Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19537 del 14/09/2010

Cassazione civile sez. I, 14/09/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 14/09/2010), n.19537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.B., M.D. e M.A.,

elettivamente domiciliati in Roma, via Scirè 6, presso l’avv. Scavo

Bernardo, rappresentati e difesi dall’avv. Filippo Di Giovanna per

procura in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta in data 25

giugno 2007, nella causa iscritta al n. 58/2007 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 aprile 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò; alla presenza

de Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale,

dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha osservato.

 

Fatto

LA CORTE

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c, la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata all’avvocato dei ricorrenti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

Ritenuto che:

1. M.B., M.D. ed M.A. hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, avverso il decreto in data 25 giugno 2007, con il quale la Corte di appello di Caltanissetta ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di ciascuno dei menzionati ricorrenti della somma di Euro 10.800,00, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo instaurato – per la quantificazione del risarcimento dei danni già accertati in loro favore in sede di processo penale nel quale i ricorrenti si erano costituiti parte civile – davanti al Tribunale di Sciacca con atto di citazione notificato il 25-27 ottobre 1984 e concluso con sentenza del 17 giugno 2005, divenuta definitiva il 25 settembre 2006;

1.1. il Ministero intimato non ha svolto difese;

Osserva:

2. la Corte di appello di Caltanissetta ha accolto la domanda nella misura di Euro 10.800,00 per ciascuno dei ricorrenti a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di tredici anni e quattro mesi al termine ragionevole;

3. i ricorrenti censurano il decreto impugnato, proponendo cinque motivi di ricorso, con i quali lamentano:

3.1. l’applicazione del termine di decadenza per l’instaurazione del giudizio di equa riparazione in relazione al processo penale – nel quale i ricorrenti si sono costituiti parte civile e all’esito del quale è stato accertato il loro diritto al risarcimento dei danni – definito con sentenza della Corte di cassazione del 21 gennaio 1983 e quindi prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, senza tener conto, comunque, del carattere unitario della domanda risarcitoria avanzata in sede penale con la dichiarazione di costituzione di parte civile e proseguita in sede civile con il giudizio sulla quantificazione dei danni derivanti dal reato (primo e secondo motivo);

3.2. la mancata osservanza dei parametri stabiliti dalla CEDU per la quantificazione del danno non patrimoniale (terzo motivo);

3.3. la detrazione dal computo del termine non ragionevole di durata dei rinvii richiesti dalle parti, senza tener conto delle carenze dell’organizzazione o della responsabilità del giudice (quarto motivo);

3.4. il mancato riconoscimento, in violazione dell’ari. 2043 c.c. e con vizio di motivazione, del danno patrimoniale;

4. i primi due motivi appaiono manifestamente infondati, in quanto il termine di decadenza, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 per la proposizione della domanda di equa riparazione, si applica anche alle violazioni verificatesi prima dell’entrata in vigore della citata legge, qualora non sia stato proposto ricorso alla CEDU (Cass. 2006/9526); inoltre la separata proposizione della domanda per l’accertamento di un diritto e di quella successiva per la determinazione del quantum debeatur da luogo a giudizi diversi ed autonomi (Cass. 2008/18603);

4.1. il terzo motivo appare manifestamente fondato, in quanto, poichè la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 810 per anno di ritardo, è inferiore – secondo criteri non ragionevoli, avendo il giudice del merito fatto riferimento a criteri inconferenti, quali il numero delle parti e il pieno accoglimento della domanda nel giudizio presupposto – all’importo che, risulterebbe dall’applicazione dei parametri stabiliti dalla CEDU, di cui il giudice nazionale deve tener conto, pur conservando un margine di valutazione che gli consente di discostarsene in misura ragionevole, alla stregua di una regola di conformazione inerente ai rapporti tra la L. n. 89 del 2001 e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e costituente espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione ed alla giurisprudenza di Strasburgo (Cass. S.U. 2004/1340).

4.2. il quarto motivo appare manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello, nel calcolare i periodi di irragionevole durata rispetto ai rinvii richiesti dalle parti, ha provveduto a scorporare il ritardo causato dalla parte da quello comunque addebitabile all’ufficio;

4.3. anche il quinto motivo appare manifestamente infondato, in quanto la corte di merito si è pronunciata sul danno patrimoniale, affermando che lo stesso non è stato provato; non ricorre pertanto nella specie la dedotta violazione dell’art. 2043 c.c. e, quanto al vizio di motivazione, i ricorrenti non hanno concluso l’illustrazione dei motivi di censura – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis – con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati ai punti 4., 4,1., 4.2. e 4.3., si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione;

ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso meriti accoglimento e che il decreto impugnato debba essere annullato in ordine alla censura accolta;

che,non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nei merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; in particolare, determinato, in tredici anni e quattro mesi il periodo di durata non ragionevole, secondo la valutazione del giudice di merito da confermarsi in questa sede, essendo state rigettate le censure svolte sul punto dai ricorrenti, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere a ciascuno dei ricorrenti l’indennizzo di Euro 12.583,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero della Giustizia soccombente;

5. le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso.

P.Q.M.

La Corte respinge il primo, il secondo, il quarto e il quinto motivo e accoglie il terzo.

Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 12.583,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.334,00, di cui Euro 794,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 595,00 di cui Euro 495,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2010

 

 

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