Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1953 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18756-2019 proposto da:

S.W.W., alias W.S.W.U. elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GROTTAROSSA 50 A, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO MORI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE per il

RICONOSCIMENTO della PROTEZIONE INTERNAZIONALE di CAGLIARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1068/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. SCOTTI

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35, depositato il 24/2/2017 S.W.W. alias W.S.W.U., cittadino del Bangladesh, ha adito il Tribunale di Cagliari impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

il ricorrente proveniente dalla città di Madaripur, di religione musulmana, aveva riferito di aver lasciato il proprio Paese perchè era stato accusato nel 2009 della morte di un poliziotto per la sua militanza attiva nel partito BNP; di aver quindi venduto un terreno e di essere emigrato per cercare lavoro in Libia, da cui era dovuto fuggire a causa della guerra;

il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria;

avverso la predetta ordinanza del 28/11/2017 ha proposto appello il richiedente asilo, rigettato dalla Corte di appello di Cagliari con sentenza del 6/12/2018;

avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 6/6/2019 ha proposto ricorso per cassazione S.W.W., svolgendo tre motivi;

l’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

le parti hanno illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le rispettive difese;

ritenuto che:

in tutti e tre i motivi il ricorrente denuncia violazione di legge di un meglio precisato “art. 43, comma 2”, senza indicare il corpus normativo di riferimento e senza far seguire all’enunciazione normativa un apporto argomentativo che chiarisca le ragioni della violazione e permetta di ricostruire il contenuto sostanziale della asserita violazione;

tale incomprensibile doglianza deve quindi essere considerata pro non scripta; con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 43, comma 2, in ordine allo status di rifugiato e denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7, 2 e 3, non avendo la Corte di appello correttamente ponderato gli elementi emersi e non avendo adeguatamente analizzato la condizione personale del richiedente;

il motivo esprime un mero dissenso nel merito dalla motivata valutazione della Corte di appello circa la non credibilità intrinseca del racconto del richiedente asilo, articolatamente motivata nelle pagine 14 e 15 della sentenza impugnata e non si confronta criticamente quindi con l’esposta ratio decidendi; del pari nel merito si riversa la doglianza di mancata cooperazione istruttoria circa la situazione generale del Paese di origine, rilevante D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c), poichè la Corte di appello ha espletato una approfondita indagine officiosa circa la situazione socio-politica del Bangladesh, basata sulla consultazione di fonti informative accreditate, opportunamente riportate e citate, contrastata dal ricorrente in modo assolutamente generico (asserito non sufficiente aggiornamento delle informazioni raccolte risalenti a circa 10 mesi prima della pronuncia);

con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 43, comma 2, in ordine all’onere probatorio attenuato e al principio di cooperazione istruttoria, e denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; anche questo motivo proposto con riferimento alla protezione sussidiaria appare doppiamente inammissibile, sia perchè non è pertinente rispetto alla ratio decidendi fondata sulla non credibilità del racconto, sia perchè si limita ad esprimere un generico dissenso di merito dalla motivata e approfondita valutazione della Corte territoriale;

con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 43, comma 2, in ordine alla protezione umanitaria, e denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8;

anche questa censura si rivolve in una generica critica di merito rispetto alla motivata valutazione del Tribunale, condotta secondo i parametri del giudizio comparativo fra le condizioni di vita del Paese di provenienza nel caso di rimpatrio, al cui proposito la Corte di appello ha rilevato la mancata specifica deduzione di una condizione di vulnerabilità, e il curriculum del richiedente asilo, laureato in scienze politiche e già imprenditore nel settore delle costruzioni immobiliari) e quelle attuali sul territorio italiano fissati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. Unite n. 24960 del 13/11/2019);

il riferimento alle vittime di violenza domestica (pag.14 del ricorso) è del tutto disancorato dalla vicenda e dagli atti del processo;

le condizioni di integrazione e di inserimento lavorativo sono richiamate in modo del tutto generico, senza tener conto delle specifiche argomentazioni svolte a pagina 17 della sentenza impugnata (e cioè difetto di prova di integrazione socio-culturale; precarietà dei rapporti di lavoro documentati solo da due buste paga del maggio e giugno 2017, assenza di contratto di lavoro e certificazione del competente Ufficio);

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, senza condanna alle spese in difetto di costituzione della parte intimata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA