Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19534 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 23/09/2011), n.19534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7978/2007 proposto da:

IVO GIOIELLERIA DI VALLARANI IVO & C. SAS in persona del

socio

Accomandatario, elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI Guido Francesco, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MURIALDO PAOLO, giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 99/2005 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 17/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

08/06/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.a.s. Ivo Gioielleria di Vallarani Ivo & C. propose ricorso alla commissione tributaria regionale della Liguria contro un diniego di definizione di lite pendente riguardante l’Iva dovuta per l’anno 1994, diniego motivato, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, in ragione del non avvenuto versamento di alcuna somma.

Sostenne di aver indicato, quale versamento effettuato, l’ammontare degli importi iscritti a ruolo, in quanto la relativa somma, seppur non versata, era stata dall’amministrazione introitata mediante il pignoramento e la successiva vendita e/o assegnazione dei beni pignorati (gioielli e preziosi) di valore superiore all’ammontare del debito.

La commissione, nella resistenza dell’agenzia delle entrate, osservò che il versamento delle somme dovute al ridetto titolo non era stato effettuato con le prescritte modalità neppure in pendenza di giudizio, non potendosi considerare come “versamento” il fatto dell’avvenuto pignoramento di beni della debitrice; che l’erario aveva in ogni caso potuto conseguire, in sede esecutiva, un recupero solo parziale, oltre tutto attinente a un credito indistinto nei titoli, dal momento che l’intrapresa esecuzione aveva riguardato più tributi per diversi anni d’imposta.

Avverso questa sentenza la società Ivo Gioielleria ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi.

L’agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Il primo motivo denunzia violazione ed errata applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, commi 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si sostiene che il mancato versamento di somme era dipeso dal fatto che il concessionario del servizio riscossione tributi della Provincia di Savona, prima della presentazione dell’istanza di condono, aveva riscosso gran parte dell’importo reclamato dall’amministrazione finanziaria, all’esito di una procedura esecutiva instaurata dopo l’iscrizione a ruolo della metà del dovuto in pendenza di lite.

1.2. – Osserva la Corte che è oggetto (mediato) di censura la statuizione di rigetto della domanda principale a suo tempo proposta dalla società come di “annullamento dell’atto di diniego”, in vista dell’ottenimento di una pronuncia di accertamento dell’avvenuta definizione della lite a mezzo del pagamento della somma dovuta.

Rispetto a codesto oggetto, è rilievo preliminare che la pendenza di lite, cui si riferisce l’invocato condono di cui alla L. n. 289 del 2002, seppur nella specie cessata a seguito del passaggio in giudicato della sentenza d’appello di cui alle concordi deduzioni, era certamente esistente alla data della domanda di definizione.

Risulta invero dalle parti dedotto che l’istanza di definizione venne presentata in data 16.5.2003, in pendenza del termine – sospeso ex lege – per impugnare la sentenza della commissione tributaria regionale in data 13.2.2002, con la quale fu respinto l’appello della stessa società contro la sentenza a lei sfavorevole della commissione provinciale di Savona, n. 426/01/2000, relativa all’avviso di accertamento da cui tutto trae origine. Donde la lite, al momento pendente, era quella relativa all’imposta dovuta dalla ricorrente al netto delle sanzioni, nei termini oggetto di contestazione in primo grado (considerata la soccombenza in base alla decisione della commissione tributaria), suscettibile di definizione a mezzo del 50% del corrispondente valore (art. 16, comma 1, lett. b), n. 2, L. cit.).

Stante l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (in particolare, sez. un. n. 3676/2010; cui adde sez. un. n. 3677/2010), la definibilità di una simile lite – in quanto correlata all’istituto di cui all’art. 16 cit., che non implica rinuncia all’accertamento dell’imposta – non sarebbe incisa dall’esito della procedura di infrazione comunitaria che ha portato la Corte di giustizia a dichiarare l’incompatibilità con il diritto comunitario dei distinti della L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, relativamente alla condonabilità dell’Iva (v. C. Giust. 17.7.2008, causa C- 132/06).

1.3. – La questione di diritto, posta dalla ricorrente nel mentovato primo motivo, attiene alla possibilità di computare, al fine di ritenere la validità della domanda di definizione della lite suddetta, la somma incamerata dal (ovvero – in base all’asserto – il valore dei beni assegnati al) concessionario in esito a una procedura esecutiva instaurata per il mancato pagamento delle somme provvisoriamente iscritte a ruolo in base all’atto impositivo impugnato.

Al riguardo devesi tuttavia osservare che la tesi della ricorrente, seppure basata su nessi logico-giuridici astrattamente sostenibili, non soddisfa il fine di autosufficienza del ricorso, e implica un accertamento di fatto non consentito alla Corte.

Si basa invero su un’inferenza tratta da affermazione praeter legem, e dunque implausibile a meno di specifica dimostrazione, in ragione della disciplina della espropriazione mobiliare contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973. Per cui va disattesa, sebbene dovendosi provvedere a una parziale correzione deve motivazione della sentenza di merito nel senso di cui infra.

1.4. – L’astratta sostenibilità della tesi della s.a.s. è legata al fatto che, se è vero che, come eccepito dall’amministrazione resistente, ai fini della definizione della lite a mezzo condono, rileva il versamento delle somme dovute entro il prescritto termine, da eseguirsi “secondo le ordinarie modalità previste per il versamento diretto dei tributi cui la lite si riferisce” (art. 16, comma 2, L. cit.) sicchè non è dato invocare alternative forme di soddisfacimento della pretesa creditoria quale conseguenza dell’esito di procedure esecutive sui beni dell’obbligato; è altresì parimenti vero che è qui dedotto un fatto estintivo asseritamente anteriore alla data di presentazione dell’ istanza (v. ricorso, in fine). Tanto sul presupposto che tale fatto possa intendersi alla stregua di “versamento” ai fini della scomputo di somme pagate prima della domanda di definizione ai sensi dell’art. 16, comma 5, L. cit., per effetto delle disposizioni vigenti in materia di riscossione in pendenza di lite.

E, in tema di condono fiscale, con riferimento alla chiusura delle liti pendenti prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, è esatto affermare che, in presenza di un’istanza proposta dal contribuente, in quanto soccombente nel giudizio di merito, nei confronti del quale l’amministrazione finanziaria abbia proceduto a riscossione coattiva in pendenza di lite, ottenendo la devoluzione di beni pignorati a seguito dell’esperimento di una procedura esecutiva esattoriale, l’importo corrispondente al valore del bene devoluto va scomputato dalla somma dovuta ai fini della definizione agevolata, ai sensi del comma 5, dell’art. 16 cit. (v. già Cass. n. 13901/2008).

Sennonchè tale condivisibile principio è stato da questa Corte ritenuto in considerazione dell’effetto solutorio proprio dell’atto devolutivo in tema di espropriazione immobiliare, il quale ha luogo ope legis, per effetto del verificarsi delle condizioni previste dall’attuale D.P.R. n. 602 del 1973, art. 85 (condizioni nella richiamata Cass. n. 13901/2008 evocate in relazione al vecchio art. 87, ivi rilevando il testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 e poi dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, conv. con mod. in L. 8 agosto 2002, n. 178).

Mentre è da sottolineare che, in tema di espropriazione mobiliare, le speciali regole pur contenute nel citato D.P.R. n. 602 del 1973 (art. 70) non contemplano l’assegnazione al concessionario di beni (finanche ove costituiti da preziosi, art. 68 stesso D.P.R.) rimasti invenduti dopo gli incanti.

Ai sensi dell’art. 70 cit., se i beni mobili restano invenduti anche al secondo incanto – come qui sostenuto dalla società – il concessionario, entro tre mesi, procede alla vendita a trattativa privata o a un terzo incanto a offerta libera; e, se anche tali esperimenti si rivelano infruttuosi, i beni invenduti sono messi a disposizione del debitore, invitato a ritirarli in un termine (quindici giorni) decorso inutilmente il quale sono distrutti o donati a enti di beneficenza e assistenza, senza liberazione del debitore.

Consegue che, ridotta all’essenziale, la tesi della ricorrente assume come esistente un fatto – l’avvenuta assegnazione al concessionario dei beni invenduti al terzo incanto – privo di base legale, non supportato da alcuna emergenza nel ricorso debitamente trascritta e indimostrato nella sua storicità.

Ed egualmente la tesi – ove anche valutata ai fini di un preteso (e comunque insufficiente) scomputo parziale della somma asseritamente incamerata dal concessionario in esito alla vendita forzosa di alcuni dei detti beni – trova concreto ostacolo nella non avversata affermazione della sentenza di merito circa l’indistinguibilità del carico tributario posto a base del ruolo, in quanto attinente a tributi vari e a plurime annualità.

2.1. – Il secondo motivo denunzia omessa motivazione sui fatti posti a fondamento della subordinata domanda di riconoscimento dell’esistenza di un errore scusabile nei conteggi, e della conseguente possibilità di regolarizzare il condono a norma della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 9.

2.2. – Questo motivo è inammissibile per due concorrenti ragioni:

(a) perchè dal ricorso risulta che la domanda de qua venne formulata, dinanzi al giudice d’appello, in termini del tutto generici, con indicazione solo possibilistica del relativo presupposto di fatto (“qualora si ravvisasse un errore materiale nei conteggi”), si da apparire relegata a mero simulacro non occorrente di specifica considerazione;

(b) perchè in ogni caso manchevole della necessaria condizione di rilevanza, dal momento che non risulta dedotto, alla luce della previa esposizione del motivo, che vi sia stato un errore materiale di conto a base dell’asserita esistenza di un pagamento eseguito in misura inferiore, suscettivo di regolarizzazione – come tale – a mente del comma 9, art. 16, in caso di riconoscimento della scusabilità dell’errore medesimo; quanto piuttosto un errore di diritto, determinativo non già di un pagamento inferiore, sebbene di un omesso pagamento della somma in ogni caso dovuta in base al titolo.

3. – In conclusione, il ricorso è rigettato.

Spese alla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00, oltre alle spese prenotate e debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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