Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19524 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 23/09/2011), n.19524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

GEN srl in liquidazione, elettivamente domiciliata in Roma in via

Tigrè n. 37 presso l’avv. Caffarelli Francesco, che la rappresenta e

difende con l’avv. Antonio Vincenzi;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna, sezione 05, n. 79, depositata il 20 giugno 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31

maggio 2011 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

uditi l’avv. Francesco Caffarelli per la ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La srl GEN, esercente l’attività di albergo e ristorante, propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Ravenna, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per il 1995, con il quale erano stati contestati ricavi non contabilizzati, e determinato un reddito di circa L. 119 milioni contro una perdita dichiarata di L. 86 milioni circa.

Secondo il giudice d’appello erano pienamente legittime le dichiarazioni rese e la documentazione acquisita in sede di verifica, in quanto dal verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, sottoscritto dal legale rappresentante della società contribuente, emergeva come i verificatori, all’inizio delle operazioni avevano espletato tutte le formalità di presentazione e motivazione della verifica fiscale che stava per iniziare, informando il legale rappresentante dell’opportunità di farsi assistere da professionista di fiducia durante le operazioni di verifica, facoltà di cui quegli tuttavia non si era avvalso. Non sussisteva illegittima determinazione in eccesso dell’imponibile, per essere stati accertati solo maggiori ricavi, senza determinare maggiori costi, atteso che documenti che provassero maggiori costi non erano stati rinvenuti, nè la contribuente era stata in grado di produrli neppure nel corso del giudizio.

L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività nella presente sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, nonchè vizio di motivazione, la società ricorrente assume che l’informazione dei verificatori al contribuente, secondo cui questi avrebbe potuto farsi “rappresentare” – e non “assistere” – da un professionista o da una persona di sua fiducia nel corso delle operazioni ispettive, si porrebbe in contrasto con la disposizione in rubrica, non essendo configurabile una equivalenza fra le due nozioni, e considerato che, nella specie, la facoltà di farsi assistere era di rilevante importanza, essendo l’indagine fondata sulle sole dichiarazioni del legale rappresentante della società, non assistito dal professionista, dichiarazioni che, quindi, erano state illegittimamente acquisite.

Il motivo è infondato.

La figura del “rappresentante” del contribuente in sede di accesso dell’amministrazione finanziaria nei locali, soggetto al quale i verbalizzanti possono fare richieste, e che è tenuto, alla fine delle operazioni, a sottoscrivere il verbale, è contemplata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6, disposizione compresa della disciplina dell’accertamento IVA, ma applicabile all’accertamento delle imposte dirette in forza del rinvio del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, comma 1.

La L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, commi 2 e 3, prevede poi che all’inizio della verifica il contribuente ha, tra l’altro, “diritto di essere informato… della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria”, e che lo stesso contribuente può chiedere che l’esame dei documenti amministrativi e contabili sia effettuato, oltre che nell’ufficio dei verificatori, “presso il professionista che lo assiste o rappresenta”.

Il professionista che il contribuente può designare per le operazioni di verifica è indubbiamente soggetto dotato di competenze tecniche che, secondo la lettera dello stesso statuto del contribuente, “assiste o rappresenta” il contribuente stesso.

La sentenza impugnata non incorre pertanto nei vizi denunciati, in quanto nell’avere i verificatori informato il contribuente che nel corso delle operazioni “avrebbe potuto farsi rappresentare da un professionista” può forse rilevarsi, a tutto voler concedere, una imprecisione lessicale – peraltro giustificata nella specie dal lessico impiegato dal legislatore -, ma comunque deve leggersi l’inequivoca prospettazione al contribuente della facoltà di avvalersi nelle operazioni di un soggetto dotato di competenze tecniche.

Con il secondo motivo, denunciando violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 4, (t.u.i.r.), nonchè vizio di motivazione, assume che “i costi certi e precisi, o comunque determinabili, sulla base dei coefficienti di redditività dell’impresa soggetta ad accertamento fiscale acquistano rilevanza e quindi sono suscettibili di deducibilità nella formazione della base imponibile del reddito d’impresa, anche se non imputate nel conto dei profitti e perdite della società”, e perciò l’ufficio avrebbe dovuto considerare nell’accertamento induttivo i maggiori costi da determinarsi alla stregua del coefficiente di redditività emergente dalle scritture contabili tenute dalla società.

Il motivo è infondato.

Nel caso di specie, infatti, era stata regolarmente presentata la dichiarazione dei redditi, con la quale era stata denunciata una perdita di L. 86 milioni circa; all’esito della verifica, sulla base dei documenti rinvenuti e delle dichiarazioni del legale rappresentante della società in quella sede raccolte – dichiarazioni che non assumono contenuto testimoniale, ma “possono invece essere apprezzate come una confessione stragiudiziale e costituiscono pertanto prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri” (Cass. n. 28316 del 2005, n. 22122 del 2010) -, l’ufficio aveva accertato l’esistenza di ulteriori ricavi, non contabilizzati.

Non si è pertanto in presenza di un accertamento del reddito d’impresa del tutto induttivo, dove l’ufficio procede “alla ricostruzione reddituale complessiva del contribuente” (cfr. Cass. n. 28028 del 2008). Ed il principio – introdotto dal D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5, che ha abrogato il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 6, il quale escludeva la deducibilità delle spese ed altri componenti negativi in caso di omessa od irregolare registrazione -, in virtù del quale è consentito all’imprenditore, in sede di accertamento dell’imposta sul reddito, dedurre dal reddito imponibile anche i costi d’impresa non risultanti dalle scritture contabili, non costituisce una deroga alle regole generali in tema di riparto dell’onere della prova, restando, quindi, a carico dell’imprenditore dimostrare l’esistenza, ed inerenza, di componenti negativi del reddito (Cass. n. 3305 del 2009, n. 4218 del 2006).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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