcimento del maggior danno da ritardato adempimento, previsto dall’art. 1224 c.c., comma 2.

2. Nelle more del giudizio di primo grado l’Ufficio, pur confermando le ragioni del diniego opposto alla istanza di rimborso, aveva riconosciuto la spettanza della sorta capitale a titolo di IRPEG, spontaneamente provvedendo a versarla, ma non degli interessi poichè l’appostazione del credito in dichiarazione era stata effettuata a titolo di ILOR e non di IRPEG.

La Commissione Tributaria Provinciale di Palermo aveva preso atto dell’acquiscenza dell’Ufficio sulla sorta capitale ed aveva riconosciuto gli interessi ordinari e quelli anatocistici con decorrenza dalla data della istanza di sollecito del rimborso (19.05.2000), anzichè dal secondo semestre successivo alla presentazione della dichiarazione dei redditi (1994), sulla considerazione che la contribuente in dichiarazione aveva indicato il credito di imposta di cui chiedeva il rimborso quale ILOR, invece che come IRPEG.

3. La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, con la sentenza n. 23/35/09, depositata il 13.03.2009 e non notificata, concernente esclusivamente gli interessi ed il risarcimento del danno, ha accolto in parte l’appello della contribuente e rigettato l’appello incidentale dell’Ufficio.

4. Il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio avrebbe dovuto correggere, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 2, l’indicazione del credito come IRPEG invece che ILOR, quale errore materiale, e provvedere alla riliquidazione della dichiarazione dei redditi: da ciò ha fatto conseguire che la data da cui computare gli interessi primari era quella del secondo semestre del 1994, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 44, comma 2.

Ha stabilito, inoltre, che la capitalizzazione degli interessi anatocistici andava applicata sino al 04.07.2006 e non per il periodo successivo, alla luce del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 50.

Da ultimo ha escluso il riconoscimento della rivalutazione monetaria e l’applicazione dell’art. 1224 c.c., comma 1, e art. 1284 c.c. al ritardato rimborso di crediti di imposta, richiamando la sentenza delle SS.UU. n.19499/2008.

5. La Agenzia delle entrate ricorre per cassazione su un motivo; la UNICREDIT SPA, incorporante per fusione il Banco di Sicilia SPA, resiste con controricorso e propone ricorso incidentale su un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del motivo di ricorso principale, sollevata dalla contribuente, sostenendo che nel quesito non vi era alcun riferimento alla rilevante circostanza che il Banco di Sicilia aveva presentato istanze di rimborso rettificative della dichiarazione originariamente presentata; invero tale eccezione si fonda su una personale ricostruzione e qualificazione giuridica dei fatti oggetto di giudizio, che non risulta giudizialmente vagliata e accertata.

2.1. Con il motivo di ricorso principale la Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, in relazione all’art. 1282 c.c. ed alla L. n. 600 del 1973, art. 36 bis (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e si duole che la CTR, errando, abbia ritenuto produttivo di interessi sin dalla presentazione della dichiarazione il credito, indicato come ILOR, nel presupposto che l’Ufficio avrebbe dovuto spontaneamente ritenere che la domanda riguardava un diverso credito IRPEG, laddove invece il secondo giudice avrebbe dovuto considerare che gli interessi decorrevano da quando il credito era divenuto certo, liquido ed esigibile e che, in assenza della correzione dell’errore commesso dal contribuente, tale momento andava a coincidere con quello in cui l’Amministrazione (in data 1.12.2005) si era spontaneamente determinata ad operare il rimborso, sia pure per un titolo diverso da quello indicato dal contribuente.

2.2. Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

2.3. La statuizione impugnata, che fa decorrere il computo degli interessi primari dal secondo semestre del 1994, si fonda su due argomenti: il primo è che il riporto del credito IRPEG nel campo ILOR della dichiarazione dei redditi della banca fosse da ascrivere ad un mero errore materiale della contribuente; il secondo, oggetto della doglianza, è che era onere dell’Amministrazione provvedere alla correzione di tale errore in sede di controllo automatizzato, in esecuzione di quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 2, lett. b), e che, non avendovi provveduto, l’Amministrazione subiva le conseguenze dell’esecuzione posticipata del rimborso, di guisa che lo stesso veniva gravato dagli interessi primari maturati secondo i criteri stabiliti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, comma 2.

2.4. Tale statuizione risulta errata e va cassata.

2.5. Innanzi tutto va rilevato che la CTR ha erroneamente dato applicazione ad una versione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 2, lett. b, (riportato con virgolettato dalla CTR: l’Ufficio… “provvede a:… correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze di imposta”) ancora non vigente all’epoca dei fatti, in quanto conseguente ad una modifica normativa apportata dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 13, con entrata in vigore ex art. 16 dal 01.01.1999.

Invero il testo vigente dell’art. 36 bis, comma 2, lett. g) (concernente i crediti di imposta) stabiliva “gli uffici possono:…. g) controllare i crediti di imposta spettanti e i versamenti delle somme dovute in base alle dichiarazioni.”, prevedendo quindi solo una possibilità di controllo.

2.6. Nel merito va quindi osservato che questa Corte ha già avuto modo di affermare a Sezioni Unite che “In tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum.” (Cass. SS.UU n. 5069/2016) ed ha successivamente chiarito che “In tema di rimborso d’imposta, non è previsto – nè dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nè da altre disposizioni – l’onere dell’Amministrazione finanziaria di svolgere attività di rettifica della dichiarazione in cui è stato esposto il credito, sicchè, anche in assenza di accertamenti nei termini di legge, non si consolida l’asserito diritto del contribuente.” (Cass. 12557/2016), principi che si intendono confermare e che trovano applicazione nel caso in esame, di guisa che non ricorre alcun consolidamento dell’asserito diritto.

2.7. La decisione impugnata non ha dato corretta applicazione a tali principi poichè ha ravvisato un inesistente onere di correzione della dichiarazione a carico dell’Amministrazione in favore del contribuente, quanto meno nella presente fattispecie anche ratione temporis, e sulla sua pretesa inosservanza ha fondato la condanna alla corresponsione degli interessi primari, retrodatandoli addirittura al secondo semestre successivo alla presentazione della dichiarazione.

2.8. Al contrario, la CTR avrebbe dovuto accertare se e quando la contribuente aveva provveduto a rimuovere l’errore contenuto nella dichiarazione ed a rendere il credito certo, liquido ed esigibile nei confronti del suo preteso debitore, nel periodo temporale antecedente allo spontaneo rimborso della sorta capitale eseguito dalla Amministrazione per un titolo diverso da quello indicato dalla contribuente stessa, ed avrebbe dovuto computare gli eventuali interessi con riferimento al periodo così individuato ed intercorrente tra la rimozione dell’errore da parte della contribuente e lo spontaneo adempimento da parte dell’Amministrazione.

Pertanto in sede di rinvio la CTR dovrà provvedere ad accertare quanto sopra precisato.

3.1. Con il motivo di ricorso incidentale il Banco di Sicilia denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 cod. civ. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) lamentando una erronea interpretazione della sentenza delle SS.UU. n. 19499/2008.

3.2. Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito precisati.

3.3. La decisione a Sezioni Unite, richiamata nella decisione impugnata, aveva statuito che “Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale.” (Cass. SS.UU. n.19499/2008).

3.4. Sempre in tema di risarcimento del danno da svalutazione monetaria in campo tributario questa Corte ha di recente ribadito (Cass. nn. 3331/2017, 28332/2013), che può liquidarsi il danno da svalutazione monetaria, sempre che il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell’inflazione e salva l’applicazione – imposta dalla specificità della disciplina dell’obbligazione tributaria – di un particolare rigore nella valutazione del materiale probatorio (Cass. SSUU n. 16871/07; conf. Cass. nn. 26403/2010, 7803/2016, 11943/2016).

3.5. La statuizione impugnata non ha dato corretta applicazione a questi principi in quanto ha negato tout court la riconoscibilità del risarcimento del danno da svalutazione monetaria, che sarebbe stata in teoria consentita ove la parte privata avesse provveduto ad assolvere adeguatamente ai suoi oneri probatori nei termini prima precisati: sul punto la CTR non si è espressa in alcun modo, limitandosi a negare, assertivamente, la applicabilità dell’art. 1224 c.c., comma 1.

4.1. In conclusione il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno accolti; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR della Sicilia in diversa composizione per il riesame al fine di applicare i principi espressi ed accertare quanto meglio precisato in motivazione e per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

– accoglie il ricorso principale ed il ricorso incidentale;

– cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Sicilia per il riesame e la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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