Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19536 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. III, 19/07/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 19/07/2019), n.19536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26647/2017 proposto da:

T.C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE

LIEGI 42, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIOVANNI ALOISIO,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CASINO DE LA VALLEE SPA, in persona dell’Amministratore Unico Dott.

D.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA QUINTO

AURELIO SIMMACO 7-OSTIA, presso lo studio dell’avvocato NICOLA NERI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA OLIVETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2166/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

Casino De La Vallee s.p.a. (d’ora innanzi Cava) propose domanda d’ingiunzione nei confronti di T.C.A. innanzi al Tribunale di Aosta per l’importo di Euro 290.000,00 oltre interessi ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002. Emesso il decreto ingiuntivo, propose opposizione il T.. Secondo quanto esposto in ricorso, sulla base di consegna di assegno in bianco e privo di data a seguito di mandato al riempimento di assegno il T. aveva ricevuto fiches per complessivi Euro 300.000,00 ed, avendo perso l’intero importo ad un tavolo di “Black-Jack”, aveva richiesto indietro l’assegno in quanto privo di copertura, provvedendo alla sua distruzione; successivamente, dopo avere effettuaTo il versamento di Euro 10.000,00, il T. aveva sottoscritto dichiarazione in cui si riconosceva debitore del residuo importo. Il Tribunale adito accolse l’opposizione. Avverso detta sentenza propose appello Cava. Con sentenza di data 4 ottobre 2017 la Corte d’appello di Torino accolse parzialmente l’appello, condannando l’appellato al pagamento della somma di Euro 290.000,00 oltre gli interessi legali.

Osservò la corte territoriale, premesso il richiamo di Cass. n. 4209 del 1992, che ricorreva un rapporto negoziale, assimilabile a quello di finanziamento o di mutuo tout court, relativo,da un lato alla consegna di fiches al giocatore e dall’altro ad un atto ricognitivo di debito e che affermare, come fatto dal giudice di primo grado, l’effettività di una connessione funzionale tra la consegna delle fiches e l’attuazione del gioco significava dare per scontato che il mutuante (a prescindere dalla consapevolezza dell’impiego nel gioco della somma mutuata) avesse avuto un interesse qualificato all’attuazione del gioco, ossia fosse stato partecipante insieme al mutuatario ad un gioco collettivo d’azzardo. Aggiunse che l’opponente non aveva dimostrato l’esistenza di un simile interesse della casa da gioco, nè esso poteva ricavarsi dalla lettura dei documenti in atti o dall’eventuale ammissione dei capitoli di prova orale dedotti, che neppure consentivano di accertare l’eventuale diretta partecipazione del mutuante al gioco del “Black-Jack”. Osservò quindi che restava il riconoscimento di debito di data 10 febbraio 2005 rispetto al quale l’onere della prova della sussistenza dei requisiti di cui all’art. 1933 c.c., in collegamento funzionale con la dazione delle fiches doveva essere data dalla stessa parte che aveva reso la dichiarazione.

Ha proposto ricorso per cassazione T.C.A. sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1988,1933,1329,1324,1362,1933,2034 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che, avendo la stessa sentenza impugnata parlato di rapporto negoziale assimilabile a quello di finanziamento o di mutuo tout court, non poteva parlarsi di astrazione processuale a fronte dell’accordo bilaterale nel quale la casa gioco aveva riconosciuto di avere consegnato fiches di gioco pari a Euro 300.000,00 ed essendosi riconosciuto il T. debitore e che dunque era onere della casa da gioco provare che la consegna di fiches era estranea allo scopo di gioco. Aggiunge che,sia sulla base del criterio letterale che di quello del comportamento complessivo delle parti (mandato al riempimento di assegno in bianco, consegnato e poi ritirato e distrutto), doveva ritenersi che si era in presenza di un finanziamento di gioco. Osserva inoltre che, trattandosi ab origine di obbligazione naturale, la ricognizione di debito era meramente confermativa di un obbligo morale ed inidonea a trasformarlo in obbligazione civile. Conclude che non pertinente è il richiamo a Cass. n. 4209 del 1992 in quanto il mutuante è la stessa casa da gioco, la cui partecipazione al gioco è in re ipsa.

Il motivo è infondato. Esso si articola in tre submotivi. Il primo submotivo attiene alla qualificazione in termini di ricognizione di debito della scrittura di data 10 febbraio 2005. Osserva il ricorrente che l’effetto dell’astrazione processuale dalla causa debendi non sarebbe configurabile in quanto la scrittura fa menzione del finanziamento. La promessa di pagamento, anche quando è titolata, cioè contenente il riferimento al rapporto giuridico che sta alla sua base, produce l’effetto dell’astrazione processuale dalla causa debendi, dispensando il promissario dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale che si presume fino a prova contraria, e deve essere, oltre che esistente, valido; ne consegue che viene meno ogni effetto vincolante della promessa se si accerti giudizialmente che il rapporto non è sorto, è invalido o si è estinto (fra le tante Cass. 9 maggio 2007, n. 10574; 19 maggio 2006, n. 11775; 29 settembre 2005, n. 19165). La menzione della causa mantiene quindi la promessa nell’ambito dell’art. 1988 c.c..

Il secondo submotivo attiene al mancato rispetto dei criteri di ermeneutica contrattuale. L’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., o di vizio motivazionale. Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; 26 ottobre 2007, n. 22536). L’onere processuale in discorso non risulta assolto essendosi il ricorrente limitato a richiamare i criteri legali di ermeneutica contrattuale ed a contrapporre al risultato interpretativo conseguito dal giudice un diverso risultato interpretativo.

L’ultimo submotivo è anch’esso inammissibile perchè muove dal presupposto, estraneo alla ratio decidendi, che l’obbligazione alla base della promessa di pagamento fosse naturale e non civile.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 1, artt. 1421,1322 e 1343 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 106, comma 1, artt. 107 e 132, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che, qualora si ritenesse che il negozio di finanziamento sia meritevole a prescindere dal collegamento all’attuazione del gioco, si tratterebbe di finanziamento erogato da soggetto non abilitato in quanto non intermediario finanziario autorizzato iscritto nell’apposito albo, da cui la nullità del contratto per contrarietà a norma imperativa.

Il motivo è infondato. Come affermato da Cass. 1 ottobre 2012, n. 16670, la mera circostanza che la casa da gioco sia usa “consentire l’acquisto di fiches di gioco ad una determinata cerchia di clienti dietro pagamento con assegni bancari (entro una predefinita misura) non permette in alcun modo di qualificare tale attività in termini di finanziamento, e tanto meno di ritenerla compresa tra quelle riservate alle banche o ad altri intermediari finanziari all’uopo autorizzati”, sicchè è da escludere che “l’operazione mediante la quale i clienti vengono approvvigionati di fiches, pagandole in denaro contante o a mezzo di assegni, possa dirsi estranea alla gestione della casa da gioco: il che basta a farla rientrare tra le attività consentite dalla medesima legge con cui è stata autorizzata l’operatività” della specifica casa da gioco.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che la Corte d’appello ha negato che la casa da gioco fosse il soggetto che direttamente organizzava e partecipava al gioco del “Black Jack” con motivazione apparente in quanto meramente assertiva della circostanza che documenti e capitoli di prova non consentivano di accertare l’eventuale partecipazione del mutuante al gioco, laddove invece, fra l’altro: in base alla scrittura di mandato di riempimento di assegno Cava avrebbe calcolato il saldo delle fiches prelevate curando la compilazione dell’assegno consegnato a garanzia; nella scrittura bilaterale del 10 febbraio 2015 si riconosceva che il T. aveva un debito verso la casa da gioco in relazione alle “fiches di gioco” consegnate in tre distinte occasioni per l’importo complessivo di Euro 300.000,00; nel “disciplinare per la gestione della casa da gioco” l’art. 4 prevedeva che “le attività di gioco devono essere esercitate direttamente da Casino s.p.a. che non può delegare a terzi”, all’art. 5 si leggeva che “al fine di incrementare la produttività della casa da gioco, Casino s.p.a., nel pieno rispetto delle leggi vigenti in materia, con particolare riferimento alla normativa antiriciclaggio, è tenuta a garantire, tramite il proprio ufficio cassa assegni ed a proprio rischio, la provvista di gettoni di gioco alla clientela, contro il rilascio di assegni di conto corrente o circolari” e l’art. 8 prevedeva che “gli introiti lordi di gestione sono rappresentati dai proventi lordi di tutti i giochi in essere o di quelli che saranno eventualmente introdotti in seguito”. Aggiunge che i capitoli di prova testimoniale e per interrogatorio formale, nonchè la scheda di contabilità del tavolo di cui era stato chiesto l’ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c., avevano ad oggetto la circostanza che il T. era stato l’unico giocatore al tavolo di “Black-Jack” contro il banco e che era stata registrata una vincita per la casa di gioco pari ad Euro 300.000,00 (da cui la coincidenza di mutuante e partecipante al gioco). Conclude, richiamando Cass. n. 5654 del 2017, che il rigetto delle istanze istruttorie era privo di motivazione.

Il motivo è fondato. Deve premettersi che la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. 8 marzo 2019, n. 14375; 26 ottobre 2015, n. 21715; 2 aprile 2014, n. 7694; 31 gennaio 2008, n. 2386; 6 aprile 1992, n. 4209; 16 giugno 1986, n. 4001; 4 ottobre 1962, n. 2801) è nel senso che l’estensione della disciplina dell’art. 1933 c.c., riguardante i contratti di giuoco, ai mutui a questi collegati – quali dazioni di denaro o di fiches, promesse di mutuo, riconoscimento di debito – sussiste solo quando essi costituiscano mezzi funzionalmente connessi all’attuazione del giuoco o della scommessa e siano tali da realizzare fra i giocatori le stesse finalità pratiche del rapporto di giuoco, concorrendo un diretto interesse del mutuante a favorire la partecipazione al gioco del mutuatario; per contro, ove manchi tale interesse, per non essere il mutuante a confronto del mutuatario in una determinata partita, nè partecipante insieme a questo ad un gioco collettivo d’azzardo, la causa del negozio di mutuo non si pone in diretto collegamento con il contratto di gioco, neppure in presenza della consapevolezza del mutuante che la somma sarà impiegata dal ricevente nel gioco, non integrando ciò un motivo illecito determinante e comune ad entrambi i contraenti. In particolare, secondo la giurisprudenza, le fiches, di norma utilizzate nelle case da gioco per partecipare ai giochi ivi praticati, possono essere oggetto – data la loro convenzionale equivalenza a somme di denaro predeterminate – anche di rapporti di natura diversa, quali l’attuazione di mutui o l’estinzione di debiti, con la conseguenza che la consegna di fiches ad uno dei partecipanti al gioco non è elemento determinante ed esclusivo per la qualificazione del rapporto come di mutuo ovvero di associazione alla giocata, dovendo il relativo accertamento avvenire sulla base della volontà negoziale delle parti e della concretezza del rapporto tra le stesse instaurato.

La corte territoriale ha affermato che dalla lettura dei documenti e dai capitoli di prova non emerge l’interesse del mutuante alla partecipazione al gioco del mutuatario nè la partecipazione del medesimo mutuante al gioco. L’affermazione di carattere assertivo non pare comprensibile alla stregua delle circostanze istruttorie evidenziate dal ricorrente nel terzo motivo ed oggetto di rinvio nella motivazione. Ed invero se si pone attenzione al “disciplinare per la gestione della casa da gioco”, ed in particolare all’art. 4 che prevedeva che “le attività dei gioco devono essere esercitate direttamente da Casino s.p.a. che non può delegare a terzi”, o al capitolo di prova orale avente ad oggetto la circostanza che il T. era stato l’unico giocatore al tavolo di “Black-Jack” contro il banco e che era stata registrata una vincita per la casa di gioco pari ad Euro 300.000,00, l’asserzione del giudice di merito pare meramente autoreferenziale e priva di una confutazione degli obiettivi elementi istruttori. Il giudice di merito ha infatti compiuto espresso rinvio ai suddetti elementi istruttori, i quali devono così essere intesi come incorporati nel procedimento motivazionale. Ha tuttavia concluso sul piano meramente assertivo nel senso della loro inidoneità probatoria, senza che tale conclusione possa essere comprensibile sul piano motivazionale. Risulta in tal modo violato il minimo costituzionale della motivazione, la quale risulta mancante quale requisito dell’atto processuale.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (fra le tante Cass. 25 settembre 2018, n. 22598; 12 ottobre 2017, n. 23940).

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1933 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in subordine dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè in ulteriore subordine dell’art. 2727 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che il mutuante era l’organizzatore e partecipante al gioco e che in modo inconciliabile si afferma in sentenza che Cava era l’organizzatrice del gioco e che non avrebbe avuto interesse all’attuazione del gioco. Aggiunge che dal fatto noto che Cava fosse l’organizzatrice del gioco doveva ricavarsi il fatto ignoto che il finanziatore aveva un interesse diretto all’attuazione del gioco medesimo.

L’accoglimento del precedente motivo determina l’assorbimento del motivo.

Il ricorrente ha sollecitato nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., l’esercizio del potere di cancellazione di espressione sconveniente od offensivo, ed in particolare l’uso dell’aggettivo “capzioso”. Non può essere disposta, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., la cancellazione delle parole che non risultino dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, essendo ben possibile che nell’esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla reciproca condotta possa investire anche il profilo della moralità, senza tuttavia eccedere le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della controparte (fra le tante da ultimo Cass. 18 ottobre 2016, n. 21031). Avuto riguardo al contesto in cui risulta inserita, l’espressione adoperata non può essere qualificata offensiva dell’altrui reputazione in quanto, pur rientrando in modo piuttosto graffiante nell’esercizio del diritto di difesa, non si rivela lesiva della dignità umana e professionale dell’avversario.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo motivo e dichiara assorbito l’ultimo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Torino in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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