Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19521 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 23/09/2011), n.19521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2308/2008 proposto da:

C.L.R., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIACOBINA Roberto con studio in TORINO VIA G.

CASALIS 56 (avviso postale), giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CHIVASSO UFFICIO TRIBUTI, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14

A/4, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI Gabriele, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati REDI GIULIETTA,

CASAVECCHIA MARCO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2006 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 21/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

preso atto che il P.G. non ha formulato osservazioni sulla relazione

ex art. 380 bis c.p.c., notificatagli.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. C.L.R. propone ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Chivasso (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento in rettifica per Tarsu relativa all’anno 2000, la C.T.R. Piemonte confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso introduttivo.

2. Il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso (coi quali si deduce violazione e falsa applicazione di norme di legge) sono inammissibili per inadeguatezza dei relativi quesiti di diritto a svolgere la funzione che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, è loro propria, ossia quella di far comprendere alla Corte, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, essendo nella specie i quesiti esposti astratti, generici ed inidonei non solo a far comprendere la ratio decidendi della decisione impugnata, ma anche ad esprimere la rilevanza della risposta al quesito ai fini della decisione della censura, oltre che privi di tutte le informazioni necessarie a consentire alla Corte una risposta utile ai fini della definizione della controversia e suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sub iudice (v. tra molte altre, da ultimo, Cass. n. 7197 e n. 8463 del 2009 nonchè SU n. 7433 del 2009).

Anche il terzo motivo (col quale si deduce vizio di motivazione) è inammissibile.

In proposito, è innanzitutto da rilevare che, alla fine del motivo in esame, il ricorrente precisa, ai sensi dell’art. 366 bis, che l’omessa motivazione della sentenza impugnata risulta relativa a tutti i motivi di doglianza sollevati nel merito dal contribuente e cioè l’eccezione di infondatezza degli avvisi per carenza di motivazione, la contestazione di illegittimità delle deliberazioni tariffarie adottate dal Comune e la contestazione in ordine alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 65, 66. 68, 68 e 77. Tanto premesso, occorre innanzitutto rilevare che non è ammissibile censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non attenga all’accertamento dei fatti bensì faccia sostanzialmente riferimento a vizi della motivazione in diritto della sentenza impugnata. E’ inoltre da evidenziare che l’indicazione di cui alla seconda parte del citato art. 366 bis deve sempre avere ad oggetto (non più un una questione o un “punto”, secondo la versione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ma) un fatto preciso, inteso sia in senso storico che normativo, ossia un fatto “principale”, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo, e che nella specie l’indicazione di cui alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., risulta inidonea perchè manca l’individuazione e indicazione di uno o più “fatti” specifici (intesi come sopra e non come generico sinonimo di punto, circostanza, questione) rispetto ai quali la motivazione risulti viziata nonchè l’evidenziazione del carattere decisivo dei medesimi fatti.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 600,00 di cui Euro 500,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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