Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19541 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/07/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 19/07/2019), n.19541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13236/2018 R.G. proposto da:

C.D. e Ca.Ro., rappresentati e difesi

dall’Avv. Carlo Pagani, con domicilio eletto in Roma, viale Mazzini,

n. 6, presso lo studio dell’Avv. Pasquale Scrivo;

– ricorrente –

contro

Italfondiario S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo

Trombini, con domicilio eletto in Roma, Via Luigi Lilio, n. 95,

presso lo studio dell’Avv. Carsillo Teodoro;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia, n. 70/2018,

depositata il 25 gennaio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 aprile 2019

dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Pronunciando sull’azione revocatoria ordinaria proposta da Italfondiario S.p.A., quale mandataria della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A., nei confronti di C.D. e Ca.Ro., a tutela della garanzia patrimoniale del credito vantato nei confronti del primo (quale fideiussore della IVEF di C.S. & C. s.n.c.), il Tribunale di Mantova, con sentenza depositata l’8/7/2014, dichiarò inopponibile, nei confronti dell’attrice, l’atto con il quale il C. aveva donato alla moglie, Ca.Ro., la propria quota indivisa del 50% di comproprietà di un immobile.

2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’appello interposto dai soccombenti, condannandoli alle spese del grado.

3. Avverso tale decisione C.D. e Ca.Ro. propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resiste Italfondiario S.p.A. depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

La contro ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che fosse onere dei convenuti in revocatoria fornire la prova della capienza del patrimonio del disponente e per avere, comunque, ritenuto insussistente tale prova: a tal ultimo riguardo lamentano in particolare che erroneamente i giudici d’appello hanno ritenuto che la titolarità di partecipazioni sociali sia inadeguata ad assicurare ai creditori la garanzia patrimoniale del debitore.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione delle medesime disposizioni codicistiche, oltre che dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che il requisito soggettivo della scientia damni fosse insito nella mera volontarietà dell’atto di disposizione e che fosse irrilevante ogni altro aspetto soggettivo, stante la posteriorità dell’atto rispetto al sorgere del credito e stante la mancanza, nel patrimonio del disponente, di altri beni immobili.

3. I motivi, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono inammissibili, ai sensi dell’art. 360-bis.1 c.p.c..

La Corte d’appello ha invero deciso in piena conformità a consolidata giurisprudenza di questa Corte dalla quale le censure dedotte non offrono elementi per discostarsi.

Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui “in tema di azione revocatoria ordinaria non è richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso. Tale rilevanza quantitativa e qualitativa dell’atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore” (cfr. Cass. 19/07/2018, n. 19207; 25/05/2017, n. 13172; 03/02/2015, n. 1902; 09/02/2012, n. 1896; 29/03/2007, n. 7767; 18/03/2005, n. 5972).

La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati, ai quali in particolare si conforma il rilievo attribuito anche alla mutata consistenza quali/quantitativa della garanzia patrimoniale, nella specie discendente, da un lato, dalla alienazione, a titolo gratuito, dell’unica quota di diritto immobiliare di cui il debitore era proprietario e, dall’altro, dalla cessione della propria quota di partecipazione in società in nome collettivo accompagnata dal contesto all’acquisto di quota del 50% di altra società, infine ceduta verso il corrispettivo di Euro 60.000.

Al riguardo ha infatti evidenziato che l’acquisizione della predetta quota sociale, e poi la sua successiva cessione a titolo oneroso, non hanno determinato l’accrescimento del patrimonio, nè comunque ne hanno mantenuto inalterata l’entità trattandosi di capitale di rischio destinato ad attività d’impresa, conseguentemente esposto ai suoi aleatori risultati.

4. Quanto poi al requisito soggettivo della scientia damni, altrettanto correttamente la Corte d’appello si è conformata al principio, costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, allorchè l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, non è richiesto l’intento frodatorio, nè è necessaria una specifica conoscenza, nel debitore, del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del titolare del credito, essendo sufficiente la consapevolezza del carattere pregiudizievole del proprio comportamento in quanto comunque comportante la riduzione della consistenza del proprio patrimonio, in pregiudizio dei creditori complessivamente considerati (Cass. 29/07/2004, n. 14489; 26/02/2002, n. 2792; 01/06/2000, n. 7262): consapevolezza la cui prova ben può essere fornita anche mediante presunzioni (Cass. 22/03/2016, n. 5618; 30/12/2014, n. 27546; 17/08/2011, n. 17327), quale quella nella specie del tutto ragionevolmente – e comunque insindacabilmente in questa sede, trattandosi di motivata valutazione di merito – utilizzata in sentenza là dove si rileva che “l’atto di donazione è posteriore al sorgere del credito e il C. non era proprietario di altri beni immobili”.

5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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