Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19542 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 23/09/2011), n.19542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

la s.r.l. PUBBLIKAPPA (già “PUBBLIKAPPA s.n.c. di Antonio Nespolo

&

C”), con sede in (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma alla Via G. Palumbo n. 26 (c/o “E.P. spa”) insieme con l’avv.

GAETA Giulio (del Foro di Napoli) che la rappresenta e difende in

forza della “procura speciale” rilasciata a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 206/51/05 depositata il 18 novembre 2005 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 giugno 2011

dal Cons. Dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Alessandro DE

STEFANO (dell’Avvocatura Generale dello Stato) per l’Agenzia, e

dall’avv. Giulio GAETA, per la società;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. SEPE

Ennio Attilio, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso

(“in subordine”, per l’accoglimento “p.g.r.”).

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.r.l. PUBBLIKAPPA (già “PUBBLIKAPPA s.n.c. di Antonio Nespolo S C”), l’Agenzia delle Entrate – premesso che l’Ufficio aveva iscritto a ruolo la somma di “L. 172.195.000” esposta da detta società “a debito” nella dichiarazione IVA relativa all’anno 1994 perchè non versata e che il “concessionario della riscossione” aveva notificato la relativa cartella (comprensiva delle somme dovute a titolo di interessi e di sanzioni) il primo marzo 2001 -, in forza di un solo motivo, chiedeva di cassare la sentenza n. 206/51/05 della Commissione Tributaria Regionale della Campania (depositata il 18 novembre 2005) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (728/33/01) della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la quale aveva accolto l’impugnazione di detta cartella “perchè l’imposta iscritta a ruolo … non corrisponde a quella indicata dal contribuente … in quanto l’Ufficio non ha defalcato dall’IVA a debito la somma di L. 1.636.000 già versata”.

La società intimata instava per la declaratoria di inammissibilità e, in subordine, per il rigetto dell’avverso gravame; la stessa depositava, altresì, memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. La sentenza impugnata.

La Commissione Tributaria Regionale, “respinta l’eccezione di improcedibilità” dell’appello “sollevata dalla società”, ha disatteso il gravame dell’ufficio per queste ragioni:

– “l’iscrizione a ruolo risulta errata nella quantificazione sia dell’imposta che della sanzione” non avendo l’Ufficio “tenuto conto della somma di L. 1.636.000 versata … per il mese di febbraio 1994”;

– “l’operato … difetta di rigore e di certezza” perchè “l’Ufficio”, per non violare “il diritto del contribuente di proporre ricorso”, “avrebbe dovuto” notificare “autonomo avviso di accertamento”.

2. Il ricorso dell’Agenzia.

Questa denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1912, n. 633, artt. 54 e 60 e dei principi generali in tema di contenzioso tributario” osservando:

– “il contenzioso tributario non è limitato a profili di legittimità dell’atto impugnato, ma è esteso al merito del rapporto” per cui “il giudice tributario”, ravvisata “una divergenza tra l’importo indicato nell’atto impugnato e quello effettivamente dovuto”, “non può limitarsi a dichiarare l’illegittimità della pretesa impositiva ma deve … rideterminare l’effettivo credito dell’amministrazione”;

– “contrario ad elementari regole giuridiche è poi l’assunto secondo cui l’Ufficio per poter iscrivere a ruolo una somma diversa da quella dichiarata dovuta a vrebbe dovuto emettere un avviso di rettifica della dichiarazione resa dal contribuente” in quanto “qualora l’Ufficio si limiti a contestare … il versamento dell’imposta sulla base degli stessi dati esposti dal contribuente le somme dovute sono direttamente iscritte a ruolo ai sensi dell’art. 60” detto: “la contestazione della somma iscritta a ruolo”, infatti, non “può comportare lo snaturamento del potere esercitato e la trasformazione dell’iter … previsto dalla legge”.

p. 3. Il controricorso della contribuente.

La società oppone:

– avendo (1) “la Commissione Tributaria Provinciale” (“sentenza n. 728 … dep. li 8 febbraio 2002” accolto (“accoglieva”) il “ricorso” ed annullato (annullava) “la cartella” per avere rilevato (“rilevando”) (a) che essa “società aveva prodotto in giudizio la ricevuta dei versamenti” e (b) “in diritto, l’intervenuta decadenza” e (2) la Commissione Tributaria Regionale omesso (“non essendosi …

pronunciata”) di esprimersi “sulle altre eccezioni formulate da essa società … e dall’Ufficio …, dette eccezioni e motivazioni” (“che non vengono riproposte in questa sede di legittimità”) “acquistano autorità di cosa giudicata”;

– “il ricorso dell’Agenzia … è inammissibile” perchè “non risulta parte in causa il Ministero dell’Economia e Finanze al quale …

sarebbe spettato il potere di impugnare la sentenza della CTR”;

– “altra inammissibilità del ricorso … si rileva dalla circostanza” che “nulla risulta eccepito sulla dichiarata illegittimità dell’iscrizione a ruolo per intervenuta decadenza rilevata dai giudici di prime cure”;

– “la materiale liquidazione dell’Imposta effettivamente dovuta …

non può essere oggetto del presente giudizio in quanto trattasi di questione di merito, peraltro decisa anch’essa dai giudici di primo grado, non riesaminata da quelli della CTR e pertanto la declaratoria dei conteggi effettuati dall’Ufficio, desumibile dalla motivazione dei giudici della CTP, costituisce cosa giudicata”;

– “il motivo … concernente l’obbligo per l’Ufficio di procedere, nell’ipotesi in esame ad avviso di rettifica” è infondato “attesa la necessità di consentire una completa difesa in ordine alle richieste di versamenti d’imposta …, peraltro nel caso in esame, risultati errati, attraverso il controllo dei calcoli eseguiti che devono essere contenuti in un atto di rettifica della dichiarazione”.

p. 4. Le ragioni della decisione.

Il ricorso deve essere accolto.

A. L’eccezione di inammissibilità dello stesso, sollevata dalla società, è priva di pregio.

Anche la contribuente, infatti, ricorda che la “cartella di pagamento” oggetto della controversia è stata notificata il “primo marzo 2001” – quindi in epoca nella quale, essendo già operativa (dal primo gennaio 2001) in base al D.M. 28 dicembre 2000, art. 1, l’Agenzia delle Entrate (istituita, con le altre “agenzie fiscali”, dal titolo quinto, capo secondo, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300) (1) era succeduta al Ministero nei rapporti, sostanziali e processuali, in corso a quel momento e (2) era divenuta titolare esclusiva dei rapporti tributari (e, pertanto, unica legittimata processualmente) sorti successivamente alla data detta di sua operatività -, per cui la “cartella” detta deve considerarsi emessa per conto dell’Agenzia stessa e non già dell'(ormai inesistente) “Ufficio IVA di Napoli”, erroneamente ritenuto dalla società ancora ente impositore.

B. Pure l’adombrata (perchè non univocamente espressa) eccezione di giudicato interno in ordine alla intervenuta “decadenza” dell’Ufficio si rivela infondata.

Nella sentenza 728/33/01 (sull’impugnazione della quale la CTR ha emesso la pronuncia cui gravata), depositata con la memoria ex art. 378 c.p.c., infatti, la CTP di Napoli scrive: “l’Ufficio era tenuto … ad una rettifica da portare a conoscenza del contribuente non già con la notifica della cartella di pagamento, ma con la notifica di un autonomo atto di accertamento, facendo salvo il diritto del contribuente di proporre ricorso avverso lo stesso: ma a tanto l’Ufficio non ha provveduto, restando inattivo e notificando la cartella esattoriale dopo che ormai era decorso il prescritto termine di legge per una eventuale azione accertatrice, incorrendo in tal modo, nella decadenza dalla stessa”.

La “decadenza” (per essere restato “inattivo”) affermata dal giudice di primo grado, all’evidenza, afferisce soltanto alla “azione accertatrice” che l’Ufficio, secondo lo stesso giudice, avrebbe dovuto porre in essere: l’avvenuta contestazione (non negata dalla contribuente), con l’appello proposto, della necessità, nel caso, di quell'”azione”, naturalmente, ha impedito la formazione di qualsivoglia giudicato sul punto atteso che l’accertamento della necessità di detta “azione” costituisce l’indispensabile presupposto logico e giudico della ritenuta “decadenza”.

C. La tesi (essenzialmente sostenuta ancora dalla società nel proprio controricorso) secondo cui “l’Ufficio”, per non violare “il diritto del contribuente”, “avrebbe dovuto” notificare “avviso di accertamento” è giuridicamente erronea atteso che l’art. 54 bis (aggiunto dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 14) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (“liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni”) consente all'”amministrazione finanziaria”;

(1) di “procede(re)”, “avvalendosi di procedure automatizzate”, direttamente alla “liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti” ovverosia di svolgere il “controllo c.d. formale” (“meramente liquidatorio”) della dichiarazione, nonchè;

(2) di “provvede(re)”, “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria”, a (2a) “correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione del volume d’affari e delle imposte”, (2b) “correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni” e (2c) “controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione annuale a titolo di acconto e di conguaglio nonchè dalle liquidazioni periodiche di cui all’art. 27, art. 33, comma 1, lett. a), e art. 74, comma 4” (“rettifica” c.d. “cartolare” della dichiarazione).

Dal complesso normativo (come dall’identico, contenuto nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis) discende che l’Ufficio può esercitare il potere previsto senza necessità di preventiva comunicazione, salvo che (comma 3) “dai controlli automatici eseguiti” non emerga “un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione” in tale ipotesi essa impone all’Ufficio di comunicare (“è comunicato”) “l’esito della liquidazione … ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 60, comma 6, al contribuente, nonchè per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali e la segnalazione all’amministrazione di eventuali dati ed elementi non considerati nella liquidazione”.

Nel caso sia l’iscrizione a ruolo che l’emissione della cartella non conseguono neppure ad una rettifica (cartolare) della dichiarazione in sede di controllo ma soltanto all’assunto omesso (o insufficiente) pagamento delle imposte dichiarate dalla società per cui difettano del tutto i presupposti, normativi e fattuali, legittimanti l’emissione dell’avviso di accertamento preteso dalla contribuente.

D. Il fatto, poi, che l’Ufficio, al momento dell’iscrizione a ruolo, non abbia “tenuto conto della somma di L. 1.636.000 versata … per il mese di febbraio 1994”, diversamente da quanto operato dai giudici del merito, non determina la caducazione dell’intera iscrizione a ruolo ma solo la sua illegittimità per la parte già versata atteso che il processo tributario, come ancor di recente ribadito (Cass., trib., 1 settembre 2009 n. 19079, che ricorda “Cass. 15825/06, 17127/07”), “non è annoverabile tra quelli di impugnazione- annullamento, ma tra i processi di impugnazione-merito, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’Ufficio”: discende che “il giudice tributario”, “ove … ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale”, “non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte”.

Nel caso, quindi, il giudice del merito è venuto meno al suo compito istituzionale perchè – accertato (ormai in via definitiva, non essendo stato oggetto di impugnazione il punto) il parziale errore in cui è incorso l’Ufficio nell’operare l'”iscrizione a ruolo” – doveva provvedere ad eliminarlo con acconcia pronuncia.

La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata: la causa non abbisogna di nessun ulteriore accertamento fattuale essendo pacifico che l’imposta effettivamente dichiarata come dovuta dalla contribuente ammonta a L. 170.599.000 (data dalla detrazione, dalle L. 172.195.000 dichiarate “a debito”, delle L. 1.636.000 versate), per cui la stessa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., deve essere aderentemente decisa da questa Corte con declaratoria di illegittimità della cartella impugnata per le somme a titolo di imposta eccedenti le L. 170.599.000 (e consequenziale, aderente riduzione delle sanzioni e degli interessi).

p. 5. Delle spese processuali.

Le spese dell’intero giudizio vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, annulla la cartella impugnata nei limiti delle somme, ivi indicate a titolo di imposta, superiori a L. 170.599.000 nonchè di quelle dovute per sanzioni e interessi sugli stessi importi superiori; compensa integralmente tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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