Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19555 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/07/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 19/07/2019), n.19555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23102-2017 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato EZIO

MARIA TARANTINO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA, NICOLA VALENTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 197/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 22/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA

SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 20 gennaio – 22 marzo 2017 n. 197 la Corte d’Appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da B.L. nei confronti dell’INPS per l’attribuzione della pensione di reversibilità, in relazione alla pensione di cui era stata titolare la madre deceduta;

che la corte Territoriale condivideva il giudizio del Tribunale sulla mancanza di prova della vivenza del B. a carico dell’ascendente.

Dalla documentazione in atti risultava che il B. non conviveva con la madre all’epoca del decesso di quest’ultima bensì con la moglie ed i loro due figli; solo successivamente era stata dichiarata la separazione dei coniugi e la casa coniugale era rimasta nella disponibilità del B., il che confermava che questi era proprietario della casa di abitazione.

Inoltre dai certificati di pensione della de cuius si evinceva che quest’ultima percepiva un importo di pensione di Euro 748,35; il B. al momento del decesso della madre era titolare di pensione di inabilità civile e quindi percepiva un reddito pressochè uguale a quello della de cuius;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso B.L., articolato in un unico motivo, cui ha opposto difese l’INPS con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo la parte ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Ha esposto che la domanda era fondata sul proprio stato di inabilità (essendo egli invalido civile, in quanto affetto da sordità congenita) e di avere documentato di essere disoccupato, al pari della moglie nonchè di avere due figli minori, allegando che l’intero nucleo familiare era a carico della madre.

L’Inps aveva fornito i criteri obiettivi per valutare il requisito della vivenza a carico con propria Delib. 31 ottobre 2000, n. 478, con la quale si stabiliva di considerare a carico i figli maggiorenni inabili che avevano un reddito non superiore a quello richiesto dalla legge per la pensione di invalido civile totale; questa Corte di legittimità (Cass. 3 luglio 2007 n.- 14996) aveva affermato che il requisito della vivenza a carico doveva essere riferito ai criteri forniti dall’Istituto previdenziale (per ragioni di certezza giuridica, di parità di trattamento e di protezione di valori costituzionalmente tutelati). Il requisito reddituale, che comportava la presunzione di vivenza a carico, era dunque integrato.

che ritiene il Collegio si debba dichiarare inammissibile il ricorso;

che invero il giudizio in ordine alla vivenza del figlio maggiorenne inabile a carico dell’ascendente costituisce un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità, quanto ai suoi esiti, unicamente con la deduzione di un vizio della motivazione (tra le altre: Cass. sez. lav. 13.04.2018 n. 9237; Cass. 20 aprile 2016 n. 8023).

Nella fattispecie di causa il giudizio di assenza della vivenza a carico è stato fondato nella sentenza impugnata non soltanto sulla titolarità da parte del B. della pensione di inabilità civile ma anche sulla mancanza di convivenza con la genitrice, sulla proprietà della casa di abitazione, sulla equivalenza tra l’importo dei redditi dell’ascendente e quanto percepito dal figlio.

Pertanto si è in presenza di un giudizio di fatto, che prescinde dalla violazione delle norme denunziata con il ricorso.

Sotto il profilo del vizio di motivazione risulta, invece, preclusivo il rilievo della applicabilità ratione temporis dell’art. 348 ter, commi 4 e 5 c.p.c., sicchè la deducibilità del vizio è esclusa dal giudizio conforme reso nei due gradi di merito in ordine alla assenza della vivenza del B. a carico dell’ascendente;

che pertanto, la causa deve essere decisa in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. in difformità dalla proposta del relatore;

che la parte ricorrente è esente dal carico delle spese ex art. 152 disp. att. c.p.c., come risulta dalla sentenza d’appello;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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