Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19536 del 26/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19536 Anno 2013
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA

sul ricorso 28801-2007 proposto da:
PIRAS ANTONIO

PIRAS MADDALENA PRSMDL47E71L989Z,

PRSNTN34L22L989Z, PIRAS PASQUALINO PRSPQL38H06L989Q,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI
140, presso lo studio dell’avvocato LUCATTONI
PIERLUIGI, rappresentati e difesi dall’avvocato PIRAS
ANTONIO GIOVANNI giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

PIRAS

MARIO

PRSMRA40808L989L,

PIRAS

GIOVANNI,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI

Data pubblicazione: 26/08/2013

123, presso lo studio dell’avvocato DETTORI RAIMONDO,
rappresentati e difesi dall’avvocato PASSINO
GIUSEPPE;
– controricorrenti nonchè contro

FALLIMENTO DI PIRAS MARIA , PROCURATORE GENERALE
PRESSO LA SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI DELLA CORTE
D’APPELLO DI CAGLIARI;
– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI
SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata

il

05/07/2007, R.G.N. 3/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/06/2013 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito l’Avvocato LUCATTONI PIERLUGI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
rigetto del ricorso;

2

il

PIRAS MARIA PASQUA, PIRAS ANGELA, PIRAS VINCENZA,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 15 maggio 2000 Mario e Giovanni Piras convennero
innanzi al Tribunale di Sassari i fratelli Antonio, Pasqualino,
Maddalena, Maria Pasqua, Vincenza e Angela Piras nonché il
Fallimento di Maria Piras, chiedendo l’assegnazione,

ex lege n.

Piras, aveva acquistato, con patto di riservato dominio,
dall’ETAFS.
Sostennero che essi erano gli unici, tra gli eredi, in possesso
dei requisiti per subentrare nella titolarità del predio,
indivisibile

ex lege,

previa determinazione del valore delle

quote degli altri coeredi.
Si costituirono in giudizio Antonio, Pasqualino, Maddalena,
Maria Pasqua e Angela Piras, che contestarono le avverse
pretese.
Con decreto del 26 novembre 2006 il giudice adito accolse la
domanda.
Proposto reclamo dai soccombenti, la Corte d’appello di
Cagliari, sez. dist. di Sassari, in data 5 luglio 2007, lo ha
respinto.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorrono a questa Corte
Antonio, Pasqualino e Maddalena Piras, formulando quattro
motivi, illustrati anche da memoria, e notificando l’atto a
Mario, Giovanni, Vincenza, Angela e Maria Pasqua Piras, al
Fallimento di Maria Piras e al Procuratore Generale presso la
Corte d’appello.

3

1078 del 1940, del fondo che il loro genitore, Salvatore Antonio

Resistono con controricorso Mario e Giovanni Piras, mentre
nessuna attività difensiva hanno svolto gli altri intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l Nel motivare il suo convincimento il decidente ha individuato,

come aspetto

preliminare e centrale

della controversia,

successioni ereditarie apertesi prima della sua entrata in
vigore. Tale fonte ha invero abolito il vincolo di
indivisibilità assoluta delle unità poderali costituite in
comprensori di bonifica da enti di colonizzazione o da consorzi
e assegnate in proprietà a contadini diretti coltivatori,
stabilendo, in luogo della regola della infrazionabilità
perpetua, sancita dall’art. l della legge 3 giugno 1940, n.
1078,

sia con riguardo ai trasferimenti

mortis causa

che a

quelli inter vivos, il principio della frazionabilità decorso un
trentennio dalla prima assegnazione.
Risolto negativamente il problema dell’applicabilità dello
superveniens,

ius

alla luce della consolidata giurisprudenza di

legittimità, ha poi rilevato il decidente:

a)

che correttamente

il giudice di prime cure aveva verificato la sussistenza dei
requisiti soggettivi necessari ai fini dell’accoglimento della
domanda di assegnazione nei confronti dei soli reclamati, unici,
tra gli eredi, ad averne fatto domanda;

b)

che legittimamente

nessun rilievo era stato dato alle disposizioni testamentarie
invocate dai reclamanti, stante il disposto dell’art. 4 della
legge n. 1078 del 1940, in base al quale sono nulli gli atti

4

l’applicabilità o meno della legge n. 191 del 1992 alle

mortis causa

che hanno per effetto il frazionamento dell’unità

poderale;

che ancora correttamente il Tribunale non aveva

c)

rimosso il vincolo di indivisibilità, in applicazione dell’art.
10 della medesima fonte, in difetto di un’espressa domanda dei
resistenti;

d)

che peraltro tale domanda era stata

invero al giudizio di reclamo, in quanto giudizio di appello
avverso quello svoltosi davanti al Tribunale con il rito
camerale, andava applicato l’art. 345 cod. proc. civ.;

f)

che

anche a opinare diversamente la domanda di rimozione del vincolo
di indivisibilità sarebbe stata in ogni caso infondata, avendo
la norma subordinato l’eliminazione del divieto al sopravvenire
di circostanze che rendano il fondo divisibile in più unità
fondiarie organiche, e quindi a circostanze che devono attenere
alla situazione del fondo, non già al comportamento degli
assegnatari;

g)

che a tali fini del tutto irrilevanti erano sia

gli atti di ultima volontà del defunto genitore, che gli atti di
disposizione a favore di terzi compiuti dagli stessi reclamati;
h)

che in ogni caso il menzionato art. 10 rimetteva

l’accoglimento della relativa istanza a un potere discrezionale
del giudice di merito, da esercitarsi in funzione della
creazione di unità fondiarie organiche, laddove i reclamanti
miravano solo a conseguire il diritto di proprietà sulle
porzioni oggetto del c.d. frazionamento Dettori, di talché la
loro domanda era, in ogni caso, infondata; i) che, quanto al
valore delle quote spettanti ai reclamanti, la consulenza

5

inammissibilmente proposta solo in sede di reclamo; e) che

tecnica correttamente aveva considerato la minore estensione del
fondo riscattato rispetto all’originaria estensione di quello
assegnato.
Di tale decisione si dolgono dunque gli impugnanti.
2

Con il primo motivo denunciano violazione della legge 19

Sostengono che, contrariamente all’opinione espressa dal giudice
di merito, le disposizioni di cui alla legge 19 febbraio 1992,
n. 191, si applicavano anche alle unità poderali assegnate in
proprietà in base alla precedente legislazione (legge n. 1078
del 1940), sempre che le stesse al 18 marzo 1992, data della
entrata in vigore in vigore della nuova normativa, scaduto il
termine trentennale dalla prima assegnazione, fossero rimaste in
comunione ereditaria, non avendone alcuno dei coeredi chiesto
l’attribuzione.
3 Le critiche sono infondate.
Questa Corte ha già avuto modo di statuire che la legge n. 191
del 1992, che ha sostituito il vincolo di indivisibilità
perpetuo sancito, in tema di riforma fondiaria, dall’art. 1
della legge n. 1078 del 1940, con quello dell’indivisibilità
trentennale, costituisce

ius

superveniens,

come tale

inapplicabile alle successioni apertesi in epoca anteriore alla
sua entrata in vigore: e tanto in applicazione del principio di
irretroattività della legge nonché della regola che vuole la
successione

mortis causa

momento della morte del

regolata dalla legge in vigore al
de cuius

6

(confr. Cass. civ. 21 maggio

febbraio 1992, n. 191 e della legge 3 giugno 1940, n. 1078.

2010, n. 12517; Cass. civ. 4 novembre 2008, n. 26490; Cass. civ.
13 aprile 2006, n. 8655).
Intendendo dare continuità a tale indirizzo, il collegio non può
che confermare la correttezza,

in

parte qua,

dell’opzione

ermeneutica seguita dal giudice di merito.

nonché violazione degli artt. l e 5 della legge n. 1078 del
1040.
Assumono che la Corte territoriale avrebbe completamente
ignorato il motivo di reclamo volto a far valere la violazione,
da parte di Mario Piras, del vincolo di indivisibilità del
podere e la conseguente inesistenza, in capo allo stesso, dei
requisiti soggettivi e oggettivi per la richiesta assegnazione.
E invero nel corso del giudizio di primo grado l’attore aveva
venduto a terzi la porzione di predio acquistata dalla sorella
Vincenza Piras, vincolando all’inedificabilità altra parte di
terreno limitrofo ancora in comunione.
5 Le censure sono, per certi aspetti inammissibili, per altri
infondate.
Valga considerare, sotto il primo profilo, che quelle volte a
far valere vizi motivazionali non sono accompagnate dalla
formulazione del c.d. momento di sintesi. Si ricorda, in
proposito, che nei ricorsi ai quali si applica,
temporis,

l’art. 366

bis

ratione

cod. proc. civ., la denuncia di un

vizio di motivazione della sentenza impugnata deve essere
accompagnata dalla formulazione, in riferimento alla anzidetta

7

4 Con il secondo mezzo i ricorrenti lamentano vizi motivazionali

censura, di un c.d.

quesito di fatto,

e cioè dalla indicazione

chiara, sintetica, evidente e autonoma, del fatto controverso
rispetto al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, così come delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare

La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro chiarito, da un
lato, che, a tale fine, è necessaria la enucleazione conclusiva
e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso
nel quale tutto ciò risalti in modo non equivoco; dall’altro,
che il requisito non può ritenersi rispettato allorquando solo
la completa lettura della illustrazione del motivo – all’esito
di una interpretazione svolta dal lettore, anziché su
indicazione della parte ricorrente consenta di comprendere il
contenuto e il significato delle censure, così frustrando le
finalità della norma, il cui obiettivo è quello di porre il
giudice di legittimità in condizione di comprendere, dalla
lettura del solo

quesito di fatto,

quale sia l’errore commesso

dal giudice del merito (confr. Cass. civ.

14

marzo 2013 n.

6549).
6

Quanto all’asserto malgoverno della disciplina della materia,

non risponde al vero che il giudice di merito abbia ignorato che
i reclamati avevano posto in essere atti di disposizione a
favore di terzi. Quegli atti sono stati invero oggetto di una
espressa considerazione, da parte del decidente, sia pure al
solo fine di contestare che essi valessero a rimuovere il

8

la decisione.

vincolo di indivisibilità, ai sensi del primo comma dell’art. 10
della legge n. 1078 del 1940.
Ne deriva che i rilievi critici degli impugnanti, i quali
sottendono l’inesistenza, in capo agli aspiranti assegnatari,
dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge per

ragione di pretese violazioni della normativa relativa alla
indivisibilità del podere,

ex art. l della legge n. 1078 del

1940, sono eccentrici rispetto alla

ratio decídendi

del

provvedimento impugnato e volti, in definitiva, a prospettare
una questione nuova. Non può invero sfuggire che il giudice

a

quo si è occupato solo della contestata qualifica di coltivatore
diretto dei reclamati, di talché gli impugnanti, venendo qui a
prospettare altre ragioni, a loro dire, ostative
all’assegnazione del fondo, avrebbero dovuto dedurre che la
questione faceva già parte del

thema decidendum

del giudizio di

merito, indicando anche, in ottemperanza al principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, gli atti in cui essa
era stata sollevata nonché la loro esatta allocazione nel
fascicolo processuale (confr. Cass. civ., 11 gennaio 2007, n.
324; Cass. civ. 13 aprile 2004, n.6989).
7 Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli

artt. 7 e 10 della legge n. 1078 del 1940 nonché dell’art. 345
cod. proc. civ.
Erroneamente

la

inammissibile,

ex

Corte

d’appello

avrebbe

dichiarato

art. 345 cod. proc. civ., la domanda di

9

l’accoglimento della loro richiesta in chiave sanzionatoria, in

rimozione del vincolo di indivisibilità

ex art. 10 della legge

n. 1078 del 1940, per essere stata la stessa proposta per la
prima volta in sede di reclamo.
Non avrebbe il decidente considerato le caratteristiche proprie
del procedimento in camera di consiglio, il quale sfugge alle

essendo data al giudice ben maggiore discrezionalità di
decisione.
In ogni caso, assumono, Antonio, Pasqualino e Maddalena Piras
avevano sempre ribadito, innanzi al Tribunale, la divisibilità
del predio in contestazione e il diritto di ciascun coerede
all’assegnazione della quota di sua spettanza.
Aggiungono che la Corte territoriale, affermando che la domanda
sarebbe stata, in ogni caso, infondata, non avendo gli istanti
allegato circostanze giuridiche e di fatto dalle quali far
discendere la divisibilità del fondo, avrebbe fatto malgoverno
del materiale istruttorio acquisito, e segnatamente del giudizio
tecnico espresso dal Servizio Ripartimentale dell’Agricoltura in
data 11 novembre 2003. Né avrebbe il decidente considerato che
il frazionamento Dettori e la conseguente assegnazione a
ciascuno dei nove figli dell’assegnatario di un lotto,
costituivano circostanze sopravvenute idonee a rimuovere il
vincolo di indivisibilità

ex art. 10 della legge n. 1078 del

1940.
8 Le critiche sono infondate.

10

regole tipiche del procedimento contenzioso in senso tecnico,

La giurisprudenza di legittimità, nel ribadire l’astratta
idoneità della procedura camerale ad essere utilizzata per la
tutela giudiziale contenziosa dei diritti soggettivi, ha
costantemente evidenziato la necessità, perché i relativi
procedimenti siano costituzionalmente corretti, dei necessari

íuris,

istituti propri della cognizione ordinaria: ciò,

segnatamente, in tema di necessità del ministero del difensore,
di contraddittorio, di facoltà di prova, di mezzi di
impugnazione, di immodificabilità della decisione assicurata dal
giudicato (confr. Cass. civ. 7 dicembre 2011, n. 26365; Cass.
civ. 28 ottobre 2010, n. 22110; Cass. civ. Cass. civ. sez. un.
19 giugno 1996, n. 5629; Cass. sez. un. 25 giugno 2002, n. 9231;
Cass. civ. 19 settembre 2000, n. 12391).
In tale contesto non merita censura la ritenuta operatività, nel
giudizio di reclamo, del divieto di proporre domande nuove e
cioè, in sostanza, di introdurre nuovi temi di indagine,
trattandosi di un principio volto a garantire il rispetto del
principio del contraddittorio e del doppio grado di
giurisdizione, laddove lo stesso sia previsto dalla legge
(confr. Cass. civ. 11 gennaio 2007, n. 383; Cass. civ. 27 luglio
2007, n. 17089).
9 Quanto poi alle deduzioni degli impugnanti, volte a contestare

la ritenuta

novità

della domanda di rimozione del vincolo di

indivisibilità, di cui all’art. 10 della legge n. 1078 del 1940,
le critiche non colgono nel segno. È sufficiente all’uopo

11

adattamenti, così estendendo agli stessi, per via di analogia

considerare che la relativa richiesta esige l’articolazione di
una domanda
causa petendi,

formale,

caratterizzata dall’allegazione, quale

di circostanze – oggettive ed estranee alla sfera

degli interessati, per quanto di qui a poco si dirà – idonee a
rendere il fondo divisibile in più unità fondiarie organiche. Ne

precisione necessaria alla compiuta ottemperanza al criterio
dell’autosufficienza, come, in che termini e in quale atto del
giudizio la domanda era stata formulata.
Invece i ricorrenti si sono limitati a dedurre che

fin

dall’origine la domanda e le difese da loro proposte avevano ad
oggetto il riconoscimento dei diritti ereditari a ciascuno
spettanti, con ciò dichiarando, in pratica, l’applicazione
dell’art. 10 della legge 3 giugno 1940, n. 1078.
Trattasi, a ben vedere, di allegazioni estremamente generiche,
inidonee a mettere la Corte in condizioni di valutare la
fondatezza della doglianza, in quanto orbe di qualsivoglia
indicazione sia dell’effettivo contenuto delle richieste
avanzate in prime cure, sia della esatta allocazione degli atti
processuali in cui esse sarebbero, in tesi, contenute.
Si ricorda, in proposito:

a)

che il compito d’interpretare gli

atti processuali di parte, e quindi d’individuarne il
significato e il contenuto giuridico, come pure di valutare il
grado di significatività e di concludenza del comportamento dei
litiganti, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito,
risultando circoscritto il sindacato della Cassazione ai soli

12

deriva che gli esponenti avrebbero dovuto chiarire, con le

eventuali vizi di motivazione;

b)

che, qualora la censura

relativa alla motivazione denunzi un vizio procedurale in cui
sia incorso il decidente (una sorta di

error in procedendo

indiretto, o di secondo grado), la Suprema Corte è abilitata
all’esame degli atti del giudizio di merito, al limitato fine di

in un vizio di motivazione (cfr. Cass. civ. 3 aprile 2013, n.
8115; Cass. civ. 19 maggio 2004, n. 9471);

c)

che, con

riferimento al principio dell’autosufficienza, le sezioni unite
di questa Corte, pur avendo chiarito che l’onere del ricorrente,
di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così
come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti
processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui
quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, quanto agli atti e ai
documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante la
produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti
contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della
richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del
giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al
richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma,
cod. proc. civ., hanno tuttavia precisato che resta ferma, in
ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di
inammissibilità

ex

art. 366, n. 6, cod. proc. civ., del

contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si

13

verificare che l’errore procedurale denunciato si sia tradotto

fonda, nonché dei dati necessari al loro reperimento (confr.
Cass. civ. 3 novembre 2011, n. 22726).
10 In ogni caso assolutamente condivisibile appare l’opinione
espressa dal giudice di merito, secondo cui le circostanze
sopravvenute che rendono il fondo divisibile in più unità

disposizioni o comunque in condotte dei medesimi assegnatari, o
aspiranti tali, ma devono concretizzarsi in fatti naturali o di
terzi, fatti comunque indipendenti dalla sfera di controllo e di
intervento dei soggetti interessati. È invero di intuitiva
evidenza che la contraria opinione si risolverebbe nella totale
disponibilità del vincolo di indivisibilità, e quindi nella
elusione tout court del divieto di frazionamento stabilito dalla
legge.
11 Infine, e conclusivamente sul punto, nessuna censura è stata
dai ricorrenti formulata nei confronti dell’assunto della Come
territoriale secondo cui la domanda era, in ogni caso,
infondata, posto che non sussistevano, nella fattispecie dedotta
in giudizio,

i presupposti per l’esercizio del potere

discrezionale di rimozione del vincolo, previsto dall’art. 10
della legge n. 1078 del 1940, essendo lo stesso funzionale alla
creazione di unità fondiarie organiche, laddove i reclamanti
agivano esclusivamente in vista del loro personale tornaconto.
Vale allora il principio per cui la mancata contestazione di una
delle ragioni della scelta decisoria adottata dal giudice di
merito rende inammissibili, per difetto di interesse, tutte le

14

fondiarie organiche non possono consistere in atti di

….)

altre censure, posto che la decisione resta fondata, in ogni
caso, sulla

ratio decidendi

non censurata (confr. Cass. civ. 5

febbraio 2013, n. 2736).
12 Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano violazione degli

artt. 6 della legge n. 1078 del 1940 e 112 cod. proc. civ.,

determinazione del valore della quota effettuata dalla Corte
territoriale sulla base delle conclusioni del consulente
tecnico, senza considerare che la stima dell’esperto era

nonché vizi motivazionali. Oggetto delle critiche è la

riferita a un predio di complessivi Ha 50.42.54, non già C\
all’intero podere, che misurava invece Ha 53.61.71.
Formulano

il

quesito:

seguente

i

coeredi

esclusi

dall’assegnazione, ove non possano essere soddisfatti mediante
l’attribuzione di altri beni ereditari, hanno diritto di
ottenere dal subentrante,

pro quota,

il valore di mercato del

fondo, calcolato al momento in cui il subentrante è stato
designato tale e gli è stata assegnata l’unità poderale?
13 Anche tali censure non hanno pregio.

Nel confutare le doglianze articolate sul punto nell’atto di
appello, ha osservato la Corte territoriale che la valutazione
dell’ausiliario aveva correttamente tenuto conto degli atti di
disposizione posti in essere dal testatore e degli esiti
dell’espropriazione per pubblica utilità e quindi della minore
estensione del fondo riscattato rispetto a quella originaria.
Ritiene il collegio che le critiche con le quali i ricorrenti
evocano impropriamente degli

contestano tali affermazioni

15

errores in iudicando,

posto che la violazione di legge consiste

nella deduzione dell’erronea ricognizione della fattispecie
ipotetica prevista da una disposizione, e quindi, implica
necessariamente questioni di ermeneutica normativa, laddove
l’allegazione di profili problematici nella ricostruzione della

compiuta istruttoria, la

cui censura è possibile, in sede di

legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Ora, proprio di un preteso malgoverno delle risultanze di causa
si dolgono, a ben vedere, i ricorrenti, laddove sostengono
l’esistenza di errori nel calcolo della effettiva estensione del
fondo riscattato.
Sennonché,

da

un

lato,

la

denuncia

di

mancanza,

contraddittorietà e insufficienza dell’apparato argomentativo
con il quale il decidente ha giustificato il suo convincimento
non è accompagnata dalla formulazione del momento di sintesi,
omologo del quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis cod.
proc. civ., qui applicabile

ratione temporis;

dall’altro, le

critiche si risolvono in una sollecitazione alla rilettura dei
fatti e delle prove, preclusa a questa Corte.
Sotto entrambi i profili indicati le censure sono quindi
inammissibili.
In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.
I ricorrenti rifonderanno ai resistenti vittoriosi le spese del
giudizio nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.

16

fattispecie concreta attiene all’apprezzamento degli esiti della

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 4.200,00
(di cui euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per
legge.

Roma, 11 giugno 2013

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