Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1953 del 25/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1953 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: FRASCA RAFFAELE

ORDINANZA
sul ricorso 16228-2015 proposto da:
MARCONE MARIO, VASCELLINI ROSANNA, VASCELLINI
MARIA, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato CAUSI PPE MASCIULLI;
– ricorrenti contro
ITALFONDIARIO SPA;
– intimata avverso la sentenza n. 1238/2014 della CORTE D’APPELLO di
L’AQUILA, depositata il 03/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nellp. camera di consiglio non
partecipata del 15/11/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA.

Data pubblicazione: 25/01/2018

Rilevato che,:

1. Mario Marcone, Rosanna Vascellini e Maria Vascellini hanno
proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Italfondiario, avverso la
sentenza n. 1238 del 3 dicembre 2014 con la quale la Corte d’Appello di
L’Aquila ha rigettato il loro appello avverso la sentenza del 7 maggio

dell’art. 512 cod. proc. civ. da essi introdotta nel 2005, in qualità di
debitori esecutati in una procedura di espropriazione immobiliare a suo
tempo introdotta dalla Banca Commerciale Italiana (poi divenuta Banca
Intesa s.p.a. e per la quale Italfondiario agiva come mandataria.
2. Al ricorso non ha resistito la Italfondiario s.p.a.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi
dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo -modificato dal d.l. n. 168 del 2016,
convertito, con modificazioni, dalla I. n. 197 del 2016, è stata formulata
dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con
declaratoria di inammissibilità e ne è stata fatta notificazione
all’avvocato dei ricorrenti, unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza della Corte.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio condivide le valutazioni della proposta del relatore, nel
senso della inammissibilità del ricorso.
2. Con l’unico motivo di ricorso, che è preceduto dalla singolare
notazione che la sentenza impugnata “è errata e ingiusta, anche per i
seguenti motivi”, si deduce (letteralmente) “violazione e o falsa
applicazione degli articoli 1284 e 1815 c.c., omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, stato oggetto di discussione, in relazione all’art.
360 nn. 3 e 5 c.p.c.”.
Il motivo è illustrato, riportando in primo luogo una trascrizione di
un breve passo di quanto sostenuto nel proprio atto di appello: in essa
non risultava alcuna specifica censura in punto di diritto della sentenza
Ric. 2015 n. 16228 sez. M3 – ud. 15-11-2017
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2008, con cui il Tribunale di Chieti aveva deciso la controversia ai sensi

impugnata, ma solo l’indicazione che il tasso degli interessi avrebbe
dovuto calcolarsi in un certo modo, la generica deduzione che mai
avrebbe potuto applicarsi «il vietato anatocismo», l’affermazione
meramente assertoria che «tutto quanto sopra è stato trascurato dal
Tribunale» e che «molto di esso, anzi, pur detto dai debitori, è stato

potuto ammettersi una non meglio precisata consulenza tecnica chiesta
dai ricorrenti nella conclusionale.
La lettura del passo riportato palesa l’assoluta genericità di quanto
vi si sostiene, sia in relazione alla res controversa in giudizio, che resta
ignota quanto ai suoi termini, sia quanto al modo in cui essa era stata
oggetto del giudizio di -primo grado e, quindi, della decisione di primo
grado.
Segue quella che dovrebbe costituire l’attività dimostrativa del
motivo di ricorso, che consta del seguente tenore:
«Come si vede, nei due gradi finora svoltisi, le considerazioni e la
richiesta subordinata di consulenza degli attuali ricorrenti sono state le
stesse, senza che nel secondo siano state fatte deduzione nuove. Ciò
nonostante, il Secondo Giudice ha del tutto omesso di considerare gli
argomenti degli appellanti e, se per quanto riguarda il tasso degli
interessi l’omissione dell’esame è stata totale e non è stata detta
neanche una parola, anche per quanto riguarda l’anatocismo il poco
detto deve ritenersi insufficiente, errato e non pertinente. Nulla di nulla,
infine, anche per la richiesta•di consulenza, che pure, non essendo un
mezzo di prova, neanche necessitava della richiesta di parte e
comunque serviva e servirebbe solo a confermare quello che già appare
evidente. Con la missiva 17-5-96, il Marcone e le Vascellini non si
impegnarono a pagare interessi al 12%, ma solo chiesero di poterlo
fare. Gli appellanti non hanno censurato affatto la duplicità dei conti
correnti, anzi il primo è stato menzionato solo per sottrarlo, nonostante
i difetti insiti anche in esso, alla controversia. Come evidenziato,
Ric. 2015 n. 16228 sez. M3 – ud. 15-11-2017
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trascurato senza motivazione». In fine l’assunto che ben avrebbe

l’anatocismo non costituisce censura nuova ed era ben presente anche
in primo grado. Insomma, come già detto, per le sopra trascritte
considerazioni e deduzioni dei primi due gradi, cui ci si riporta anche nel
presente grado avanti la Corte Suprema, il buon diritto dei ricorrenti
emerge dagli atti già allo stato attuale. Ove così non fosse, la richiesta

3. L’esposizione del motivo è, in primo luogo, carente dei requisiti
necessari per l’adempimento dell’onere di indicazione specifica dei
documenti e degli atti su cui si fonda ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod.
proc. civ., siccome evidenziati dalla giurisprudenza di questa Corte a
parire da Cass. (ord.) n. 22308 del 2008 e Cass., sez Un. n. 28547 del
2008; – e, quindi., ex multis, da Cass., Sez. Un. n. 7161 del 2010).
Vi. si fa riferimento, infatti, ad una missiva e ‘le deduzioni
suppongono riferimenti alla prospettazione assunta nello svolgimento
del processo, nonché ad atti del processo e ad altri documenti (come i
conti correnti), ma nessuna indicazione del contenuto di quel
documento e degli altri documenti ed atti si fornisce, né direttamente né
indirettamente (in questo secondo caso precisando a quale parte del
documento o dell’atto la riproduzione indiretta corrisponda), e
nemmeno è fornita alcuna indicazione circa la localizzazione di
documenti e atti nel presente giudizio di legittimità.
Nella memoria si pretende di replicare al rilievo di inosservanza
dell’art. 366 n. 6, di cui alla proposta del relatore, dicendo che il
documento si troverebbe nel fascicolo di parte (di cui è indicata la
produzione in chiusura del ricorso), ma tanto dimostra che non si è
compreso il significato contenuto della giurisprudenza sopra richiamata,
che _imponeva – a parte gli oneri contenutistici – di indicare dove nel
detto fascicolo il documento si troverebbe, a parte tutte le altre
indicazioni circa la sede di produzioné nelle fasi di merito.
Tanto si rileva non senza rimarcare che nulla dice la memoria
quanto agli altri atti evocati.
Ric. 2015 n. 16228 sez. M3 – ud. 15-11-2017
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consulenza sarebbe senz’altro atta a fugare ogni residuo dubbio.».

3. Il motivo è, inoltre, sempre come rilevato nella proposta,
manifestamente inammissibile per la sua assoluta genericità (Cass.,
Sez. Un. n. 7074 del 2017), atteso che le sue asserzioni sono del tutto
generiche e nemmeno individuano la motivazione della sentenza
impugnata per dimostrare come e perché essa avrebbe omesso di

La genericità al riguardo è anche, per così dire, “duplice”, atteso
che, come s’è detto, lo stesso contenuto dell’atto di appello, riprodotto
prima del motivo lo era a sua volta.
La genericità è anche manifesta per il rinvio alle considerazioni e
deduzioni delle fasi di merito.
Nella memoria i ricorrenti evocano un principio di diritto da essa
affermato in tema di motivazione per relation ern, anziché quello sulla
specificità che è il seguente: «Il requisito di specificità e completezza
del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi
sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui
un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo preveda,
allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il
raggiungimento del suo scopo (art. 156, secondo comma, cod. proc.
civ.). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a
motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la
particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si
esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di
allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 cod. proc.
civ., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle
difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per
cassazione, ancorché la legge non esiga espressamente la sua
specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente
essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di
tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo.)» (Cass., Sez. Un. n. 7074
del 2017, da ultimo).
Ric. 2015 n. 16228 sez. M3 -5-

. 15-11-2017

considerare gli argomenti dell’appello.

4. Peraltro, se, dimenticando gli intrinseci difetti di ammissibilità
del motivo, emergenti dalla lettura del ricorso, si passasse alla lettura
della sentenza, si dovrebbe evidenziare che essa si estende, con
specifiche considerazioni che si sviluppano dalle ultime cinque righe
della pagina 6 sino alla pagina 8 ed esse risultano del tutto ignorate, sia

ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., sia quanto al problema
dell’anatocismo.
Sicché, il motivo risulta ulteriormente inammissibile, perché non si
correla a tale ampia motivazione.
5. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.
Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si
deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato
art. 13. Così deciso nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile3 il 15 novembre 2017.
P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del
giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del
comma 1-bis del citato art. 13. Così deciso nella Camera di consiglio
della Sesta Sezione Civile-3 il 15 novembre 2017.

quanto ad un’affermazione di novità di formulazione di novità di censure

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