Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19559 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2021, (ud. 13/05/2021, dep. 08/07/2021), n.19559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14488-2020 proposto da:

R.P., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA TOMASINO;

– ricorrenti –

contro

E.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PALUMBO 3,

presso lo studio dell’avvocato RONCHIETTO CLAUDIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO MAGLIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 263/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott.

GIANNACCARI ROSSANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 2.4.2012, G.G., R.P., M.A. e P.C., premesso di essere ciascuno proprietario di un appartamento nonché di 1/6 del cantinato e della proporzionale quota di comproprietà, costituenti pertinenze, sul cortile antistante il fabbricato, sul pozzo e sul giardino circostante la palazzina in Pomigliano d’Arco, convenivano in giudizio E.P., anch’egli condomino, per sentire dichiarare e accertare che il piccolo appezzamento di giardino fosse in quota di proprietà comune degli attori e, conseguentemente, che venisse condannato quest’ultimo a lasciare il detto giardino libero da persone e cose.

1.1. Si costituiva ritualmente in giudizio E.P. che, preliminarmente, eccepiva il giudicato esterno costituito dalla sentenza resa dal Tribunale di Nola il 24.5.2011, n. 1307, con cui era stata respinta, per difetto di prova, la domanda di rivendica avanzata nei suoi confronti da R.P. e M.A. nonché da D.P.S. e C.G. – danti causa degli attori G.G. e P.O. -, in via gradata chiedendo il rigetto della domanda per infondatezza.

1.2. Il Tribunale di Nola dichiarava inammissibile la domanda perché coperta da giudicato ex art. 2909 c.c., evidenziando che, a prescindere dalla qualificazione operata dagli attori, la domanda, “surrettiziamente ricondotta nello schema dell’art. 949 c.c. al fine di aggirare l’intervenuto giudicato”, mirava ad ottenere tutela del medesimo bene e si fondava sulla medesima causa petendi azionati nel giudizio definito con la sentenza passata in giudicato.

1.3. Avverso tale decisione interponevano gravame G.G., R.P., M.A. e P.C., censurando la sentenza perché fondata su un’erronea applicazione e violazione delle norme di diritto, in quanto, secondo gli appellanti, nella specie era da escludersi che la domanda da essi proposta fosse riconducibile allo schema dell’art. 948 c.c. e che, quindi, fosse coperta da giudicato, in quanto essa mirava all’accertamento della legittimità del possesso e non – come la rivendicazione – all’accertamento dell’esistenza del diritto di proprietà. Inoltre, continuavano gli appellanti, la precedente pronuncia non aveva accertato alcunché sull’insussistenza della contitolarità del bene atteso che la domanda era stata respinta per carenza di prova.

1.4. Con la sentenza quivi impugnata, la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame proposto. Nel motivare la statuizione adottata, il giudice di seconde cure rimarcava le differenze ontologiche esistenti tra le due azioni oggetto di discussione – rivendicazione e negatoria servitutis -, soffermandosi, in particolare, sull’elemento della situazione possessoria, che difetta in chi agisce in rivendica, tanto che trattasi di azione recuperatoria, mentre rappresenta presupposto indefettibile dell’actio negatoria servitutis. Ed è proprio facendo leva su tale ultimo aspetto che la corte concludeva per la qualificazione dell’azione de qua come azione di rivendicazione – coperta da giudicato -, avendo gli appellanti premesso, sin dal libello introduttivo, di non essere nel possesso della porzione di giardino, avendo, quindi, quale fine conclamato, quello di conseguire il riconoscimento della comproprietà sul fondo oggetto di contestazione. In ogni caso, continuava la corte, anche a voler qualificare la domanda avanzata nel presente giudizio ai sensi dell’art. 949 c.c., la sussistenza del diritto di proprietà in capo agli attori rappresenta condizione dell’azione sotto il profilo della legittimazione attiva, profilo anch’esso coperto dal giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale menzionata.

2. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso R.P. e M.A. sulla base di un motivo.

2.1. Ha resistito con controricorso E.P..

3. Il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., di inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, si censura la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 948 e 949 c.c., per avere la corte distrettuale qualificato l’azione de qua come azione di rivendicazione, erroneamente ritenendo che difettasse, nel caso di specie, l’elemento della situazione possessoria in capo agli appellanti, quando, di contro, molteplici sarebbero gli indicatori fattuali chiaramente comprovanti il contrario. Difatti, nel pervenire a tale fallace conclusione, la corte non avrebbe considerato la situazione di comproprietà pacificamente esistente sul bene oggetto di contesa, desumibile, in primis, dagli atti di acquisto degli immobili da parte dei ricorrenti – testimonianti il fatto che i ricorrenti, acquistando l’immobile, sarebbero anche divenuti comproprietari per 1/6 di tutti gli spazi circostanti (compreso il giardino) -; dal fatto che l’insieme del fabbricato e tutti gli spazi circostanti sarebbero identificati con un’unica particella in catasto; e, infine, dalla circostanza che il cancello carrabile di ingresso all’interno del fabbricato si estenderebbe anche nella parte del giardino in contestazione, con ciò confermando la natura di bene in comune del giardino stesso.

1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.

1.2. Il ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazioni e false applicazioni di norme di legge, chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (ex multis, Cass. civ., sez. VI, n. 8758 del 04.04.2017; Cass. n. 21381/2006).

1.3. Nel caso di specie, la corte distrettuale, muovendo da una disamina generale delle due azioni prese in esame, ha puntualmente osservato, sulla base delle risultanze di causa il riferimento e’, in particolare, al contenuto dell’atto introduttivo – il difetto, per quel che concerne l’actio negatoria servitutis asseritamente esperita, dell’elemento indefettibile della situazione possessoria in capo a parte appellante. Tale difetto, come correttamente osservato dalla corte, ne preclude l’accoglimento, come dimostrato da consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “chi intende proporre l’actio negatoria servitutis non è tenuto a fornire una prova rigorosa sull’esistenza di un diritto di proprietà del bene, ma è tenuto a dimostrare di esercitarne legittimamente il possesso sulla res” (Cass., civ., 03.12.2009, n. 31510; Cass. civ., 24.08.1981, n. 4982).

1.4. Ebbene, l’accertamento di siffatta circostanza viene, con il motivo in esame, messo in discussione da parte ricorrente mediante il richiamo di talune circostanze fattuali funzionali a comprovare l’esercizio del possesso sul bene in contesa, palesando, quindi, lo scopo di conseguire, mediante la deduzione di un’apparente violazione di legge, un’inammissibile rivalutazione dei fatti causa, unicamente finalizzata ad evitare l’assorbimento della domanda in esame nel giudicato intervenuto avente ad oggetto l’accertamento del diritto di proprietà sul bene oggetto di causa, rappresentante, peraltro, come rettamente rilevato dalla corte distrettuale, condizione dell’azione ex art. 949 c.c. sotto il profilo della legittimazione attiva, con la conseguenza, quindi, che siffatta azione risulterà inevitabilmente coperta dal giudicato.

2. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

3. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

3.1. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 oltre Iva e cap come per legge oltre ad Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile -2 della Suprema Corte di cassazione, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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