Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19547 del 24/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 19547 Anno 2018
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIANLUCA

ORDINANZA

sul ricorso 2622/2014 proposto da:
MELI GIOVANNI, nella qualità di erede di Basile Giuseppe,
rappresentato e difeso in forza di procura speciale rilasciata a
rildrgine dell’atta ai intervento dagli AvvQti Solvetore Galvagnn
A

Giuseppa Canniz7arn í einttivamente domicillato in Roma via

Guido Aifani 29, presso lo studio dell’avvocato Gianmarco

Panetta;
– ricorrente contro
SALPIETRO AGOSTINA, SALPIETRO MARIA, AVELLINA MARIA e
SALPIETRO NUNZIO, rappresentati e difesi in forza di procura
speciale rilasciata in calce al controricorso dall’Avvocato Antonino
Uccellatore, elettivamente domiciliati in Roma, Via Dei Dardanelli
46, presso lo studio dell’Avvocato Maurizio Spinella;
– controricorrenti –

q4))
DZ

Data pubblicazione: 24/07/2018

avverso la sentenza n. 914/2013 della Corte d’appello di Catania,
depositata il 6 maggio 2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16 febbraio 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso;
vista la memoria difensiva depositata dal ricorrente ex art. 380

Ritenuto che con atto di citazione notificato in data 6
dicembre 1999 Giuseppe Basile conveniva, dinanzi al Tribunale di
Catania, sezione distaccata di Adrano, Alfio Salpietro, Angela
Roccella, Annetta Scarlata, Rita Scarlata e Antonino Scarlata
esperendo azione di regolamento di confini. Esponeva, in fatto, di
essere proprietario di un fondo rustico (sito in Adrano, località
Passo Zingaro, Rivolita, in catasto al foglio 9, particelle 90, 91,
92, 93, 94 e 95, nonché 32, 96 e 97) confinante con i terreni di
proprietà Salpietro (part.98) e Roccella-Scarlata (particelle 30,
10, 29 e 40) e che la linea di confine tra i predetti fondi non
risultava materializzata, sicché spesso erano sorte contestazioni
sulla sua esatta delimitazione. Tanto premesso, chiedeva
determinarsi il confine tra i terreni, nonché ordinarsi l’apposizione
dei termini ex art. 951 c.c., con condanna dei convenuti al
pagamento del spese di giudizio.
che si costituiva Alfio Salpietro eccependo la presenza di
segni visibili di confine tra il proprio fondo e quello di proprietà
Basile, affermando che gli stessi erano riproduttivi del confine
catastale;
che si costituivano altresì Angela Roccella, Annetta Scarlata,
Rita Scarlata e Antonino Scarlata, i quali esponevano di aver
posseduto il loro terreno sin dal 1960, così perfezionandone
l’usucapione, deducendo, in ogni caso, che il confine tra il fondo e

bis 1 c.p.c.

la proprietà Basile era certo e visibile, chiedendo il rigetto della
domanda;
che dichiarati decaduti i convenuti Roccella-Scarlata dalla
riconvenzionale di usucapione – proposta con la costituzione in
udienza di trattazione – la causa veniva istruita con produzioni

una consulenza tecnica d’ufficio;
che il giudizio veniva dichiarato interrotto per la morte di
Paio Salpietro e riassunto nei confronti degli eredi, Maria
Avellina, Maria Salpietro, Agostina Salpietro e Nunzio Salpietro, i
quali si costituivano insistendo nelle precedenti difese;
che il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Adrano, con
sentenza depositata il 30 maggio 2007, accoglieva la domanda
dell’attore, individuando la linea di confine tra i fondi in
conformità a quella indicata dal Basile e recepita in seno alla
CTU;
che con atto di appello notificato in data 12 luglio 2008
Maria Avellina, Maria Salpietro, Agostina Salpietro e Nunzio
Salpietro impugnavano la pronuncia di prime cure, per avere
errato il giudice nell’individuazione del confine;
che il giudizio veniva riunito per connessione ad altro
pendente tra le medesime parti, avente ad oggetto l’appello della
sentenza n. 47/07, resa dal Tribunale di Catania, sezione
distaccata di Adrano, che, in accoglimento delle difese
dell’odierno ricorrente, aveva rigettato la domanda di usucapione
proposta dagli Avellina-Salpietro, affermando che costoro non
avevano acquistato a titolo originario la pretesa porzione di
terreno a confine tra i fondi, coincidente con quella vantata in
proprietà dal Basile nell’odierno procedimento;
che, con sentenza depositata il 6 maggio 2013, la Corte
d’appello di Catania ha riformato la pronuncia di prime cure,

documentali, assunzione di prova per testi ed espletamento di

indicando un confine diverso da quello stabilito dal Tribunale e
dichiarando inammissibile la domanda di usucapione formulata
dagli appellanti;
che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso
Giuseppe Basile sulla base di tre motivi;

Nunzio Salpietro si sono costituiti con controricorso;
che nelle more del giudizio di cassazione si è costituito
Giovanni Meli, nella qualità di erede di Giuseppe Basiie.
Considerato che in via preliminare va rilevata l’ammissibilità
della costituzione dell’erede nel corso del giudizio di legittimità,
stante la rituale notifica dell’atto di intervento ai controricorrenti.
Nel giudizio di cassazione, essendo ininfluente la sopravvenuta
perdita di capacità della parte, il successore che intenda
parteciparvi può farlo con atto d’intervento che dev’essere
notificato alla controparte per assicurare il rispetto del
contraddittorio, non essendo sufficiente il mero deposito di un
atto nella cancelleria della S.C., stante l’esigenza di assicurare
una forma simile a quella del ricorso e del controricorso (Cass. 22
febbraio 2016, n. 3471; Cass. 31 marzo 2011, n. 7441);
che con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 950 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c.
e all’art. 115 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.). Secondo
quanto evidenziato, la Corte d’appello ha fondato il proprio
convincimento sull’inattendibilità della linea di confine, indicata
nei dati catastali, su una perizia di parte versata in atti solo in
secondo grado, tralasciando di rilevare che, nel corso del primo
grado di giudizio, nulla era stato allegato dagli Avellina-Salpietro
a supporto delle avverse affermazioni – avendo, anzi, parte
convenuta espressamente sostenuto, all’atto della costituzione,
l’attendibilità del confine catastale – in violazione dell’onere

che Agostina Salpietro, Maria Salpietro, Maria Avellina,

probatorio sulla stessa incombente. Si evidenzia, inoltre, che,
contrariamente a quanto affermato in sentenza, la consulenza
tecnica d’ufficio espletata in prime cure non ha confermato
l’esistenza di una linea di confine diversa da quella dei dati
catastali, in quanto la linea alternativa presa a fondamento della

perizia d’ufficio, che invece si conclude con l’affermazione della
correttezza del confine indicato dal ricorrente. Nessun rilievo
avrebbero inoltre- le ulteriori risultanze istruttorie poiché il téste
Antonino Schilirò, contrariamente a quanto affermato in
sentenza, non ha fornito alcun elemento chiarificatore sulla
consistenza della linea di confine;
che con il secondo motivo si deduce – in relazione all’art.
360, comma 1, n. 5 c.p.c. – l’omesso esame di un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti,
avendo la Corte d’appello omesso di esaminare la circostanza
fattuale, oggetto di contrasto tra le parti e, pur tuttavia, provata
in giudizio, dell’assenza di segni visibili di confine tra i due fondi
di causa. Detta circostanza, sostenuta dall’attore sin dal
momento di instaurazione del giudizio e negata espressamente
da controparte, veniva smentita dalle risultanze di causa, come
accertato dal CTU in primo grado. Il vizio di motivazione sarebbe
altresì apprezzabile per avere la Corte d’appello omesso di
esaminare le circostanze controverse confermate o smentite dai
numerosi testi escussi in giudizio. In particolare, sarebbe stata
del tutto ignorata la dimostrata coincidenza del confine con le
risultanze catastali e la Corte avrebbe omesso di esaminare il
fatto decisivo per cui il confine sostenuto dalla parte attrice, in
precedenza all’esperimento dei mezzi istruttori, ha un andamento
rettilineo, coincidente con quello catastale e, pertanto, non

decisione è il frutto della dichiarazione di parte contenuta nella

smentito dai testi escussi, ma, al contrario, da questi
reiteratamente asseverato;
che i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati;
che la consulenza di parte costituisce una semplice
allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui

perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi
consentita anche in appello (Cass. 24 agosto 2017, n. 20347;
Cass., Sez. U, 3 giugno 2013, n. 13902), per cui nel caso di
specie non risulta maturata alcuna preclusione;
che le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio
non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può
legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione
critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti
congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice
indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli
argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi
probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici
per addivenire alla decisione contrastante con il parere del
consulente (Cass. 3 marzo 2011, n. 5148);
che nel caso di specie la Corte d’appello ha dato conto delle
ragioni per le quali non ha ritenuto di identificare la linea del
confine con quella catastale, bensì con quella contrassegnata al
n. 2 della planimetria allegata alla CTU e coincidente con quella
descritta dal consulente di parte del Salpietro, geom. Sanfilìppo
nella relazione depositata il 23 luglio 2008, sulla base di ulteriori
elementi messi in luce dallo stesso consulente e non presi in
considerazione dal Tribunale (enorme difformità tra l’andamento
della strada e i confini catastali; elementi distinguibili sui luoghi;
rilievi del consulente tecnico di parte sull’andamento planimetrico

produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e

della linea di confine catastale; prove testimoniali rese nel corso
del giudizio);
che la deduzione riguardante l’errata valutazione della
prova testimoniare di Antonino Schilirirò, riportata in copia
fotostatica nel corpo del ricorso, difetta sia di specificità,

dell’escussione del testimone, sia del carattere della decisività, lì
dove la Corte d’appello ha fatto riferimento anche a ulteriori
elementi probatori per trarre conferma dell’esatta linea di confine
tra i fondi;
che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n.
5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con
modif., dalla I. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel
ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e
insufficienza della motivazione della sentenza di merito
impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione
resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo
costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.,
individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione
dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della
sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito
essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione
apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di
“motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali
il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame
di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e
che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della
controversia (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940 . Cass., Sez. U, 7
aprile 2014, n. 8053);
che le circostanze dedotte dalla parte con riferimento alle
contraddizioni che risulterebbero dall’esame delle dichiarazioni

mancando il riferimento specifico alle domande poste nel corso

testimoniali e dalla valutazione dei diversi dati documentali
acquisiti al giudizio non sono riconducibili al nuovo testo dell’art.
360, comma 1, n. 5, c.p.c., avendo la Corte d’appello fatto
riferimento nella sua motivazione alle ragioni per cui il confine
rappresentato dalla linea retta – cui fa ripetutamente riferimento

l’esatto confine tra le due proprietà (incongruenze tra talune
deposizioni testimoniali, la documentazione e le perizie prodotte,
nonché l’assistenza in loco di elemehti chiaramente distinguibili);
che, a fronte di una articolata ricostruzione dei fatti
compiuta alla Corte d’appello sulla base degli elementi
documentali prodotti dalle parti, dell’accertamento tecnico
d’ufficio e delle prove testimoniali, il ricorrente prospetta una
diversa ricostruzione dei fatti, chiedendo alla Corte di legittimità
di effettuare una loro inammissibile rivalutazione;
che con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 91 c.p.c. poiché la Corte d’appello avrebbe
dovuto stabilire la soccombenza della parte appellante e,
pertanto, condannarla a sopportare integralmente il costo di
entrambi i gradi di giudizio;
che il motivo è infondato, avendo la Corte d’appello stabilito,
con apprezzamento non sindacabile in sede di legittimità, la
compensazione parziale delle spese del gravame in ragione
dell’esito degli appelli, essendovi stato un accoglimento parziale
delle domande, non modificando la decisione sulle spese in prime
cure;
che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate
come da dispositivo;
che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre

parte ricorrente – non è stato considerato al fine di stabilire

2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo

impugnazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condahna parte ricorrente al
pagamento delle spese di lite che liquida in C 1500,00, di cui euro
200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012,
dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione civile, il 16 febbraio 2018.
Il Presidente

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DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

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