Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19541 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. I, 18/09/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 18/09/2020), n.19541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30880/2018 proposto da:

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.B.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2195/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2020 dal Consigliere VELLA Paola.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, proposta dal sig. T.B., nato a (OMISSIS), il quale aveva dichiarato di essere giunto in Italia a giugno del 2014, dopo aver lasciato il proprio Paese nel 2013 per il timore di subire la stessa sorte del padre, minacciato da alcuni abitanti del villaggio contrari alla sua nomina a capo dei terreni del villaggio stesso.

La Corte di appello di Milano ha accolto parzialmente l’appello del ricorrente, riconoscendo il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’interno ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo. L’intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il Ministero ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere la Corte d’appello riconosciuto la protezione umanitaria non già in forza di seri motivi integranti una situazione di vulnerabilità, bensì per mere ragioni economiche, segnatamente per il fatto che, rientrando in patria, il richiedente perderebbe l’indipendenza economica peraltro conseguita solo nelle more del giudizio.

3. La censura è inammissibile, poichè non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, finendo per contestarne il merito.

3.1. Invero, nel riconoscere il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, la corte territoriale fa leva su una serie di aspetti di carattere personale, tali da integrare un profilo di particolare vulnerabilità, nel senso che il richiedente “potrebbe subire ripercussioni dannose in caso di rimpatrio” a causa, per un verso, della “negazione dei diritti fondamentali dell’uomo e soprattutto della situazione di estrema difficoltà economica e sociale” esistenti nel Mali, per altro verso della giovane età del richiedente, ormai lontano dal proprio Paese sin dal 2013 e senza più “rapporti con i membri della sua famiglia di origine”; ciò valutato comparativamente con il percorso di integrazione positivamente compiuto in Italia, dove egli ha appreso la lingua italiana, è ospite della comunità in cui lavora e svolge attività di volontariato (fungendo anche da interprete per i nuovi arrivati) ed è in attesa di poter esercitare la professione di mediatore culturale; il tutto sulla scorta della documentazione prodotta dall’interessato e puntualmente valutata dal giudice a quo.

4. Orbene, una decisione così motivata non risulta in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, anche alla luce del recente approdo delle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, hanno affermato i seguenti principi di diritto: 1) “In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.”; 2) “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.

4.1. Le stesse Sezioni Unite hanno quindi ribadito (dando continuità all’orientamento inaugurato da Cass. 4455/2018) che il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere riconosciuto al cittadino straniero “considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia”, e che il diritto non può essere affermato “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (v. Cass. 17072/2018), poichè altrimenti si avrebbe riguardo “non già alla situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto a quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti”, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, dovendosi invece procedere – come si è fatto nel caso di specie – “ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio” (v. Cass. 9304/2019).

4.2. In effetti, il “rilievo centrale” assegnato alla predetta valutazione comparativa ha lo scopo “di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 630/2020); verifica, questa, che il giudice può effettuare anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi, purchè il ricorrente abbia assolto l’onere di allegare i fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019).

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile poichè, “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge (…) mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

6. L’assenza di difese dell’intimato esonera dalla pronuncia sulle spese; occorre invece dare atto della sussistenza, in astratto, dei presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019 e 4315/2020).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

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