Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19555 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2021, (ud. 16/04/2021, dep. 08/07/2021), n.19555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37130-2019 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

TOSCANA ACCUMULATORI SRL, OFFICINA DELL’OLIVO SRL, HOMO CONFEZIONI DA

LAVORO E PUBBLICITARIE DI V.B. E C. SNC, SOCIETA’ CICLISTICA

PEDALE TOSCANO PONTICINO ASS. SPORTIVA DILETTANTISTICA, RACMO DI

C.A. & C. SAS GIA’ RACMO DI C.M., BOLZONI

SPA, TAUCHEMICAL SRL, TORELLI SRL, TIPOGRAFIA NOVA SRL, DATACOL SRL,

G.P. SRL GIA’ ELETTROMECCANICA G.P. E FIGLI SNC,

FORNITURE INDUSTRIALI DELLACASA SRL, COOPERATIVA COMPAGNIA UNICA

LAVORATORI PORTUALI P.R. (CULP SAVONA), IDROSPRING SRL,

GO.FA. SRL, NEW CAB ITALIA SRL, BI ERRE DI SPA,

GA.EN., REYS SPA, MANITOU ITALIA SRL, AUTOFFICINA SAN GIORGIO DI

N.M. & C SNC, PUBLIPRATO SRL, MEV SRL, TEAM SHIPPING

AGENCY SRL, CUTTER VIAGGI SRL, LEBEN SRL, elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA N. 6, presso lo studio dell’avvocato

MATTEO ACCIARI, rappresentati e difesi dall’avvocato BRUNO GUARALDI

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

CEMAS SRL, FRATELLI P. SPA, TAED DI R.G. & C SNC;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il

28/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

16/04/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Leben S.r.l. nonché altri ventotto creditori ammessi al passivo del fallimento della (OMISSIS) S.r.l., proponevano opposizione avverso il decreto del Consigliere delegato della Corte d’Appello di Firenze con il quale la loro domanda di equo indennizzo era stata dichiarata inammissibile, in quanto proposta oltre il termine di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.

La Corte d’Appello in composizione collegiale accoglieva l’opposizione, e per l’effetto, in riforma del provvedimento opposto, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somme dovute a favore di ogni singolo ricorrente, come indicate in dispositivo, oltre al rimborso delle spese di lite.

Dopo aver rilevato la tempestiva proposizione della domanda di equo indennizzo, atteso che nel caso di specie, trattandosi di procedura fallimentare risalente all’anno 2003, trovava applicazione la previgente disposizione di cui alla L. Fall., art. 119, riconosceva altresì la legittimazione attiva degli opponenti.

Quanto alla durata ragionevole, riteneva che trovasse applicazione la previsione del novellato L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 bis, che aveva fissato in sei anni il termine ragionevole di durata della procedura fallimentare, norma che aveva sottratto ogni margine di discrezionalità circa l’apprezzamento della durata stessa al giudice di merito.

Quindi rilevato che il tempo eccedente la durata medesima era pari a 7 anni, 9 mesi e 20 giorni, risultava che il pregiudizio andava calcolato per un periodo di otto anni.

Passando alla liquidazione, reputava infondata la tesi della difesa erariale secondo cui, attesa l’assenza di ogni ragionevole aspettativa per i creditori di soddisfacimento dei loro crediti in sede di riparto, dovesse trovare applicazione la previsione di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lett. a), posto che tutte le domande di ammissione al passivo erano state accolte, a seguito di ammissione al passivo, non potendosi escludere quindi il permanere di un paterna d’animo in capo agli opponenti per il protrarsi della procedura concorsuale, anche a seguito di eventuali riparti parziali.

Per l’effetto, riconosceva il pregiudizio sulla base della somma di Euro 600,00 annui, incrementata del 20 % per gli anni successivi al terzo sino al settimo, e del 40% per l’ottavo anno, riducendo tuttavia l’importo liquidato per i creditori il cui credito ammesso al passivo fosse risultato di importo inferiore alla somma in astratto dovuta (Euro 5.520,00).

Infine, poneva le spese del giudizio a carico del Ministero, facendo applicazione dei parametri previsti per i giudizi di natura contenziosa, ma tenendo conto nella liquidazione anche dell’attività difensiva prestata per la fase monitoria, essendo necessario provvedere, a seguito dell’accoglimento dell’opposizione, ad una liquidazione unitaria.

Per la cassazione di questo decreto Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

Gli originari ricorrenti hanno resistito con controricorso ad eccezione della Keys S.p.A., della Cemas S.r.l. e della TED di R.G. & C. S.n.c., che non hanno svolto difese in questa fase.

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, lett. a), nonché dell’art. 2 bis, comma 3, nella parte in cui il giudice di merito ha riconosciuto il diritto all’indennizzo in favore dei ricorrenti, ancorché l’esito negativo della procedura concorsuale, per l’assoluta incapienza dell’attivo fosse ben nota alle parti stesse.

Il motivo è infondato.

Ritiene il Collegio che debba darsi continuità ai principi già affermati da questa Corte nella decisione n. 21349/2017.

In tale occasione è stato ribadito che anche le procedure fallimentari, e non solo nel caso in cui si abbia riguardo alla posizione del fallito, ma anche nel caso in cui venga rilievo la posizione dei creditori insinuati al passivo, sono soggette al principio di ragionevole durata del processo; che questa Corte ha affermato il principio per cui “in tema di equa riparazione per la violazione del termine di durata ragionevole del processo, a norma della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, la durata delle procedure fallimentari, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo, è di cinque anni nel caso di media complessità e, in ogni caso, per quelle notevolmente complesse – a causa del numero dei creditori, la particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.), la proliferazione di giudizi connessi o la pluralità di procedure concorsuali interdipendenti – non può superare la durata complessiva di sette anni” (Cass. n. 8468 del 2012; Cass. n. 9254 del 2012, ma sugli effetti della novella di cui all’art. 2, comma 2 bis, che fissa in sei anni la durata ragionevole delle procedure concorsuali, si veda Cass. n. 2056/2019);

E’ stata quindi cassata la decisione della Corte d’appello che, pur in presenza di una procedura fallimentare protrattasi per circa diciotto anni alla data della domanda, aveva escluso la sussistenza di un pregiudizio per il creditore sia per la non imputabilità di ritardi agli organi della procedura, sia per la inesistenza di un attivo realizzabile nel corso della procedura, essendosi questa protratta in attesa dell’esito di due procedure esecutive immobiliari, il cui esito sfavorevole era certamente prevedibile.

E’ stato, quindi, ritenuto non corretto il ragionamento del giudice di merito che aveva ritenuto che il creditore avrebbe dovuto essere consapevole delle scarse possibilità di soddisfazione del proprio credito, ma che in tal modo aveva omesso di considerare che “in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.

Trattasi di lettura della norma di legge interna – oltre che ricavabile dalla ratio giustificativa collegata alla sua introduzione, particolarmente emergente dai lavori preparatori (dove è sottolineata la finalità di apprestare in favore della vittima della violazione un rimedio giurisdizionale interno effettivo, capace di porre rimedio alle conseguenze della violazione stessa, analogamente alla tutela offerta nel quadro della istanza internazionale) – che è imposta dall’esigenza di adottare un’interpretazione conforme alla giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo (alla stregua della quale il danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole del processo, una volta che sia stata dimostrata detta violazione dell’art. 6 della Convenzione, viene normalmente liquidato alla vittima della violazione, senza bisogno che la sua sussistenza sia provata, sia pure in via presuntiva), così evitandosi i dubbi di contrasto con la Costituzione italiana, la quale, con la specifica enunciazione contenuta nell’art. 111 Cost., tutela il bene della ragionevole durata del processo come diritto della persona, sulla scia di quanto previsto dalla norma convenzionale” (Cass., S.U., n. 1338 del 2004).

Ritiene il Collegio di dover assicurare continuità a tale precedente non senza rilevare come non possa spiegare efficacia in senso contrario la novella di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, per effetto della L. n. 208 del 2015, applicabile alle domande di equa riparazione proposte in data successiva al 1 gennaio 2016, che ha introdotto l’art. 2, comma 2-quinquies, lett. a), secondo cui non è riconosciuto alcun indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’art. 96 c.p.c., non potendosi assimilare la posizione del creditore insinuato al passivo, il cui credito sia rimasto insoddisfatto per l’incapienza dell’attivo a quella di una parte le cui pretese debbano reputarsi ab origine o per fatti sopravvenuti infondate.

Contraddice tale equiparazione la evidente considerazione che è la stessa ammissione al passivo che denota la presenza di una valutazione positiva da parte degli organi della procedura circa la fondatezza delle ragioni di credito vantate dal creditore e che esclude che la sua pretesa possa essere reputata come infondata.

Il mancato soddisfacimento delle aspettative creditorie nel caso di specie non si correla ad una carenza dei presupposti del diritto di credito, quanto all’impossibilità di poter in concreto ottenere un materiale soddisfacimento ed in ragione delle condizioni patrimoniali del debitore che, anche in ragione della presenza di numerosi altri creditori destinati a soddisfarsi in maniera prioritaria, non consentono l’integrale tacitazione delle altre ragioni di credito vantate.

Ed, invero, se la situazione di incapienza del patrimonio del debitore (cfr. Cass. n. 26166/2006) può portare ad escludere l’indennizzabilità del danno patrimoniale da durata irragionevole del processo (conf. Cass. n. 11829/2018), laddove venga a mancare il nesso di causalità eziologica tra il pregiudizio lamentato e la durata irragionevole della procedura, non altrettanto è a dirsi quanto al pregiudizio di natura non patrimoniale, non potendosi ragionevolmente sostenere che la sola consapevolezza delle difficoltà di concreta realizzazione del proprio credito elidano il pregiudizio, soprattutto laddove, come nel caso di specie, la fondatezza della pretesa abbia trovato conforto nell’intervenuta ammissione al passivo.

A tal fine va altresì ricordato che questa Corte (Cass. n. 10176/2018), nel valutare la corretta applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, che stabilisce che, anche in deroga ai criteri stabiliti dal comma 1 del medesimo articolo, “la misura dell’indennizzo…, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice”, ha affermato che, nel caso del giudizio di verificazione dello stato passivo, occorre aver riguardo al credito azionato dal ricorrente (L. Fall., art. 93, comma 3) ovvero, se inferiore, alla somma per la quale il creditore, all’esito del giudizio stesso, risulti essere stato ammesso (L. Fall., artt. 96 e 99), a nulla, almeno a tal fine, rilevando la somma per la quale il creditore ammesso risulti, poi, iscritto al riparto (L. Fall., artt. 110 e segg.), confermando in tal modo il convincimento che il diritto accertato dal giudice è quello per il quale vi è stata ammissione, non incidendo sulla fondatezza della domanda il diverso profilo del suo concreto soddisfacimento.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 nonché comma 2 ter, e dell’art. 2 bis, commi 1 bis, 2, lett. a) e 1 ter.

Si contesta il fatto che il giudice di merito abbia individuato come moltiplicatore annuo la somma di Euro 600,00 (intermedia tra il minimo ed il massimo di legge), provvedendo poi a dei progressivi aumenti, ma senza considerare le circostanze del caso concreto, alla luce del fatto che la procedura concorsuale aveva una notevole complessità.

Inoltre, non ha ridotto l’indennizzo in ragione dell’esito negativo della procedura per gli istanti né ha ridotto l’importo dovuto per effetto della presenza ne giudizio presupposto di più di dieci parti.

Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che a seguito della novella dell’art. 2, comma 2 bis, che fissa in sei anni la durata ragionevole delle procedure concorsuali, i termini oggi fissati dal legislatore per la durata ragionevole dei procedimenti giudiziari, sono insuscettibili di autonoma valutazione da parte del giudice, avendone il legislatore predeterminato la misura (cfr. Cass. n. 2056/2019, nonché in motivazione Corte Cost. n. 36/2016).

Quanto alle altre doglianze, e rimandando alla disamina del primo motivo circa la pretesa riduzione dell’indennizzo avuto riguardo alla consapevolezza dell’infondatezza della propria pretesa, non potendosi equiparare all’integrale rigetto delle domande la diversa situazione in cui, stante l’eccedenza del passivo rispetto all’attivo, le censure proposte investono nel complesso l’esercizio di valutazioni discrezionali, tipicamente rimesse al giudice di merito, e come tali non sindacabili in sede di legittimità.

In tal senso rileva che la determinazione del moltiplicatore annuo è avvenuta da parte della Corte distrettuale nel rispetto dei criteri legali, dovendo reputarsi che la stessa abbia appunto tenuto conto anche delle particolari modalità di svolgimento del giudizio presupposto, sulla scorta quindi di un apprezzamento di fatto che non può essere contestato in sede di legittimità.

Del pari rientra nella discrezionalità del giudice di merito provvedere alla riduzione ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1 bis, e ciò anche in considerazione della difficoltà di assimilare una pluralità di creditori che chiedano di insinuarsi al passivo sulla base verosimilmente di distinte ragioni di credito all’ipotesi paradigmatica tenuta a mente dal legislatore, nella quale nel giudizio presupposto le pretese fatte valere dalle parti abbiano un comune fondamento o presuppongano la risoluzione di identiche questioni.

Non risulta quindi sindacabile in questa sede il mancato esercizio del potere di riduzione, trattandosi anche in tal caso di valutazione riservata al giudice del merito.

Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in quanto non si sarebbe tenuto conto della complessità della procedura concorsuale, che aveva comportato la partecipazione a numerosissimi procedimenti giudiziari (come ad esempio molteplici revocatorie bancarie) con un elevato passivo da accertare, anche a seguito di insinuazioni tardive di elevato importo.

Ancora rilevava la necessità di definire numerosi processi al fine di acquisire delle attività alla massa fallimentare, nonché l’esigenza di assicurare la permanenza dei rapporti lavorativi con i dipendenti tramite il ricorso alla C.I.G.S., dovendosi quindi pervenire alla fissazione in sette anni del termine di durata ragionevole.

Il motivo è inammissibile.

Come rilevato in occasione della disamina del secondo motivo di ricorso, il termine legale dettato dal legislatore per la durata ragionevole del processo, a seguito delle modifiche normative sfugge alla possibilità di un autonomo apprezzamento da parte del giudice cui è sottratta la possibilità di discostarsi dalle indicazioni normative.

Ne deriva che i fatti di cui si lamenta l’omessa disamina sono privi del carattere di decisività, in quanto anche a voler reputare che non siano stati considerati dal giudice di merito, tale mancanza non avrebbe comunque potuto portare ad un prolungamento del termine di durata ragionevole del procedimento presupposto.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dei controricorrenti, con attribuzione all’avv. Bruno Guaraldi dichiaratosene anticipatario.

Nulla a disporre quanto alle parti rimaste invece intimate.

Non sussistono i presupposti di legge sul raddoppio del contributo unificato (Cass. n. 2273/2019) come si desume da D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 (conf. Cass. S.U. n. 4315/2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, con attribuzione all’avv. Bruno Guaraldi dichiaratosene anticipatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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