Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19545 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. I, 18/09/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 18/09/2020), n.19545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34545/2018 proposto da:

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.O.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3838/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2020 dal Consigliere VELLA Paola.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, proposta dal cittadino nigeriano F.O., nato a (OMISSIS), il quale aveva dichiarato di essere fuggito dal suo Paese per timore dei musulmani che avevano ucciso i due cani e distrutto la casa del Pastore della locale Chiesa pentecostale di cui egli era assistente, affermando altresì “di non essere ricorso alla pubblica autorità per timore di perdere la vita ad opera della polizia”.

La Corte di appello di Milano ha accolto parzialmente l’appello del ricorrente, riconoscendo il solo diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Avverso tale decisione il Ministero dell’interno ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo. L’intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il Ministero denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere la Corte d’appello accolto la domanda di tutela umanitaria nonostante la mancanza di seri motivi e di profili di vulnerabilità soggettiva in capo al richiedente.

3. Il motivo merita accoglimento, alla luce della sopravvenuta decisione delle Sezioni Unite che, nel dare continuità all’orientamento inaugurato da Cass. 4455/2018, con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019 hanno affermato i principi di diritto così massimati:

1) “Il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge”.

2) “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”.

4. Invero, la corte d’appello ha fondato il riconoscimento della protezione umanitaria sul fatto che “il rimpatrio del ricorrente nel paese di origine comporterebbe la rottura delle relazioni e delle attività che hanno consentito a F.O. l’integrazione nel nuovo sistema sociale in Italia, ove il ricorrerne si trova da più di tre anni, esponendolo a un nuovo sradicamento per riportarlo nel Paese dal quale si è definitivamente allontanato, e quindi a una situazione di sostanziale isolamento sociale e di grave precarietà economica, anche considerato il grado elementare di scolarizzazione”. Tutto ciò tenuto conto della sua attività di collaboratore domestico a tempo indeterminato, della frequenza di un corso di formazione in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro e della sua integrazione nella comunità guidata dal Pastore della Chiesa dei redenti in Dio di Genova. Peraltro, la stessa corte territoriale ha dato atto: di come il tribunale avesse ritenuto il richiedente “assolutamente non credibile”; di come questi avesse dapprima affermato in sede amministrativa, e poi negato in sede giudiziale, di essere in contatto con i famigliari che vivono a (OMISSIS) (genitori, tre fratelli e tre sorelle); di come il ricorrente non avesse in alcun modo documentato l’esistenza dei disturbi psichici affermati dal difensore.

4.1. Così facendo, il giudice a quo non ha operato, in concreto, quell’adeguata “valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine”, cui le Sezioni Unite hanno assegnato “rilievo centrale”, al precipuo scopo “di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”.

4.2. Deve infatti escludersi non solo che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari possa essere riconosciuto allo straniero “considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia”, ma anche che esso possa riconoscersi “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza”, poichè altrimenti si avrebbe riguardo “non già alla situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto a quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; conf. ex multis Cass. 630/2020).

4.3. In proposito questa Corte ha chiarito che la necessaria verifica può essere effettuata dal giudice anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi, purchè però il ricorrente abbia assolto l’onere di allegare i fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019).

5. La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio affinchè la Corte d’appello, in diversa composizione, effettui in concreto la valutazione comparativa ritenuta indispensabile dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione all’invocata protezione umanitaria riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) statuendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

 

 

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