Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19536 del 24/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19536 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: ORILIA LORENZO

ORDINANZA
sul ricorso 9328-2017 proposto da:
POLITANO TATIANA, MANDARANO NICOLA, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA TERENZIO 10, presso lo studio
dell’avvocato FABIO PISTORINO, rappresentati e difesi
dall’avvocato G I USEPPI ARI ETA;

– ricorrenti contro
LC EDIL DI MAGIO COSENZA & C SAS, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO 436, presso
lo studio dell’avvocato ORESTE VACCARO, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIORGIO COZZOLINO;

– controricorrenti avverso la sentenza n. 1543/2016 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO, depositata il 30/09/2016;

Data pubblicazione: 24/07/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/02/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

Ric. 2017 n. 09328 sez. M2 – ud. 01-02-2018
-2-

RICORSO N. 9328/2017

CONSIDERATO IN FATTO
1

La Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza 30.9.2016,

accogliendo parzialmente il gravame proposto dalla società L.C. Edil sas
di Biagio Cosenza & contro la decisione di primo grado (sentenza
204/2012 del Tribunale di Paola sez. dist. Scalea) ha condannato in
solido Nicola Mandarano e Tatiana Politano al pagamento della somma

riconvenzionale spiegata da questi ultimi.
Per giungere a tale soluzione, la Corte di merito ha osservato che
dal documento del 3.11.2007, avente natura di atto ricognitivo del
debito, risultava l’esistenza di un credito della società pari a C.
31.750,00 in relazione al quantum complessivamente pattuito per la
compravendita dell’immobile e per l’appalto dei lavori di completamento.
2 Contro tale decisione il Mandarano e la Politano hanno proposto
ricorso per cassazione con tre motivi.
Resiste con controricorso la società.
Il relatore ha formulato proposta di rigetto del ricorso per
manifesta infondatezza.
RITENUTO IN DIRITTO
1

Con il primo motivo si deduce la

“violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 1988 cc e 112, 113 e 116 cpc nella parte in cui la
Corte d’Appello ha riconosciuto la somma di C. 21.823,42 (C. 31.750,00
– C. 9.926,58 = saldo di e 21.823,42) senza distinguere i rapporti
contrattuali di compravendita e di appalto ed in violazione anche del
principio d corrispondenza tra chiesto e pronunciato per avere imputato

C. 35.800,00 a titolo di pagamento della compravendita immobile e non
quale pagamento del contratto di appalto. Accoglimento della domanda
riconvenzionale dei coniugi Politano/Mandarano nei limiti quanto meno
della minor somma di C. 6.676,58 (C. 56.672,58 – 50.000,00 = C.
6.676,58)”. Secondo i ricorrenti , laCorte d’Appello non ha correttamente

valutato il contenuto della scrittura del 3.11.2007. La Corte d’Appello
avrebbe dovuto operare una distinzione tra i pagamenti relativi al

di C. 21.823,42 in favore della società rigettando la domanda

RICORSO N. 9328/2017

contratto di compravendita e quelli relativi all’appalto. Ritengono che
dall’esame del contenuto del documento ricognitivo emerge l’assenza di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato relativamente alla domanda in
tema di appalto. Elencano i pagamenti eseguiti e riconosciuti e
procedono ad analizzare le voci del conteggio a loro dire male
interpretate dalla Corte d’Appello.

Come ripetutamente affermato da questa Corte,

“il vizio di

violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie
astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un
problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa
è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in
sede di legittimità” – peraltro, nella vigenza del vecchio testo dell’art.

360 n. 5 cpc, ndr – “solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (v. tra
le varie, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5,
Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n.
8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394 del
26/03/2010 Rv. 612745; più di recente, v. anche Sez. 2 – Ordinanza n.
20964 del 08/09/2017 Rv. 645246 in motivazione).
Nel caso di specie la censura evidenzia la seconda ipotesi
sollecitandosi, attraverso una riproposizione di conteggi, una
rivisitazione delle risultanze di causa a mò di terzo grado di giudizio,
attività che è preclusa in questa sede.
2

Con il secondo motivo si deduce

“violazione e/o falsa

applicazione dell’art. 1988 cc e 1309 cc in relazione all’art. 360 comma
1 n. 3 cpc nella parte in cui rispetto alla posizione sostanziale e
processuale di Mandarano Nicola, che non ha firmato l’atto ricognitivo
del 3.11.2007, non riconosce ed accoglie la sua domanda
riconvenzionale come da sentenza di primo grado in quanto la decisione

Il motivo è infondato.

RICORSO N. 9328/2017

di appello non è applicabile ovvero inefficace in relazione alla validità ed
efficacia del documento del 3.11.2007. Giudicato della sentenza di primo
grado sull’accoglimento della domanda (di Mandarano) riconvenzionale
quanto meno nei limiti di C. 6.676,38”.
Con il terzo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 1988 cc e 1309 cc in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc

di Mandarano Nicola, non ha dichiarato l’inefficacia nei confronti di
Mandarano Nicola della scrittura del 3.11.2007 e conseguente rigetto
della domanda attrice”.
Queste due censure – che ben possono esaminarsi
congiuntamente per il comune riferimento al ruolo del Mandarano – sono
inammissibili perché, come preliminarmente rilevato dalla
controricorrente, pongono questioni di diritto implicanti accertamenti in
fatto che non risultano sottoposte ai giudici di merito.
Qualora una determinata questione giuridica – che implichi un
accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza
impugnata né indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che
riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una
statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non
solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice
di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di
cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima
di esaminare nel merito la questione stessa (v. sez. 1, Sentenza n.
25546 del 30/11/2006 Rv. 593077; Sez. 3, Sentenza n. 15422 del
22/07/2005 Rv. 584872 Sez. 3, Sentenza n. 5070 del 03/03/2009 Rv.
606945 ed altre).
Sarebbe stato pertanto onere dei ricorrenti precisare dove e
quando avevano sollevato la questione relativa alla posizione del
Mandarano in rapporto all’atto ricognitivo, ma ciò non risulta.

nella parte in cui limitatamente alla posizione sostanziale e processuale

RICORSO N. 9328/2017

E anzi, va rilevato che già con i motivi di appello la società aveva
invocato espressamente l’efficacia probatoria del documento del
3.11.2007 (v. sentenza impugnata pagg. 5 e 6 in cui sono sintetizzate le
doglianze dell’appellante), mentre nella comparsa di costituzione non si
rinviene alcuna eccezione sulla mancanza di sottoscrizione da parte del
Mandarano e sulla non riferibilità dell’atto a costui.

specificamente questa tematica, limitandosi a pag. 8 a dare atto
unicamente del mancato disconoscimento della sottoscrizione da parte
di costei e della mancata riferibilità del documento a diverso rapporto
contrattuale.
In conclusione, il ricorso va respinto con inevitabile condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato inoltre che il ricorso per cassazione è stato proposto
successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato respinto, sussistono le
condizioni per dare atto — ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115 — della sussistenza dell’obbligo di versamento,
da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che liquida in C. 3.700,00 di cui C.
200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art.1,comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Roma, 1.2.2018.

Ciò spiega perché la sentenza impugnata non abbia affrontato

RICORSO N. 9328/2017

Il Presidente

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