Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19543 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. III, 08/07/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 08/07/2021), n.19543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33149-2019 proposto da:

A.A., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato ROSA

VIGNALI;

– ricorrenti –

nonché contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1387/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.A., cittadino del (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza il richiedente dedusse di esser fuggito dal proprio paese per le minacce e persecuzioni subite da parte dei suoi fratellastri.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento A.A. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Firenze, che con ordinanza del 4 maggio 2018 rigettò il reclamo. Il Tribunale ritenne:

a) inattendibile il racconto del richiedente;

b) infondata la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, perché il richiedente non aveva dedotto alcun fatto di persecuzione grave e personale;

c) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria, perché nella regione di provenienza non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché l’istante non aveva ne allegato, ne provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sei dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 1387/2019 pubblicata il 10 giugno 2019.

La Corte ha ritenuto l’appello inammissibile prima ancora che infondato per la mancanza di elementi di contestazione specifici.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da A.A. sulla base di un unico motivo di ricorso.

Il Ministero dell’Interno si costituisce senza spiegare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c., in quanto la Corte d’appello avrebbero erroneamente ritenuto inammissibile l’atto di appello per mancanza di specificità degli elementi contestati della pronuncia di prime cure. Circa il merito, il ricorrente censura la pronuncia di seconde cure nella parte in cui ha ritenuto infondata la domanda di protezione internazionale nelle sue tre forme.

Il motivo è fondato.

Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. S. U. n. 2719972017).

Inoltre il diritto processuale, come quello sostanziale, non può non essere interpretato anche alla luce delle regole sovranazionali imposte dal diritto comunitario. Tra queste vi è l’art. 6, comma 3, del Trattato sull’Unione Europea (c.d. “Trattato di Lisbona”, ratificato e reso esecutivo con L. 2 agosto 2008, n. 130), il quale stabilisce che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (…) fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”. Per effetto di tale norma, dunque, i principi della CEDU sono stati “comunitarizzati”, e sono divenuti “principi fondanti dell’Unione Europea”. Tra i principi sanciti dalla CEDU vi è quello alla effettività della tutela giurisdizionale, sancito dall’art. 6 CEDU. Nell’interpretare tale norma, la Corte di Strasburgo (CEDU) ha ripetutamente affermato che il principio di effettività della tutela giurisdizionale va inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile, essere esaminata sempre e preferibilmente nel merito. Ciò vuol dire che gli organi giudiziari degli Stati membri, nell’interpretazione della legge processuale, “devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta applicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dall’art. 6 della CEDU del 1950”. In applicazione di questi principi, la sentenza pronunciata da Corte EDU, II sezione, 28.6.2005, Zednik c. Repubblica Ceca, in causa 74328/01, ha affermato che le cause di nullità o di inammissibilità “non possono restringere l’accesso alla giustizia al punto tale da che sia vulnerata l’essenza stessa del diritto fatto valere. Inoltre, (le cause di nullità od inammissibilità) si conciliano con l’art. 6, p. 1, della Convenzione solo se perseguono un fine legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo avuto di mira”. Ed in questo senso si sono altresì pronunciate Corte EDU, I sez., 21.2.2008, Koskina c. Grecia, in causa 2602/06; e Corte EDU, sez., 24.4.2008. Kern), c. Granducato di Lussemburgo, in causa 17140/05. 1.7.

Alla luce di tali principi, che tanto più devono essere applicati in materie come quella in esame, deve concludersi che l’art. 342 c.p.c., nella sua attuale formulazione: non esiga dall’appellante alcun “progetto alternativo di sentenza”; -) non esiga dall’appellante alcun vacuo formalismo fine a se stesso; -) non esiga dall’appellante alcuna trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata o di parti di essa.

6. Pertanto la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata, come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata, come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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