Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19530 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 23/09/2011), n.19530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11317/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

CORIAL COMMISSIONARIA RIMINESE ALIMENTARISTI SCARL in persona del

Curatore fallimentare pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato GIUSSANI ALESSANDRO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARTELLI MARIO, giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 61/2007 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 02/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

in subordine accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Rimini la soc. CO.RI.AL Commissionaria Riminese Alimentaristi società cooperativa rl., poi dichiarata fallita, proponeva opposizione avverso l’avviso di rettifica per l’Iva inerente al 1998, basato sul presupposto che le numerosissime operazioni commerciali addotte ed aventi ad oggetto vini, liquori e in genere bevande ed alcolici vari riguardassero operazioni fittizie. Quella commissione lo rigettava.

Avverso la relativa decisione la contribuente proponeva appello, cui l’agenzia delle entrate resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, la quale accoglieva il gravame, sul presupposto che si trattava di operazioni in realtà poste in essere, ancorchè in un contesto non lineare, in cui operavano pure delle società che, pur avendo breve durata, tuttavia erano anch’esse esistenti.

Contro questa pronuncia l’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a cinque motivi, ed ha depositato memoria, mentre il fallimento della Corial resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

l)Col primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17, 19 e 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, giacche la commissione regionale non considerava che le società cartiere non potevano essere ritenute realmente esistenti nelle “frodi carosello”, e comunque le operazioni poste in essere non erano soggettivamente sussistenti, giacche riferentisi a soggetti che in realtà non le avevano compiute.

Il motivo, ancorchè formulato non in modo appropriato, sul rilievo che un soggetto economico può anche realmente esistere ed operare, anche si presti ad operazioni realizzate con frode fiscale, senza che perciò debba ritenersi ente inesistente, è fondato, posto che in tema di IVA, nelle c.d. “frodi carosello” – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società “cartiere” a seguito di acquisti I’ntracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro (“buffers”) – il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole, partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari, come nella specie (V. pure Cass. Sentenza n. 867 del 20/01/2010, Sezioni Unite: n. 30055 del 2008).

2)Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione di norme di legge, giacche la CTR riteneva che le operazioni commerciali non fossero affette da nullità per mancanza (illiceità) della causa.

La censura va condivisa, anche se rimane sostanzialmente assorbita dal primo motivo. Il giudice di appello osservava che le operazioni erano state realmente poste in essere, e che la frode non si era verificata, anche perchè le imposte erano state versate. L’assunto non è esatto. Invero anche se le operazioni poste in essere non dovevano considerarsi affette da nullità per illiceità della causa, dal momento che erano strutturate al fine di frode fiscale, tuttavia tale intento non poteva non incidere sulla prevista sanzione specifica in ordine al fatto che per il fisco esse dovevano essere considerate inesistenti, e ciò a prescindere dagli effetti sul piano prettamente privatistica. Al riguardo va rilevato come la frode al fisco (nella specie realizzata, al fine di ottenere detrazioni d’imposta e l’indicazione di maggiori costi, attraverso una simulazione soggettiva e in parte oggettiva), rileva solo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ma non determina, tra le parti, nullità per illiceità dell’atto, quando non sia esclusa la loro volontà di concludere il negozio, che nella fattispecie non rileva (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 9447 del 20/04/2007, n. 13621 del 2004).

3) Col terzo motivo la ricorrente lamenta violazione di norme di legge, poichè il giudice di secondo grado doveva ritenere le operazioni affette da nullità per mancanza di causa, difettando la volontà effettiva di trasferire la proprietà delle singole merci con società che, prive di struttura, erano solo “cartiere”, e quindi soggetti inesistenti. La doglianza è fondata, atteso che si trattava di apparenti trasferimenti di merci finalizzati all’evasione.

4)Col quarto motivo la ricorrente deduce insufficiente motivazione, posto che i gravi elementi di prova erano costituiti dalle dichiarazioni rese dalle persone sentite dalla Guardia di finanza che aveva compiuto la verifica e riportate nel relativo verbale di constatazione, oltre che dagli stessi responsabili delle società e ditte coinvolte nell’indagine penale. La doglianza, peraltro fondata, è assorbita da quanto enunciato rispetto ai precedenti motivi.

5) Col quinto motivo la ricorrente lamenta violazione di norme di legge, trattandosi in via subordinata di evidente abuso del diritto, giusta anche le direttive CEE e la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità in materia, trattandosi per l’Iva di imposta armonizzata.

A parte che anche questo motivo rimane assorbito, tuttavia in ordine all’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente per presunta novità della censura, va rilevato che in realtà si tratta di argomentazione esplicativa della posizione già assunta dall’amministrazione nell’ambito del “petitum” e della “causa petendi”, relativi al diniego della detrazione invocata dalla contribuente, e quindi un profilo che costituisce un’illustrazione argomentata delle ragioni di già addotte dalla parte erariale. Al riguardo si osserva come in materia tributaria, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, sussiste l’abuso del diritto quando le operazioni poste in essere, nonostante siano formalmente lecite e rispettose della legislazione nazionale e comunitaria, procurino alla parte un vantaggio fiscale contrario all’obiettivo perseguito dalle disposizioni di legge formalmente rispettate; in tal caso il giudice nazionale può prendere in considerazione il carattere totalmente o parzialmente elusivo delle operazioni per escludere l’opponibilità dei negozi giuridici all’amministrazione finanziaria (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 4503 del 25/02/2009, n. 30055 del 2008).

Ne deriva che il ricorso dell’agenzia va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., comma 2, e rigetto del ricorso in opposizione della contribuente avverso l’avviso di rettifica della maggiore imposta ed accessori.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo, e condanna la controricorrente al rimborso delle spese a favore della ricorrente, e che liquida per il primo grado in Euro 3.000,00 por diritti, ed Euro 4.500,00 per onorari; per il secondo in Euro 4.000,00 per diritti, ed Euro 6.000,00 per onorari, e per il presente giudizio in Euro 8.000,00 (ottomila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito; alle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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