Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19535 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. III, 19/07/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 19/07/2019), n.19535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25359/2017 proposto da:

T.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OSLAVIA 14, presso lo studio dell’avvocato MARCO BARBERA,

rappresentata e difeso dagli avvocati GIUSEPPE PICCINI, ELIA RICCI;

– ricorrente –

contro

D.C.R., D.C.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 34, presso lo studio dell’avvocato

ETTORE TRAVARELLI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 438/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha

chiesto il rigetto del ricorso dichiarandolo inammissibile o

infondato.

Fatto

RILEVATO

che:

D.C.F. e R. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Genova T.A.M., nella qualità di erede di V.A., chiedendo il risarcimento, nella misura di Euro 1.000.000,00 o quella di giustizia, del danno cagionato dalla condotta illecita del V. il quale si era appropriato di somme di denaro a lui affidate perchè fossero investite mediante versamento su conti correnti accesi presso banche svizzere. Il Tribunale adito, ritenuta la carenza di legittimazione attiva di D.C.F., accolse la domanda per le minor somme di USD 200.000,00 ed Euro 195.000,00 oltre accessori. Avverso detta sentenza propose due atti di appello, poi riuniti, la T.. Proposero intltre appello incidentale gli originari attori. Con sentenza di data 5 aprile 2017 la Corte d’appello di Genova rigettò entrambi gli appelli.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che la prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, decorreva dal 9 novembre 2007, giorno di estinzione del reato per morte del V., sicchè tempestiva era l’introduzione del giudizio in data 12 gennaio 2010. Aggiunse quanto segue: “la spontanea effettuazione dei bonifici verso il conto (OMISSIS) da parte dei D.C. non vale ad escludere l’appropriazione indebita, essendo pacifico che non si trattava di rimesse dirette personalmente al V., ma di fondi che dovevano essere destinati ad investimenti, mentre furono confusi dal V. con i propri e mai più restituiti. La prova richiesta dall’art. 2043 c.c., è stata adeguatamente raggiunta attraverso gli elementi presuntivi indicati dal Tribunale e non è applicabile in sede civile il principio penalistico che richiede la prova oltre ogni ragionevole dubbio”.

Ha proposto ricorso per cassazione T.A.M. sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. E’ stata presentata memoria.

Con sentenza n. 5640 del 26 febbraio 2019 le Sezioni unite di questa Corte hanno dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso, avente ad oggetto la censura alla ritenuta sussistenza della giurisdizione italiana, e hanno rimesso a questa Sezione per l’esame dei restanti motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 c.c. e artt. 1 e 42 c.p., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che l’operatività del più lungo termine prescrizionale è condizionato al previo accertamento da parte del giudice civile della sussistenza della fattispecie integrante gli estremi di reato e che tale accertamento è mancato.

Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che la questione preliminare relativa alla prescrizione è stata decisa omettendo l’esame del fatto di reato al quale sarebbe da ricondurre la condotta tenuta dal V..

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 c.c. e artt. 1,42,43 e 646 c.p., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che nella motivazione si fa riferimento all’appropriazione indebita, ma senza alcuna disamina della fattispecie sotto il profilo penalistico, dovendo invece il giudice civile accertare in via incidentale l’esistenza del reato in tutti i suoi elementi, oggettivi e soggettivi (il reato di appropriazione indebita presuppone peraltro il dolo specifico).

I motivi, da valutare unitariamente, sono inammissibili. E’ pur vero che è costante nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui qualora l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato ma il giudizio penale non sia stato promosso, all’azione civile di risarcimento si applica, ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato, decorrente dalla data del fatto, purchè il giudice civile accerti, incidenter tantum, con gli strumenti probatori ed i criteri propri del relativo processo, l’esistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sia soggettivi che oggettivi (fra le tante da ultimo Cass. 31 gennaio 2018, n. 2350; 25 novembre 2014, n. 24988). Resta fermo che, come sottolineato da Cass. Sez. U. 18 novembre 2008, n. 27337, “una volta affermata l’autonomia tra il giudizio civile e quello penale, il giudice civile deve accertare la fattispecie costitutiva della responsabilità aquiliana, posta al suo esame, con i mezzi suoi propri e, quindi, con i mezzi di prova offerti al giudice dal rito civile per la sua decisione” e fra questi mezzi vi è anche la presunzione.

Il giudice di appello ha accertato che un’appropriazione indebita è stata commessa e lo ha fatto in via presuntiva, affermando che “la prova richiesta dall’art. 2043 c.c., è stata adeguatamente raggiunta attraverso gli elementi presuntivi indicati dal Tribunale e” che “non è applicabile in sede civile il principio penalistico che richiede la prova oltre ogni ragionevole dubbio”. Il richiamo all’art. 2043 è da intendere come riferimento al fatto illecito corrispondente a fatto di reato, come si desume agevolmente dal riconoscimento, nel medesimo contesto argomentativo, dell’inapplicabilità del principio penalistico della prova oltre ogni ragionevole dubbio, sicchè la condotta corrispondente a reato deve essere accertata con i criteri civilistici di valutazione della prova. Il fatto di reato è stato così accertato mediante rinvio agli “elementi presuntivi indicati dal Tribunale”.

Le censure, che muovono dal presupposto del mancato accertamento della fattispecie penalmente rilevante, restano quindi estranee alla ratio decidendi, a parte ulteriori profili di inammissibilità, come l’irrituale denuncia di vizio motivazionale, con la quale non si indica il fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte territoriale.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, con distrazione in favore del procuratore anticipatario e che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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