Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19535 del 14/09/2010
Cassazione civile sez. I, 14/09/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 14/09/2010), n.19535
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
P.F., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la
cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso
dall’avv. Marra Alfonso Luigi per procura in atti;
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro
tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per
legge;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 11 ottobre
2006, nella causa iscritta al n. 559/06 V.G.;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21 aprile 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;
alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto
procuratore generale, dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha
osservato.
Fatto
LA CORTE
Rilevato che:
1. è stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti;
P.F., ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 11 ottobre 2006, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del menzionato ricorrente della somma di Euro 16.340,00, oltre che delle spese processuali, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo instaurato davanti al Tar Campania con ricorso del 12 maggio 1989 e non ancora definito;
la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha resistito con controricorso; la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 16.340,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo fissato la durata ragionevole del giudizio in tre anni ed avendo accertato una durata del processo superiore di quattordici anni e quattro mesi al termine ragionevole, sulla base di un importo annuo di Euro 1.000,00 circa, oltre ad Euro 2.000,00, trattandosi di controversia in materia di lavoro;
2. il ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo otto motivi di ricorso, con i quali lamenta:
la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (primo motivo); l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, senza specifica motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e disattendendo la nota spese depositata (motivi da due a otto);
3. il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto, secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (Cass. S.U. 2004/1338); in termini analoghi è il principio enunciato dalla Corte costituzionale, che ha affermato che al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme; qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire la stessa Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (sentenze n. 348 e 349 del 2007); resta pertanto escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria;
3.1. sono invece manifestamente fondate le censure di cui ai motivi da due ad otto in ordine all’erronea applicazione della tariffa relativa alla volontaria giurisdizione, anzichè di quella attinente al contenzioso (Cass. 2008/25352), mentre sono manifestamente infondate le ulteriori doglianze in quanto parte ricorrente non ha specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e a lei spettanti (Cass. 2005/21325; 2006/9082), nè ha dimostrato specificamente l’attribuzione di importi inferiori ai minimi inderogabili (Cass. 2007/5318), ma si è limitata alla generica denuncia dell’inosservanza delle tariffe professionali vigenti, nonchè delle voci e degli importi indicati nella nota spese, fermo restando che in tema di spese processuali possono essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (Cass. 1999/4347; 2000/4818; 2001/1485) e che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, senza tener conto degli onorari liquidati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cass. 2008/23397);
4. le argomentazioni che precedono conducono al rigetto del primo motivo e all’accoglimento, nei limiti sopraindicati, dei motivi da due ad otto, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alla censura accolta;
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c, con la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di P.F. delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;
2008/25352), con distrazione delle spese liquidate in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario;
5. le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, compensate per la metà in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso, con distrazione delle stesse in favore del difensore del ricorrente dichiaratosi antistatario.
PQM
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie, nei termini di cui in motivazione, i motivi da due a otto. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge. Condanna inoltre la menzionata Presidenza al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2010