Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19534 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. III, 19/07/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 19/07/2019), n.19534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6239/018 proposto da:

ROYAL BOX DI R.L. & C SAS,in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SAVONAROLA, 39, presso lo studio dell’avvocato ALDO MONTINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA BONASIA;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI BARI, in persona del

Presidente Dott. M.E., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato SANDRO

DE MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLO’ DE MARCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1150/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 21/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/06/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Royal Box di R.L. & C. S.a.s. ricorre, formulando tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1150/2016 della Corte d’Appello di Bari, pubblicata il 21 marzo 2017.

Resiste con controricorso, illustrato da memoria, l’Area di Sviluppo Industriale di Bari.

La società ricorrente espone che, nel dicembre 2006, all’interno di un opificio sito in (OMISSIS) detenuto in locazione, di proprietà del Consorzio ASI – Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Bari – si era sviluppato un incendio che aveva danneggiato i luoghi di lavoro, gli impianti, le macchine, le attrezzature, le materie prime, i semilavorati e i prodotti finiti, secondo quanto emerso dal procedimento di istruzione preventiva; di tali danni aveva chiesto, con ricorso, ex art. 447 bis c.p.c., dinanzi al Tribunale di Bari, di essere risarcita dal Consorzio ASI, in forza degli artt. 1574,1577 e 2051 c.c., per un importo di Euro 441.479,77, al netto del lucro cessante, che aveva chiesto venisse calcolato ai sensi degli artt. 1223 e 1226 c.c.; in aggiunta, aveva domandato la compensazione giudiziale per i canoni locativi risultati non pagati.

Il Consorzio ASI, oltre a contestare in fatto ed in diritto l’an ed il quantum della pretesa attorea, chiamava in manleva l’Associazione Temporanea di imprese che aveva costruito in appalto il capannone e chiedeva, in via riconvenzionale, il pagamento dei canoni locativi non corrisposti dall’odierna ricorrente a far data dall’incendio.

Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 250/2012, dichiarava l’odierna ricorrente ed il Consorzio ASI responsabili al 50% dei danni occorsi: la prima per avere stoccato in azienda un quantitativo di materiale incendiabile non in linea con la normativa antincendio e il secondo per non avere mantenuto la struttura concessa in locazione a norma. Di conseguenza, condannava il Consorzio a risarcire alla società Royal Box – detratto quanto da quest’ultima ricevuto dalla compagnia di assicurazione e senza tener conto dei preventivi di spesa prodotti in giudizio, perchè non supportati da fatture o da altre prove relative all’avvenuto esborso delle somme richieste – Euro 11.482,93, al netto di rivalutazione ed interessi; compensava le spese di lite tra le parti.

La sentenza veniva impugnata da Royal Box dinanzi alla Corte d’Appello di Bari, deducendo l’erronea dichiarazione della concorrente responsabilità, censurando la quantificazione dei danni e denunciando l’omessa pronuncia sulla richiesta di condanna per lucro cessante nonchè l’ingiusta compensazione delle spese.

Il Consorzio ASI contestava i motivi dell’appello formulati dall’odierna ricorrente e, con appello incidentale, chiedeva che venisse accertata l’infondatezza della domanda di Royal Box e che se ne accertasse l’esclusiva responsabilità, ai sensi dell’art. 1588 c.c., nella causazione dell’incendio fonte dei danni occorsi.

La Corte territoriale, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, rigettava l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, riformava la sentenza di prime cure, respingendo la domanda risarcitoria dell’odierna ricorrente.

In particolare, il giudice a quo conveniva con quello di prime cure che l’attività istruttoria espletata non aveva permesso di ricostruire con certezza la dinamica dell’incendio sia per la risalenza nel tempo degli eventi sia per gli effetti devastanti dell’incendio. Nello specifico, la conduttrice non aveva offerto la prova che l’incendio fosse derivato da una causa a sè non imputabile, nè di aver esercitato con la diligenza necessaria la prestazione di custodia del bene ricevuto in locazione. Le uniche circostanze emerse con certezza dall’attività istruttoria espletata riguardavano la posizione ON, cioè allarmata, degli interruttori del quadro di alimentazione generale e secondario, prima dell’incendio, e l’assenza del Certificato Prevenzione Incendi necessario per l’espletamento dell’attività industriale. Pertanto, ai sensi dell’art. 1588 c.c., a mente del quale il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa locata qualora non provi che il fatto dannoso – l’incendio – si è verificato per causa a lui non imputabile, applicabile al caso di specie, controvertendosi di una richiesta risarcitoria per danni arrecati alla cosa e non per danno cagionato a terzi dalla cosa (ipotesi regolata, invece, dall’art. 2051 c.c.), la Corte d’Appello negava che la società istante avesse diritto ad ottenere l’invocato risarcimento dei danni, non avendo vinto, con l’attività dimostrativa cui era tenuta, la presunzione di responsabilità posta a suo carico dall’art. 1588 c.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “falsa applicazione delle norme di diritto per avere la Corte territoriale, nell’accogliere l’appello incidentale, inquadrato la fattispecie nell’alveo degli artt. 1558 c.c. e segg., così erroneamente affermando che l’onere probatorio circa la non imputabilità dell’evento-incendio incombesse in capo alla conduttrice Royal Box e non anche al proprietario -locatore Consorzio ASI.

Stando all’attività illustrativa della società ricorrente, l’art. 1558 c.c.. sarebbe stato richiamato per la prima volta in appello dal Consorzio ASI, allo scopo tanto di contestare l’inquadramento in diritto della fattispecie operato dal giudice di prime cure che aveva fatto leva sull’art. 2051 c.c., quanto di invertire il soggetto a carico del quale avrebbe dovuto operare la presunzione di responsabilità, rovesciando, di conseguenza, dal punto di vista soggettivo l’onere probatorio avente ad oggetto la prova contraria per andare esente da responsabilità. Nella sostanza, solo in appello, quindi, incorrendo nelle preclusioni di legge all’uopo previste, il Consorzio proprietario avrebbe invocato l’applicazione dell’art. 1588 c.c., ritenendo presuntivamente responsabile dell’incendio la conduttrice e gravandola dell’onere di vincere la presunzione, provando la ricorrenza di una causa a sè non imputabile.

Secondo la ricorrente la domanda risarcitoria formulata, non avendo riguardato i danni alla cosa locata che avrebbero potuto essere pretesi solo dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale, non avrebbe dovuto essere ricondotta all’ipotesi regolata dall’art. 1588 c.c.; trattandosi di una richiesta risarcitoria per danni cagionati “dalla” cosa locata a beni mobili, attrezzature, materiali e magazzino ed alla sua attività imprenditoriale la disciplina applicabile avrebbe dovuto essere rinvenuta negli artt. 2051 o 2053 c.c..

A confermare tale ricostruzione avrebbe contribuito, a suo dire, proprio la Corte territoriale che correttamente aveva distinto i danni “alla” cosa locata (p. 4) dai danni cagionati “dalla” cosa in custodia a terzi, a beni di terzi o ad altre persone (p. 5). E che la cosa fosse locata non escludeva la ricorrenza di un obbligo di custodia in capo alla società locatrice, atteso che il proprietario aveva conservato la disponibilità giuridica e quindi la custodia delle strutture murarie e degli impianti in essa conglobati, su cui la conduttrice non aveva il potere-dovere di intervenire. In conclusione, il giudice a quo avrebbe dovuto applicare l’art. 2051 c.c. e ritenere responsabile la locatrice per i danni cagionati dall’incendio provocato dall’avaria dell’impianto elettrico su cui il proprietario aveva mantenuto, nonostante la locazione, un obbligo di custodia e di vigilanza.

In aggiunta, essendo stato il corto circuito la causa non concorrente, ma esclusiva dell’incendio, ad avviso della ricorrente, non avrebbe dovuto presumersi una responsabilità solidale del locatore e del conduttore, ai sensi dell’art. 2055 c.c., comma 3. Essendole stato imputato solo di aver conservato nell’opificio un quantitativo di materiale cartaceo maggiore di quello consentito dalla normativa antincendio, non avrebbe dovuto esserle attribuita alcuna responsabilità per l’incendio; al più avrebbe dovuto tenersi conto dello stoccaggio del materiale al fine di graduare la misura del risarcimento spettantele.

Altro errore derivante dall’errata individuazione della norma applicabile sarebbe quello di avere posto a suo carico l’onere di provare la causa non imputabile dell’incendio, mentre, invece, l’art. 2051 c.c., introducendo una presunzione di responsabilità a carico della locatrice, avrebbe richiesto che fosse quest’ultima a provare la causa non imputabile dell’incendio.

Secondo la prospettazione della ricorrente la Corte territoriale avrebbe per di più commesso i seguenti errori: a) aver ritenuto che la causa dell’incendio fosse rimasta ignota, avendo essa provato, pur non essendo suo onere, per le ragioni spiegate, che l’incendio era dipeso dal corto circuito, generato, a sua volta, dai fenomeni infiltrativi verificatisi all’interno del condotto sbarre n. 3 dell’impianto elettrico, come emerso dalla CTU e già in sede di procedimento per accertamento tecnico preventivo; b) non avere escluso che alcuna responsabilità potesse esserle attribuita, non essendoci stato alcun anomalo funzionamento degli impianti, dei macchinari e delle attrezzature, nè essendo stato riscontrato alcun errore nello svolgimento di lavorazioni comportanti l’impiego di materiali infiammabili.

2. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio relativo alla prova del corretto adempimento della obbligazione accessoria di custodia del bene locato da parte della conduttrice ricorrente.

Il Consorzio ASI aveva riferito che i problemi di infiltrazione di acqua piovana dai cupolini posti sul tetto del capannone, riscontrati in sede di accertamento tecnico preventivo, erano dovuti ad un non corretto uso del meccanismo elettrico di chiusura dei cupolini da parte della conduttrice cui era imputata anche una generica mancanza di diligenza a proposito delle manutenzioni e delle riparazioni. La ricorrente adduce, però, di aver dimostrato che con sei diverse comunicazioni, nei mesi precedenti all’incendio, aveva denunziato alla locatrice le problematiche infiltrative dovute a vizi e difetti dei cupolini/lucernari e aveva chiesto infruttuosamente al Consorzio ASI di intervenire per eliminare quei vizi e difetti.

Tali comunicazioni, che avrebbero dimostrato la sua diligenza, depositate con la memoria integrativa ex art. 426 c.p.c., ed oggetto di considerazione da parte del CTU nel primo grado e da parte del Tribunale, non sarebbero state esaminate dal giudice a quo e ove lo fossero state avrebbero portato ad un esito diverso della statuizione.

3. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente denuncia la nullità del procedimento per avere la Corte d’Appello, accogliendo l’appello incidentale e ritenendo così assorbite tutte e altre questioni, omesso di pronunciare su ogni e ciascuno dei motivi di appello.

4. La questione giuridica che la prospettazione del ricorso, in tutti i motivi in cui è stato articolato, propone a questo Collegio è su chi gravi e come sia regolata la responsabilità per i danni derivanti dall’incendio di un edificio non all’edificio in sè e per sè considerato, ma a quanto in esso contenuto (danno emergente), oltre che per i danni derivanti dall’impossibilità di usare il capannone perito nell’incendio per i fini cui era destinato (lucro cessante): nel caso di specie lo svolgimento di attività industriale da parte della conduttrice.

La controversia si è dipanata intorno all’applicazione alternativa di due norme: l’art. 1588 c.c. e l’art. 2051 c.c..

Di esse, pur avendone correttamente individuato in iure le differenti premesse applicative, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione.

L’art. 1588 c.c., è venuto in considerazione ed è stato impiegato dal giudice a quo per qualificare la fattispecie in oggetto, solo in ragione del fatto che l’immobile perito nell’incendio era stato concesso in locazione alla società, odierna ricorrente, che poi aveva agito in giudizio in chiave risarcitoria nei confronti del proprietario/locatore.

Tale circostanza, cioè la ricorrenza di un contratto di locazione tra la vittima dell’evento lesivo e il soggetto asseritamente interferente, ha evidentemente assunto carattere assorbente ed ha indotto la Corte territoriale ad escludere – erroneamente – che nel caso di specie potesse trovare applicazione l’art. 2051 c.c., che regola le condizioni al verificarsi delle quali colui che ha la custodia di un bene risponde dei danni cagionati dal bene medesimo.

Sui rapporti tra l’art. 1588 e l’art. 2051 c.c. – e proprio nel caso di danni derivanti dall’incendio di un bene locato – questa Corte ha avuto occasione di pronunciarsi con la sentenza n. 15721 del 27/07/2015, la cui motivazione è opportuno richiamare non solo allo scopo di fare chiarezza sui presupposti applicativi delle regole risarcitorie, ma anche per evidenziare l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata.

Si trattava di una fattispecie nella quale il locatore aveva agito in giudizio contro il conduttore per ottenere il risarcimento dei danni subiti “dalla” cosa locata in conseguenza dell’incendio. La Corte regolatrice negò l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., con la seguente motivazione: “La struttura dell’art. 2051 c.c., non contempla quindi gli eventi dannosi che colpiscono la stessa cosa oggetto della custodia, bensì quelli che, per effetto della cosa in custodia, sono subiti da altri beni di terzi o da altre persone. Nella struttura dell’art. 2051 c.c., infatti, il danno è procurato dalla cosa ad altro e non a sè stessa (e ne risponde il custode in base al criterio di imputazione costituito dal rapporto di custodia e quindi alla sua relazione con la cosa custodita e al suo dovere di controllo su di essa)”.

La stessa pronuncia chiarì che, invece, la responsabilità per custodia in ambito contrattuale “sorge in virtù del rapporto, contrattuale appunto, che si instaura tra chi in virtù del contratto acquista la disponibilità materiale della cosa altrui per un certo periodo di tempo e il suo proprietario che gliela affida, e comprendono gli obblighi risarcitori che sorgono in capo al conduttore (o a chi acquisti la disponibilità materiale della cosa in base al altro rapporto contrattuale) qualora, nel periodo in cui egli ha la disponibilità e quindi il controllo materiale della cosa, la stessa subisca dei danni”.

Gli obblighi di custodia, imposti contrattualmente ed espressamente a carico del conduttore, così come del depositario, del mandatario, del sequestratario ecc., ovvero derivanti dall’obbligo di restituzione, a mente dell’art. 1177 c.c., “sono relativi ai danni che subisce la cosa stessa che il soggetto è tenuto a custodire”. La decisione, quindi, concludeva: “ne consegue che l’obbligo di custodia a carico del conduttore deriva dal combinato disposto dell’art. 1590 c.c. (restituzione della cosa locata) con l’art. 1177 c.c. e non dall’art. 2051 c.c., che ha un differente ambito di operatività (e sulla base del quale può fondarsi la responsabilità del conduttore o del proprietario o di entrambi, a delle fattispecie, verso i terzi per i danni provocati nei loro confronti dalla cosa in custodia (…)”.

La decisione offre gli strumenti necessari a distingue gli ambiti delle norme di cui si controverte nel caso di specie.

L’art. 1588 della c.c. è una disposizione che, collegata alla necessità di un uso diligente della cosa locata da parte del detentore, disciplina la responsabilità del conduttore verso il locatore e verso i terzi per i danni derivanti dalla perdita e dal deterioramento della cosa avvenuti durante lo svolgimento della locazione, che non siano accaduti per cause a lui non imputabili.

Si tratta evidentemente di un’ipotesi che non si attaglia alla vicenda per cui è causa, ove il conduttore pretende di essere risarcito dal soggetto asseritamente custode non per i danni alla cosa locata, ma per quelli subiti a causa dell’incendio dai beni propri (danno emergente) e per il lucro cessante derivante dall’impossibilità di svolgere nell’immobile perito nell’incendio l’attività industriale al quale esso era strumentale.

Tanto chiarito in punto di fatto, è evidente che, non trattandosi di danni subiti dalla cosa locata, la Corte territoriale sia incorsa in errore applicando la regola di cui all’art. 1588 c.c..

Avrebbe dovuto, invece, verificare se la società conduttrice avesse provato in giudizio i presupposti per invocare nei confronti del Consorzio ASI la responsabilità per cose in custodia di cui all’art. 2051 c.c.: la permanenza di un obbligo di custodia in capo alla locatrice, nonostante il bene oggetto della custodia fosse stato concesso in locazione e quindi il potere d’uso fosse stato trasferito ad altri, ed il nesso di derivazione causale tra l’omessa custodia ed il danno lamentato.

La custodia è infatti il presupposto indefettibile per applicare la responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c..

La custodia ivi evocata non è quella tecnica che ricorre nella definizione codicistica del contratto di deposito ove la consegna finalizzata alla restituzione è il quoad constitutionem del contratto, ma usando l’espressione custodia si usa un termine atecnico di significato ampio ed elastico che affida alla specificità del caso concreto l’accertamento circa il mantenimento del controllo e della vigilanza a chè la cosa non arrechi danno.

La responsabilità di colui che abbia la cosa in custodia nei termini riferiti si fonda dunque sull’inosservanza di tale obbligo di custodia che abbia reso possibile il verificarsi del danno cagionato dalla cosa alla stregua del principio causa causae est causa causati.

Proprio perchè la nozione di custodia non è oggetto di definizione normativa, la sua specificazione è stata affidata alla giurisprudenza, la quale, ad esempio, proprio nel caso di immobile locato ha ritenuto che il proprietario conservi la disponibilità giuridica e quindi la custodia delle strutture murarie e degli impianti: (Cass. 29/11/2018, n. 30839; Cass. 12/11/2009, n. 23945; Cass. 6/04/2004, n. 6753; Cass. 09/02/2004, n. 2422). La responsabilità ex art. 2051 c.c. è posta a carico del conduttore, invece, per i danni cagionati dalle parti ed accessori del bene locato, di cui il conduttore abbia la piena disponibilità con facoltà od obbligo di intervenire allo scopo di evitare pregiudizio a terzi (Cass. 27/07/2011, n. 16422). Diventa, quindi, un accertamento fattuale, riservato al giudice di merito, stabilire nel caso concreto se il Consorzio ASI. avesse “il governo” di un determinato bene nei termini sopra precisati che è mancato per una non corretta qualificazione della fattispecie con i correlati effetti sulla distribuzione degli oneri probatori.

Nella presente controversia, pertanto, avendo la società Royal Box proposto la domanda di responsabilità nei confronti del Consorzio ASI, nella qualità di ente proprietario del fabbricato in cui si era sviluppato l’incendio, avrebbe dovuto provare il rapporto di custodia e il nesso causale tra l’omessa custodia ed il danno; in tala caso, il Consorzio ASI per andare esente da responsabilità da responsabilità avrebbe dovuto farsi carico di dimostrare la ricorrenza del caso fortuito, compreso il fatto del danneggiato, ed eventualmente dei presupposti per l’eventuale applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, in rapporto al comportamento tenuto dalla società Royal Box, sotto il profilo della quantificazione del danno.

5. Ne consegue l’accoglimento del ricorso e il rinvio della controversia alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione perchè accerti, sulla scorta delle prove raccolte, le conseguenze derivanti dall’applicazione nel caso di specie dell’art. 2051 c.c..

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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