Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19525 del 23/08/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19525 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 4869-2011 proposto da:
VERRELLI EMILIANO VRRMLN73S13A449I, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 63, presso lo studio
dell’avvocato GALLETTI ANTONINO, rappresentato e difeso
dall’avvocato NEGRONI RENATO, giusta procura speciale a
margine del ricorso;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

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A33

Data pubblicazione: 23/08/2013

avverso la sentenza n. 212/04/2010 della Commissione Tributaria
Regionale di ROMA dell’8.6.2010, depositata il 24/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’11/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO.

BASILE.

Ric. 2011 n. 04869 sez. MT – ud. 11-07-2013
-2-

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. TOMMASO

La Corte, ritenuto
che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la
seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Roma ha respinto l’appello di Verrelli Emiliano -appello proposto contro
la sentenza n.354/08/2008 della CTP di Roma che aveva a sua volta respinto accolto
il ricorso del contribuente – ed ha così confermato gli avvisi di accertamento per
IRPEF relativa agli anni d’imposta 2002-2003, avvisi adottati in riferimento a redditi
da partecipazione societaria (per quota detenuta del 67% nella “Ce.Me.Dil. 2000 srl”)
e sulla premessa che alla predetta società fossero stati accertati maggiori redditi non
dichiarati, presuntivamente distribuiti tra i soci.
Il contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo ed il secondo motivo di impugnazione (entrambi fondati sulla
violazione di legge: il primo in correlazione alla disciplina dell’art.145 cpc ed il
secondo in correlazione alla disciplina dell’art.42 del DPR n.600/1973) la parte
ricorrente si duole del fatto che “i giudici di secondo grado non hanno correttamente
applicato il disposto dell’art.145 cpc in merito alla notifica degli atti a persone
giuridiche”, norma secondo cui la notifica deve essere effettuata presso la sede e deve
essere ricevuta da amministratore o da suo incaricato; si duole inoltre del fatto che “i
giudici di secondo grado sono incorsi in un ulteriore violazione di legge, in
particolare dell’art.42 L. 1973/600 al cui secondo comma si legge che, se la

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letti gli atti depositati

motivazione fa riferimento ad un atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente,
questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
Entrambi i motivi in rassegna appaiono inammissibilmente formulati, per violazione
del criterio della riferibilità alla pronuncia impugnata, e se ne propone il rigetto.
Ed infatti è principio comunemente affermato da questa Corte (per tutte Cass.Sez. 3,

principio che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i
motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità,
completezza e riferibilità alla decisione impugnata, deve ritenersi, in particolare,
inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella
quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente
un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente
porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle
quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata e di assolvere, così, il compito
istituzionale di verificare il fondamento della suddetta violazione”.
Nella specie in esame, la parte ricorrente si duole del tutto genericamente dell’esito
della decisione impugnata, senza specificare con quali puntuali argomenti il
giudicante avrebbe violato le disposizioni valorizzate e perciò senza idonea
correlazione con la ratio decidendi che si assume erronea e viziata.
Con il terzo motivo poi (informato al vizio di motivazione) la parte ricorrente si duole
della maniera apodittica con la quale il giudicante si sarebbe espresso a favore
dell’orientamento giurisprudenziale prospettato dalla parte pubblica, ciò che implica
apertamente che la parte ricorrente non ha affatto identificato il fatto controverso e
decisivo in relazione al quale soltanto è possibile che si prospetti inidonea o
contraddittoria la motivazione del provvedimento giudiziale (in termini, per tutte,
Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22979 del 07/12/2004).
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità.
Roma, 15 maggio 2012

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Sentenza n. 13066 del 05/06/2007) quello secondo cui:”Posto, in generale, il

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che nessuna delle parti ha depositato memoria illustrativa;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in € 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 11 luglio 2013.

motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

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