Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19549 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 04/08/2017, (ud. 13/02/2017, dep.04/08/2017),  n. 19549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17906/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A, rappresentata e difesa

dagli avv. Luigi Ferdinando Berardi e Emanuele Coglitore, con

domicilio eletto in Roma, via Confalonieri 5, presso lo studio

dell’avv. Emanuele Coglitore;

– controricorrente-

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna, depositata il 25 maggio 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 febbraio 2017

dal Consigliere Giuseppe Tedesco;

udito l’avv.to dello stato Giovanni Palatiello e Ferdinando Luigi

Berardi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale D.R.L., che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Cassa di Risparmio di Ferrara ha retrocesso alla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara la propria quadreria depositata presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999.

Fu emessa fattura sul corrispettivo della cessione, pari a Euro 2.737.222,00, con versamento dell’Iva al 20%.

La cedente, eseguito il pagamento, ha ritenuto non dovuto il versamento dell’Iva in applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 153 del 1999, artt. 16 e 17 citato e ha chiesto il rimborso dell’imposta.

La vicenda si è risolta in primo grado in senso favorevole per la contribuente, con sentenza poi confermata in grado d’appello dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (Ctr), che ha disatteso la tesi dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui le agevolazioni previste per le operazioni di ristrutturazione delle banche dal D.Lgs. n. 153 del 1999 erano state sospese con il D.L. n. 63 del 2002, art. 5 la cui emanazione fu indotta dalla pronuncia della commissione UE dell’11 dicembre 2001, con la quale il predetto organo considerava il regime fiscale a favore delle banche, introdotto dalla L. n. 461 del 1998 e dal D.Lgs. n. 153 del 1999, incompatibile con la normativa comunitaria sugli aiuti di Stato e ha prescritto all’Italia di sopprimere gli stessi aiuti e adottare i provvedimenti necessari per recuperare dai beneficiari l’importo concesso.

La Ctr ha innanzitutto valorizzato la previsione del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, art. 5, secondo periodo secondo cui la sospensione non aveva riguardato le agevolazioni concesse alle fondazioni bancarie. Ha poi posto l’accento sulle precisazioni fornite dagli uffici della Commissione Europea con nota D/51213 del 9 febbraio 2006; secondo tale nota la decisione della Commissione Europea che imponeva il recupero dell’aiuto, di cui certe banche per effetto delle disposizioni del D.Lgs. n. 153 del 1999 avevano goduto, non riguardava l’Iva eventualmente non contabilizzata da una banca all’atto della retrocessione di beni a una fondazione, in quanto tale esenzione, non avendo favorito direttamente o indirettamente la banca cedente, non costituiva aiuto a favore della stessa banca ai sensi della decisione adottata.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia della entrate, sulla base di un unico motivo, con cui deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 63 del 2002, art. 5 convertito, con modificazioni dalla L. n. 112 del 2000, in quanto la commissione tributaria regionale aveva riconosciuto le agevolazioni sulla base di una norma la cui efficacia era stata sospesa e poi definitivamente travolta dopo la sentenza della Corte di Giustizia che aveva respinto il ricorso del governo Italiano contro la decisione della Commissione del 2001.

La Cassa di Risparmio di Ferrara reagisce con controricorso, nel quale rileva che la decisione della Commissione non imponeva il recupero dell’Iva eventualmente non contabilizzata all’atto della retrocessione di beni da una banca a una fondazione, e non lo imponeva perchè la agevolazione non costituiva aiuto a favore della banca, come chiarito dagli Uffici della Commissione Europea; rileva ancora che la sentenza della Corte di Giustizia aveva riguardato solo le disposizioni normative destinate alle banca e solo negli stessi limiti doveva intendersi disposta la sospensione delle agevolazioni; rileva ancora che la sospensione non era diretta a tutte le fattispecie richiamate dal D.L. n. 153 del 1999, art. 16, comma 3, e in particolare la sospensione non comprendeva l’art. 17, che contemplava il caso della retrocessione a titolo oneroso, quale quella oggetto del presente contenzioso.

La contribuente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso dell’Agenzia delle entrate è fondato. Come già chiarito da questa Suprema corte in una analoga vicenda (Cass. n. 13067/2011) “occorre considerare che la istanza di rimborso si fonda sulla applicabilità del regime di esenzione dall’IVA alla operazione di retrocessione in oggetto, ai sensi del D.Lgs. 17 maggio 1999, art. 16, commi 3 e 17. Senonchè è assodato che il legislatore nazionale, dapprima con il D.L. n. 63 del 2002, art. 5 convertito con modificazioni dalla L. n. 212 del 2002 sospendeva il beneficio in attuazione della decisione della Commissione delle Comunità europee dell’11 dicembre 2001, relativa al regime degli aiuti di stato che l’Italia aveva reso disponibile in favore delle Banche “in attesa della definizione dei ricorsi promossi contro la medesima decisione innanzi alle autorità giudiziarie della Unione Europea” e quindi con la L. n. 21 febbraio 2003, n. 27, di conversione del D.L. 24 dicembre 2002, n. 212, aveva confermato la predetta sospensione ed imposto alle banche che avessero già usufruito delle agevolazioni di versare il corrispettivo oltre interessi.

Da ciò ne consegue, che, in assenza di disposizioni modificative dei predetti provvedimenti normativi, il diritto alla agevolazione era sospeso e pertanto per ciò solo la istanza di rimborso non poteva essere accolta”.

Il fatto che il D.L. n. 63 del 2002, art. 5 avesse disposto la sospensione, e non la revoca delle agevolazioni, si spiega in considerazione della pendenza dei ricorsi presentati innanzi alla Corte di giustizia europea dal governo italiano e da numerose banche avverso la decisione della Commissione UE. Ma la questione è stata poi definitivamente superata, essendo intervenuta, con sentenza depositata il 15 dicembre 2005 (causa C66/02), la decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, che ha rigettato il ricorso della Repubblica Italiana.

Secondo la controricorrente la sospensione D.L. n. 63 del 2000 cit., ex art. 5 non era diretta a tutte le fattispecie richiamate dal D.L. n. 153 del 1999, art. 16, comma 3, e in particolare la sospensione non comprendeva l’art. 17, che contemplava il caso della retrocessione a titolo oneroso dalla banche alle fondazione dei beni non strumentali, quale quella oggetto del contenzioso.

L’assunto è infondato. Il D.L. n. 153 del 1999, art. 14 prevedeva: “le società conferitarie possono procedere a operazioni di scorporo, mediante scissione o retrocessione a favore della fondazione o della società conferente (…). La retrocessione è effettuata mediante assegnazione, liquidazione, cessione diretta (…), secondo le disposizioni degli artt. 16, 17 e 18”.

L’art. 16, commi 3 e 5, prevedeva uno specifico regime civilistico e fiscale per le operazioni di scorporo dalla società bancarie mediante assegnazioni dei beni e delle partecipazioni oggetto dell’agevolazioni, e cioè i beni e le partecipazioni non strumentali ricevute per effetto dei conferimenti ex lege 30 luglio 1990, n. 218.

In particolare, dal punto di vista fiscale, l’art. 16, comma 3 prevedeva che l’assegnazione di cui trattasi non dava luogo a componenti positive o negative di reddito, nè ai fini Irpeg, nè ai fini Irap, nè l’operazione risultava rilevante ai fini dell’Imposta sul valore aggiunto.

L’art. 17 a sua volta prevedeva: “le società deliberano la cessione diretta prevista dall’art. 14, comma 1, se a titolo gratuito, con le modalità e gli effetti e nel rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 16 per le operazioni di scorporo mediante assegnazione. Se la cessione diretta è titolo oneroso, si producono gli effetti previsti dal medesimo art. 16, commi 3 e 5.

Così ricostruito il quadro normativo di riferimento è facile rilevare che i commi dell’art. 16 cui l’art. 17 rinvia sono fra le disposizioni del D.Lgs. n. 153 del 1999espressamente sospese dal D.L. n. 63 del 2002, per cui il rinvio è stato privato di qualsiasi rilevanza; nè occorreva, perchè si sortisse tale risultato, che fra le disposizioni sospese fosse compreso anche l’art. 17. La norma non ha sospeso l’art. 17, così come non ha sospeso l’art. 14 e i restanti commi dell’art. 16, perchè la finalità che l’intervento del legislatore si proponeva, per la parte che qui interessa, riguardava esclusivamente le previsioni che garantivano la neutralità fiscale della operazione, in particolare l’art 16, commi 3 e 5. Essendo tale regime applicabile qualunque fosse la via fra quelle previste dalla normativa per realizzare la retrocessione (assegnazione, liquidazione, cessione diretta), al fine di raggiungere l’obiettivo, bastava sospendere quel regime e ne derivava, ipso facto, che la retrocessione perdeva il proprio connotato di neutralità, a prescindere dalle modalità seguite per realizzarla. Una sospensione espressa dell’art 17 non aveva ragione di essere, poichè la neutralità fiscale delle cessioni a titolo oneroso non dipendeva da tale norma, ma dall’art. 16, commi 3 e 5 cui essa rinviava.

In verità, la Ctr, facendo propria la impostazione della banca, ha reputato persistente l’agevolazione in una prospettiva più ampia, fondata sul dato normativo che la sospensione non aveva riguardato le agevolazioni dirette alle fondazioni, se è vero che il medesimo d.l. n. 63 del 2002, art. 5 aveva avuto cura di precisare che rimaneva “fermo quanto disposto dalla citata L. n. 461 del 1990 e dal medesimo D.Lgs. n. 153 del 1999, in ragione del loro regime privatistico (…)”.

A sua volta tale tesi della Ctr fa proprio il convincimento della ricorrente che le agevolazioni cui si riferiva la decisione della Commissione UE dell’11 dicembre 2001 erano solo quelle concesse alle banche, laddove nel caso di specie beneficiaria della neutralità fiscale non era la banca ma la fondazione.

Ma è chiaro che, in questi termini, la Ctr non propone una interpretazione della norma, ma avanza piuttosto una critica al legislatore, che non avrebbe inteso correttamente il senso della decisione della Commissione, estendendo alle fondazioni un provvedimento che, in conformità a quella decisione, avrebbe dovuto riguardare solo le banche.

Ma tale tesi è stata disattesa in modo più che persuasivo dal precedente di questa Suprema forte enunciato in apertura, nel quale si pone in luce come al decreto legge di sospensione delle agevolazioni abbia fatto seguito “la sentenza della Corte di Giustizia in data 15-12-2005, che ha respinto i ricorsi di cui sopra avverso la decisione della Commissione del 2001, concludendo che la disciplina di agevolazione per il sistema bancario, di cui alla L. 23 dicembre 1998, n. 461, e D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153, con esplicito riferimento all’art. 16, costituisce aiuto di stato in violazione dell’art. 87 del Trattato.

Occorre premettere che dalla esposizione delle premesse di fatto di cui ai punti 9 e 10 della sentenza, si ricava 1) che la disposizione in oggetto costituiva un punto qualificante della disciplina dello stato italiano a favore delle banche (il punto 9, comma 2 cita espressamente “la neutralità fiscale per le operazioni di retrocessione all’ente conferente dei beni e cespiti non indispensabili alla realizzazione dell’oggetto sociale già conferiti alle società bancarie in base alla L. n. 218 del 1990 (art. 16, n. 3)” nonchè 2) che tale disposizione rientrava tra quelle censurate dalla Commissione nella decisione impugnata del 2001 (vedi punti 10 e 17).

In tale sentenza, da cui si ricava altresì che l’ipotesi oggi considerata, ovvero la retrocessione di beni non strumentali dalla banche alle Fondazioni era stata fatta oggetto di espressa doglianza da parte dello stato italiano (v. punti 33, 40 ed 84 della sentenza) i giudici comunitari ritengono che il sistema bancario si giovi del regime di agevolazioni, in quanto “interventi i quali in varie forme alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di una impresa.. senza essere sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la stessa natura e producono identici effetti” e “può costituire un aiuto di stato un provvedimento che accordi a determinate imprese una riduzione di imposta o un rinvio del pagamento della imposta normalmente dovuta”.

In particolare osservano che “non rileva, inoltre, al fine del riconoscimento del regime di aiuti, che tale disciplina giovi anche a beneficiare enti che non siano imprese”.

Conclude in via tassativa ed onnicomprensiva, con formulazione cioè che comprende in modo inequivoco anche la ipotesi di cui si tratta, in questi termini (punti 91 e 92 della sentenza):

“nel caso di un regime di aiuti, la Commissione può limitarsi a studiarne le caratteristiche generali, senza essere tenuta ad esaminare ogni singolo caso di applicazione (…) al fine di verificare se detto regime presenti elementi di aiuto.

Nella fattispecie, è pacifico che il congegno fiscale esaminato favorisca le imprese bancarie. La circostanza che eventualmente giovi anche a beneficiari che non siano imprese, non rimette in discussione tale constatazione, sufficiente ai fini dell’applicazione dell’art. 87, n. 1 CE ad un regime di aiuti”.

Nel dispositivo, la Corte europea respinge il ricorso dello stato Italiano, avverso la decisione della Commissione, senza eccezione alcuna.

Il principio enunciato nella citata sentenza è immediatamente applicabile nel sistema giuridico italiano, a causa della ritenuta supremazia del diritto comunitario su quello nazionale (Cass. n.13067/2011 cit.)”.

Al fine di avvalorare la decisione favorevole per la banca la Ctr ha fatto leva – e la relativa considerazione è ripresa nel controricorso sulla risposta fornita dalla Commissione Europea nel 2006 (con la nota n. D/51213 del 9 febbraio) – nella quale “veniva precisato che la decisione della Commissione che impone il recupero dell’aiuto, di cui certe banche hanno beneficiato per effetto delle disposizioni del D.Lgs. n. 153 del 1999 non riguarda l’Iva eventualmente non contabilizzata da una banca all’atto della retrocessione di beni ad una fondazione in quanto tale esenzione, non avendo favorito direttamente o indirettamente la banca cedente, non costituisce in aiuto a favore della stessa banca, ai sensi della decisione predetta”.

Ma al riguardo il collegio condivide pienamente la replica dell’Agenzia delle entrate, secondo cui tale nota della Commissione avrebbe potuto orientare diversamente la scelta del legislatore, magari inducendolo a reintrodurre per le fondazioni le agevolazioni sospese, ma, in assenza di un tale intervento, la nota in esame, priva di efficacia normativa, non basta a circoscrivere la sospensione disposta dal D.L. n. 153 del 1999, art. 5 in termini più ristretti rispetto a quelli imposti dalla portata dell’intervento normativo, nè a far rivivere, le disposizioni sospese.

In verità, anche questo aspetto è stato considerato nel precedente di questa Suprema torte intervenuto in vicenda analoga, dove si chiarisce che la decisione richiamata dalla controricorrente “costituisce un mero opinamento di un organo amministrativo e risulta testualmente contraddetta dal citato provvedimento giurisdizionale, per cui, a parte la controvertibilità nel merito dell’assunto (essendo chiaro che, se un rapporto è esente da IVA, ne traggono vantaggio sia il cedente che il cessionario, i cui rapporti con il Fisco sono autonomi, come dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte sopra menzionata) questo è irrilevante ai fini del decidere.

Deve quindi concludersi che il diritto alla esenzione dall’Iva del rapporto in oggetto rimane definitivamente escluso, ed è irrilevante che la controparte nel rapporto sia o meno, una impresa commerciale.

Con ciò perde rilievo la questione della qualificazione della Fondazione in detto senso, e del relativo onere di prova. Ne consegue che l’assunto della Commissione di secondo grado è errato sul piano del diritto ed inconferente rispetto al tema della decisione (Cass. 13067/2011 cit.)”.

Dalle considerazioni che precedono, sul significato e la portata della sentenza della Corte di Giustizia, ne deriva che la richiesta formulata in via subordinata della banca, di rinvio pregiudiziale alla stessa Corte di Giustizia, non ha ragione d’essere; ma di là di tale rilievo occorre ancora una volta rimarcare che la fattispecie è disciplinata da una normativa interna (quella che ha disposto la sospensione delle agevolazioni), il cui contenuto non pone alcun problema interpretativo rilevante ai fini del rinvio.

In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve quindi essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con reiezione del ricorso ella società contribuente.

Le inevitabili incertezze derivanti dalla novità della questione giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

 

accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo della società contribuente; dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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