Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1956 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 24/01/2022, (ud. 16/12/2021, dep. 24/01/2022), n.1956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26325/12 R.G. proposto da:

F.I., rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, in

virtù di procura a margine del ricorso, dagli avv.ti Cesare Glendi

e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo, in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 98/6/11 depositata in data 28 settembre 2011;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 dicembre

2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Genova n. 88 del 29 aprile 2008 che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto da F.I. avverso l’avviso di accertamento emesso ai fini Irpef, in relazione all’anno d’imposta 2003, a titolo di reddito di partecipazione nel capitale della società Cave di Yarm s.r.l., nella misura del 2 per cento, e nel capitale della società Argemi s.r.l. nella misura del 100 per cento, essendo state rettificate le dichiarazioni presentate dalle predette società, con conseguente recupero a tassazione di maggiori utili extracontabili.

2. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’impugnazione.

Rilevato che il primo giudice aveva accolto il ricorso della contribuente limitatamente ai redditi di partecipazione nella Cave di Yarm s.r.l., poiché non risultava provata da parte dell’Ufficio la notifica alla stessa società dell’avviso di accertamento, mentre aveva ritenuto infondato il ricorso con riferimento ai redditi accertati nei confronti della società Argemi s.r.l., stante la pendenza di un ricorso da quest’ultima proposto avverso l’avviso di accertamento emesso a suo carico, i giudici di secondo grado ritenevano legittimo l’accertamento notificato alla contribuente anche con riguardo al reddito imponibile derivante dalla partecipazione alla società Cave di Yarm s.r.l., avendo l’Ufficio allegato all’avviso di accertamento notificato alla contribuente quello emesso nei confronti della società.

3. La contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate mediante controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale del 28 febbraio 2019, la contribuente, con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c., dando atto di volersi avvalere della definizione agevolata di cui al D.L. n. 119 del 2018, art. 6, ha chiesto la sospensione del giudizio ed il Collegio, all’esito della Camera di consiglio, ha sospeso il processo, rinviando la causa a nuovo ruolo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, deve darsi atto che la contribuente non ha coltivato la definizione agevolata della lite della quale aveva dichiarato di volersi avvalere.

2. Con il primo motivo del ricorso, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e/o, in subordine, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in combinato disposto con l’art. 156 c.p.c., comma 2, nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la ricorrente, precisando che nel giudizio di merito aveva negato la esistenza e la rituale notificazione dell’avviso di accertamento nei confronti della società Cave di Yarm s.r.l., e che solo in grado di appello l’Ufficio aveva prodotto copia integrale dell’avviso di accertamento emesso a carico della predetta società, sostiene, in primo luogo, che i giudici di appello non si sono pronunciati sulla eccezione di mancata allegazione all’avviso di accertamento alla stessa rivolto di quello a carico della società e, in via subordinata, che, qualora si dovesse ritenere che l’omessa pronuncia equivalga a pronuncia di rigetto della stessa eccezione, la decisione sarebbe comunque viziata per totale difetto di motivazione. Soggiunge la ricorrente che in ogni caso è ravvisabile la dedotta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, considerato che all’avviso di accertamento notificatole non era stato allegato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della Cave di Yarm s.r.l., pur trattandosi di atto presupposto espressamente richiamato.

2.1. Le censure rivolte alla sentenza non sono fondate.

2.2. La Commissione regionale, in risposta alle eccezioni sollevate dalla contribuente a seguito della produzione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, degli avvisi di accertamento emessi nei confronti delle società Cave di Yarm s.r.l. e Argemi s.r.l., ha puntualmente affermato che ” I due avvisi di accertamento emessi nei confronti delle società in questione (Argemi e Cave di Yarm) erano stati allegati all’avviso di accertamento notificato alla contribuente, come dedotto dall’Ufficio e risultante agli atti. Si poteva, pertanto, dubitare non dell’esistenza degli avvisi, bensì della regolare formazione e notificazione degli stessi. La contribuente, infatti, ha eccepito la nullità della notifica dell’avviso a carico della Argemi s.r.l. e l’inesistenza della sottoscrizione e della notifica dell’avviso nei confronti della Cave di Yarm s.r.l.. L’ufficio a comprova dell’avvenuta sottoscrizione e della regolarità della notifica dei due atti ha allegato alle proprie controdeduzioni la fotocopia delle pagine dei detti documenti in cui erano contenute la sottoscrizione del direttore dell’Ufficio e le relate di notifica, pagine che recando impresso il numero dell’avviso di accertamento cui si riferiscono sono da ritenere senz’altro relative agli avvisi in questione ed idonee a provare l’emissione e la notifica degli stessi alle società destinatarie…Non sussiste, pertanto, come erroneamente ritenuto dal primo giudice, mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere probatorio, avendo quest’ultimo dato prova dell’emissione, della sottoscrizione e della notifica dell’accertamento nei confronti della s.r.l. Cave di Yarm sulla cui base è stato effettuato l’accertamento nei confronti della contribuente”.

All’esito dell’esame della documentazione allegata, i giudici di merito hanno dunque rilevato, con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, non solo la esistenza degli avvisi di accertamento e l’avvenuta notifica degli stessi nei confronti delle due società partecipate Argemi s.r.l. e Cave di Yarm s.r.l., ma anche l’allegazione all’avviso notificato a F.I. dell’atto impositivo presupposto.

La Commissione regionale si è quindi pronunciata su tutte le eccezioni sollevate dalla contribuente, disattendendole, e, pertanto, non sono ravvisabili nella pronuncia gravata né le dedotte violazioni di legge, né vizi di motivazione, né ancora il lamentato error in procedendo.

3. Con il secondo motivo, si denuncia “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), e dell’art. 148 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”.

Ad avviso della ricorrente, la decisione impugnata risulta erronea laddove la C.T.R. ha riconosciuto la validità della notifica eseguita ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nei confronti della società Cave di Yarm s.r.l., in assenza di “ricerche” circostanziate circa la irreperibilità della società e del suo legale rappresentante presso la sede legale, non emergenti dalla relata di notifica prodotta dall’Agenzia delle Entrate e ritrascritta nel ricorso per cassazione.

3.1. La censura è inammissibile.

3.2. I giudici di appello, rispondendo alla contestazione svolta dalla contribuente, hanno affermato che “Dalla relata di notifica risulta che il messo M.R. in data (OMISSIS) ha accertato che la società Cave di Yarm ed il suo legale rappresentante erano sconosciuti all’indirizzo corrispondente alla sede legale della società stessa in (OMISSIS), via (OMISSIS), come da dichiarazione della portiera dello stabile riportata nella relata stessa e che per tale motivo la notifica è stata effettuata in data 29 dicembre 2005 dal messo comunale B.M.M., ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, come riportato nella predetta relata”. Hanno inoltre aggiunto che sono infondati “i dubbi sulla qualifica di messi comunali di B.M.M. e di M.R.”, poiché dalla nota del 20 luglio 2009 del Comune di Milano, allegata agli atti, risultava che le predette erano state nominate messi notificatori con specifico provvedimento del Sindaco ed erano pertanto legittimate ad effettuare la notifica. In tal modo rilevando non solo la esistenza, ma anche la ritualità della notifica eseguita nei confronti della società Cave di Yarm s.r.l.

L’apprezzamento svolto dai giudici regionali non può essere sindacato in questa sede e comunque la eventuale irritualità della notificazione avrebbe potuto essere opposta esclusivamente dalla società in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento o della conseguente iscrizione a ruolo, ma non può essere fatta valere dall’odierna ricorrente, essendo pacifico che l’atto impositivo è ormai divenuto definitivo.

4. Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente censura la sentenza impugnata per “violazione o falsa applicazione dell’art. 42 t.u.i.r., e degli artt. 2478 bis e 2729 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., e per omessa o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5”.

In particolare, sostiene che la ristretta base societaria o familiare non può essere considerata quale “fatto noto” sul quale poggiare la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio ai soci, atteso che in virtù dell’art. 42 (ora art. 45) t.u.i.r., la tassazione degli utili in capo al socio potrebbe essere legittimamente fatta solo ove sussista prova concreta dell’effettiva percezione degli utili societari extrabilancio, non potendosi escludere che, seppure la società abbia conseguito ricavi extrabilancio, essi siano rimasti nella disponibilità della società stessa per essere reinvestiti, con la conseguenza che il postulato che l’automatica tassazione in capo ai soci degli utili extrabilancio di una società di capitali debba valere per il solo fatto dell’esiguità della compagine sociale configura una grave lesione della legge stessa e dei diritti di difesa del socio contribuente.

Soggiunge che, poiché la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio di società a ristretta base capitaria, non costituisce presunzione assoluta, ma relativa, come tale suscettibile di prova contraria, nel caso di specie i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere detta presunzione superata in ragione delle circostanze di fatto allegate, dalle quali si evinceva che non era a conoscenza delle vicende societarie e che non aveva mai ricevuto dalle società partecipate, né dal coniuge, effettivo proprietario delle società, dal quale era da tempo separata, alcuna somma a titolo di distribuzione degli utili.

4.1. La censura è infondata.

4.2. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dell’indirizzo ormai consolidato, espresso da questa Corte secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova contraria del fatto che i maggiori redditi non sono stati distribuiti ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. Ed infatti, la ristrettezza della compagine societaria implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extrabilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale, fatta salva l’anzidetta possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la prova contraria (Cfr. Cass., sez. 5, 29/11/2017, n. 28542; Cass., sez. 9/03/2016, n. 4656; Cass., sez. 23/02/2016, n. 3535; Cass., sez. 5, 29/07/2016, n. 15824; Cass., sez. 25/05/2016, n. 10793; Cass., sez. 18/10/2017, n. 24534; Cass., sez. 6-5, 23/03/2017, n. 7592; Cass., sez. 6-5, 9/07/2018, n. 18042; Cass., sez. 5, 29/01/2020, n. 1970; Cass., sez. 14/02/2020, n. 3735; Cass., sez. 22/04/2021, n. 10732).

4.3. Ciò non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza dei maggiori redditi della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, la quale implica, normalmente, un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, nonché un elevato grado, da parte loro, di compartecipazione e di conoscenza degli affari sociali, restando salva la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società o dalla stessa reinvestiti (cfr., tra le molte, più di recente, Cass., sez. 5, 18/10/2017, n. 24534; Cass., sez. 5, 29/07/2016, n. 15824; Cass., sez. 5, 2/03/2011, n. 5076), essendosi ulteriormente ancora precisato, quanto all’ambito della prova contraria idonea a superare detta presunzione, che il socio ben può dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6-5, 9/07/2018, n. 18042; Cass., sez. 5, 15/09/2021, n. 24870; Cass., sez. 5, 24/07/2020, n. 15895).

4.4. Anche se la prova contraria del contribuente non è dunque limitata a quella per cui gli utili non sono stati distribuiti, perché reinvestiti (Cass., sez. 5, 20/12/2018, n. 32959; Cass., sez. 5, 22/11/2017, n. 27778) – prova che il contribuente può fornire anche nel suo ruolo di titolare meramente formale delle quote, ma estraneo di fatto alla gestione societaria, perché comunque il ruolo formale permette di accedere ai libri sociali per acquisire elementi a tal fine – ma può anche consistere nella dimostrazione del socio di essere stato, in realtà, estraneo alla gestione e conduzione societaria (Cass., sez. 5, 23/12/2019, n. 34282; Cass., sez. 5, 24/07/2020, n. 15895; Cass., sez. 6-5, 2/02/2016, n. 1932; Cass., sez. 5, 14/07/2017, n. 17461; Cass., sez. 6-5, 22/12/2016, n. 26873; Cass., sez. 6-5, 9/07/2018, n. 18042; Cass., sez. 5, 27/09/2018, n. 23247), la doglianza svolta dalla ricorrente con il mezzo in esame risulta infondata.

Invero, come accertato dai giudici di appello, la contribuente non ha fornito la prova contraria dell’accantonamento o del reinvestimento degli utili extrabilancio e neppure ha dimostrato di essere rimasta estranea alla gestione societaria, essendosi limitata ad allegare tale ultima circostanza, che e’, tuttavia, rimasta mera affermazione priva di qualsiasi riscontro.

Deve, a tale ultimo riguardo, osservarsi che nell’illustrazione del motivo la ricorrente neppure specifica gli elementi che avrebbe addotto dinanzi al giudice di merito a supporto dell’asserita estraneità alla gestione societaria, ma si limita a dedurre di avere allegato tale circostanza che non sarebbe stata oggetto di specifica contestazione da parte dell’Ufficio, ma tale assunto difensivo non è da solo idoneo a superare la presunzione di distribuzione di utili in capo ad intestatario di quote di società a ristretta base sociale.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 11.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, in Camera di consiglio, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

 

 

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