Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19537 del 26/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19537 Anno 2013
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 3798-2008 proposto da:
TORTORELLI GIOVANNI TRTGNN20E05F052D, elettivamente
domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato FARAONE VITTORIO giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
1306

contro

SCHIAVONE MARIA LUCREZIA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA E: Q. VISCONTI N. 20, presso lo studio
dell’avvocato ANGELA BUCCICO, rappresentata e difesa

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Data pubblicazione: 26/08/2013

dall’avvocato DE RUGGIERI RAFFAELLO giusta delega in
atti;
– controricorrente nonchè contro

SCHIAVONE AMALIA, SCHIAVONE BATTISTA, SCHIAVONE ANNA

GIOVANNI, SCHIAVONE PAOLA, SCHIAVONE MARTA, SCHIAVONE
LUCIANA, SCHIAVONE VINCENZO, SCHIAVONE ENRICO,
SCHIAVONE LUCREZIA, SCHIAVONE GIUSEPPE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 346/2007 della CORTE D’APPELLO
di POTENZA, SEZIONE AGRARIA, depositata il 21/12/2007,
R.G.N. 569/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/06/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato VITTORIO FARAONE;
udito l’Avvocato MAURIZIO PAGANELLI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

GRAZIA, SCHIAVONE ANTONIO, SCHIAVONE CARLA, SCHIAVONE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso proposto al Tribunale di Matera, Sezione
specializzata agraria, Maria Luisa Sideri (vedova Schiavone),
nonché Luciana, Maria Lucrezia, Vincenzo, Anna Grazia, Enrico,
Lucrezia, Antonio, Giuseppe, Amalia, Carla, Giovanni Battista,

fondi rustici in agro di Matera concessi in affitto a Giovanni
Tortorelli, avendo intimato disdetta al medesimo con lettera
raccomandata, lo convenivano in giudizio affinché fosse
condannato al rilascio dei fondi affittati, col carico delle
spese.
Il convenuto si costituiva, chiedendo il rigetto della
domanda ed avanzando domanda riconvenzionale per il rimborso
di lire 63 milioni a titolo di migliorie per riparazioni
eseguite a seguito del terremoto del 1980.
La Sezione specializzata del Tribunale di Matera, con
sentenza del 14 aprile 2007, dichiarava cessato il contratto
alla data del 6 maggio 1998, condannando il Tortorelli al
rilascio entro il 10 novembre 2007, rigettava la domanda
riconvenzionale e condannava il convenuto alle spese di
giudizio.
2. La pronuncia veniva confermata dalla Corte d’appello di
Potenza, Sezione specializzata agraria, con sentenza del 21
dicembre 2007, con compensazione delle spese del grado.
Osservava la Corte territoriale che, a norma dell’art. 14,
comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 1990, n. 76 – da
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Paola e Marta Schiavone, premettendo di essere proprietari di

SA),S1

interpretare alla luce dell’unico precedente in materia,
costituito dalla sentenza 26 aprile 1999, n. 4158, di questa
Corte la proroga di sedici anni ivi prevista doveva
intendersi come comprensiva di quella di cui all’art. 2 della
legge 3 maggio 1982, n. 203. Pertanto, l’espressione «a far

che la conclusione dei lavori di ricostruzione rappresentava
non il termine iniziale della proroga, bensì solo la
condizione per ottenerla; sicché la proroga non poteva,
comunque, superare il periodo massimo di sedici anni.
Quanto al diritto al rimborso per le migliorie, la Corte
territoriale rilevava che la stessa era da respingere,
quanto il comma 2 del citato art. 14, data la sua formulazione
testuale, escludeva che alle migliorie realizzate con i
contributi per la ricostruzione si applicasse l’art. 17 della
legge n. 203 del 1982. Né le somme potevano essere richieste a
titolo di indebito arricchimento, data la natura residuale di
tale azione e la possibilità per il Tortorelli di agire nei
confronti del Comune per il recupero di tali contributi (già
autorizzati).
3. Avverso la sentenza della Sezione specializzata agraria
della Corte d’appello di Potenza propone ricorso Giovanni
Tortorelli, con atto affidato a tre motivi.
Resiste

la

sola

Maria

Lucrezia

controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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Schiavone

con

data dalla ultimazione dei lavori» era da intendere nel senso

1.1. Rileva preliminarmente il Collegio che il presente
ricorso si colloca,

ratione temporis,

nel periodo di vigenza

dell’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale imponeva che
ciascun motivo di ricorso fosse concluso dalla formulazione di
un quesito di diritto e che, in relazione alla censura di

fatto controverso in relazione al quale si assumeva che la
motivazione fosse mancante, insufficiente o contraddittoria.
1.2. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il
quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così
da consentire al giudice di legittimità di enunciare una
regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in
casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza
impugnata (da ultimo, Sezioni Unite, sentenza 17 giugno 2013,
n. 15116). È inammissibile, perciò, il motivo di ricorso per
cassazione il cui quesito di diritto si risolva in
un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di
qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua
riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non
consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso
voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal
contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo (Sez.
Un., sentenza 11 marzo 2008, n. 6420). Il quesito di diritto
deve essere risolutivo del punto della controversia e non può
risolversi nella richiesta di declaratoria di un’astratta
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vizio di motivazione, venisse fornita chiara indicazione del

affermazione di principio da parte del giudice di legittimità
(sentenza 3 agosto 2007, n. 17108); esso, infatti, dovendo
assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione
tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
principio giuridico generale, non può essere meramente

concreta, per mettere la Corte in grado di comprendere dalla
sua sola lettura l’errore asseritamente compito dal giudice di
merito e la regola applicabile (sentenza 7 marzo 2012, n.
3530).
1.3. Quanto, invece, alle censure di cui all’art. 360,
primo comma, n. 5), cod. proc. civ., questa Corte ha in più
occasioni rilevato l’inammissibilità della censura di omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione per mancata
formulazione del c.d. quesito di fatto, in ossequio alla ratio
che sottende la disposizione indicata, secondo cui la Corte di
legittimità deve essere posta in condizione di comprendere,
dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso
dal giudice di merito (sentenza 18 novembre 2011, n. 24255).
Tale motivo di ricorso per cassazione, perciò, deve contenere
un momento di sintesi omologo al quesito di diritto,
costituente una parte che si presenti a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente i
limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass., S.U., 18 giugno 2008, n. 16528, seguita,
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generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie

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fra le altre, di recente, dalle sentenze 4 dicembre 2012, n.
21663, e 18 dicembre 2012, n. 23363).
2. Alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di
questa Corte vanno quindi valutati i quesiti di diritto
formulati nell’odierno ricorso.

legge nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su punti decisivi della controversia.
Rileva il ricorrente che l’espressione contenuta nell’art.
14, comma 3, del d.lgs. n. 76 del 1990 non può essere
interpretata se non nel senso di ritenere che la proroga di
anni sedici ivi prevista comincia a decorrere dalla data di
ultimazione dei lavori; e poiché, nella specie, egli aveva
completato i lavori in data 16 aprile 1997, il contratto in
questione doveva essere prorogato di altri sedici anni, con
scadenza alla data del 10 novembre 2013.
Il motivo è supportato dalla richiesta a questa Corte di
enunciare il seguente principio di diritto:
«la data di proroga di anni sedici del contratto
incomincia a decorrere dalla data di ultimazione dei lavori».
3.2. Il quesito trascritto – ammesso che possa ritenersi
tale dimostra in modo chiaro la sua evidente
inammissibilità. Si tratta, infatti, di una domanda formulata
senza alcun riferimento alla normativa specifica riguardante
la proroga dei contratti nelle zone colpite dal terremoto del
1980, la quale si risolve nella proposizione a questa Corte di
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3.1. Col primo motivo di ricorso si lamenta violazione di

un dubbio sul quale essa non può svolgere la sua funzione, non
essendo in grado di enunciare un principio di diritto
corrispondente al quesito. Oltre tutto, il motivo dimostra di
non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La censura di vizio di motivazione, poi, non contiene
alcun momento di sintesi che circoscriva in modo adeguato il
punto oggetto del vizio medesimo.
4.1. Col secondo motivo di ricorso si lamenta violazione
di legge nonché carenza di motivazione su punti decisivi della
controversia.
Rileva il ricorrente che la Corte potentina avrebbe errato
nel non riconoscergli il diritto al rimborso per le migliorie,
le quali sono state eseguite in conformità a previsioni di
legge e rispondono alla finalità di tutela del patrimonio
edilizio danneggiato dal terremoto.
Il motivo è supportato dalla richiesta a questa Corte di
enunciare il seguente principio di diritto:
«/e

migliorie eseguite dall’affittuario in forza della

legge n. 219/1981 devono essere rimborsate dal proprietario».
4.2. Anche questo motivo – ammesso che possa definirsi
tale è supportato da un quesito inammissibile. Il
ricorrente, infatti, si limita a chiedere alla Corte di
enunciare un principio che, oltre a non contenere alcun
richiamo alla vicenda concreta ed alla relativa normativa
specifica, dimostra di non tenere in considerazione le ragioni
giuridiche per le quali la Corte d’appello non ha riconosciuto

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.

il diritto al rimborso. Si tratta, come appare in modo
evidente, di un quesito del tutto astratto e, quindi,
inammissibile.
Per quanto riguarda la censura di vizio di motivazione, la
censura non contiene alcun momento di sintesi che circoscriva

5.1. Col terzo motivo di ricorso si lamenta violazione di
legge nonché carenza di motivazione su punti decisivi della
controversia.
Rileva il ricorrente che, nel caso di omesso rimborso
delle migliorie apportate dall’affittuario, questi avrebbe
diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di
indebito arricchimento. Tale domanda, infatti, non sarebbe
stata avanzata «se lo Stato avesse provveduto al versamento
del contributo concesso, cosa non eseguita come risulta dal
certificato rilasciato dal Comune».
Il motivo è supportato dalla richiesta a questa Corte di
enunciare il seguente principio di diritto:
«nel caso di omesso rimborso delle migliorie apportate dal
conduttore sul fondo concesso in locazione, lo stesso
conduttore ha diritto a pretendere al rimborso a titolo di
ingiustificato arricchimento».
5.2. Anche per questo motivo valgono i medesimi rilievi di
inammissibilità di cui ai motivi precedenti.
Si tratta, com’è agevole rilevare, di un quesito del tutto
privo di riferimenti al caso specifico ed alla normativa di
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in modo adeguato il punto oggetto del vizio medesimo.

settore relativa, che non tiene in alcun conto le ragioni per
le quali la Corte di merito è pervenuta al rigetto della
domanda.
Ed anche qui la censura di vizio di motivazione è del
tutto generica e non accompagnata da alcun momento di sintesi.

A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate
in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto
ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in complessivi euro 5.200, di cui euro
200 per spese, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, 1’11 giugno 2013.

6. In conclusione, il ricorso è dichiarato inammissibile.

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